venerdì 2 novembre 2018

Prof. Giovanni Vernì - 25 26 giugno 1943: Errore o calcolo? - ovvero il bombardamento aereo di Sannicandro di Bari.

- Prof. Giovanni Vernì - 

"25 26 giugno 1943: Errore o calcolo?" 

- ovvero -

Il bombardamento aereo di Sannicandro di Bari.









"Alla sacra memoria di mio
 padre Pasquale, scomparso
nelle acque dello Ionio  
nel '15 - 18 e di tutti i
miei concittadini morti  
per la Patria, con animo 
riverente e grato".     



















...La nostra gente non tremò al vento, e fosse anche al vento da 4.000 lb.
Non disperò, quasi conscia che l’antichissima civiltà le dava solo il diritto di soffrire più forte; non solo nelle carni e negli affetti, ma nei monumenti, nelle Chiese, nelle casette vetuste intrise di sudori e di lacrime amare...
...Non s’accasciò...

( P. Monelli )














S O M M A R I O

Premessa

Sommario

Sannicandro di Bari : il suo territorio, la sua gente, il suo lavoro.

Introduzione

Cap. I : Le conferenze di Casablanca (gennaio '43) e Washington (maggio '43) e la svolta della guerra.

Cap.II : L'Italia alla vigilia di drammatici eventi.

Cap.III: "Stanno suonando alla porta".

Cap.IV : Il Sud nella bufera".

Cap. V : Quella terribile notte !.

Cap.VI: Fatti e misfatti del bombardamento tra cronaca, storia e  testimonianze.

Cap.VII: Errore o calcolo ?

Cap.VIII:L'amaro bilancio della tragedia.

Cap.IX : I diavoli dell'aria visti da vicino.

Documenti e Fonti.
Tavole, Carte e Mappe.
Bibliografia.
Indice delle persone.
Indice Generale.  


P R E M E S S A

 (“Ad veri inquisitionem atque investigatiorem”)
 (Cic.  off. 1,13)
ossia

Alla ricerca della verità 
Questo saggio monografico nasce dal desiderio di corrispondere alla esigenza di uno studio approfondito sul bombardamento aereo che si abbattè “apparentemente senza motivo” su Sannicandro nella notte tra il 25 e 26 giugno del ’43, basato essenzialmente su fonti scritte e orali, fatto di certezze e non più venato di dubbi e di misteri, completo di ogni elemento conoscitivo, passato al vaglio di un’indagine attenta e meticolosa, ampia ed obiettiva, prima che la polvere dell’oblìo lo coprisse del tutto e se ne perdesse definitivamente la memoria storica.
Elaborarlo non è stato né semplice né facile per me che me ne sono assunto il compito, a causa delle non poche e non piccole difficoltà incontrate, tra cui particolarmente ostiche:
la pochezza e frammentarietà dei riferimenti biblio-storiografici inerenti all’argomento;
la scarsa disponibilità, per non dire l’indisponibilità, dei vincitori a lasciar filtrare, specie sui casi più spinosi, più di quel tanto, (o quel poco?), che non fosse stato da loro in precedenza sottoposto a controllo e dichiarato non più coperto da segreto militare;
l’esiguità delle risorse finanziarie disponibili, chiaramente insufficienti per affrontare costosi viaggi e soggiorni all’estero.
Nonostante tutto, la mia ferma volontà di andare avanti a tutti i costi non è mai venuta meno e molto mi ha aiutato nello sforzo di dare finalmente una scrollata al fragile castello di superficialità e di reticenza costruito sulla nostra tragedia e di fare piena luce su di una vicenda tragica ed oscura insieme.
Per arrivare più sicuramente alla verità, ho messo a fuoco, come si dice, l’evento, l’ho inquadrato nel suo giusto tempo, ne ho seguito origine, sviluppo e relazione con altri eventi, quindi ho concluso con un’analisi approfondita e particolareggiata di ogni suo aspetto, cosa che dovrebbe bastare secondo me a sciogliere dubbi e misteri e porre fine ad ogni diatriba.
Nella ricostruzione scaturita da tutto questo lungo lavoro non c’è nulla d’inventato o di astratto o di retorico, molto, invece, della mente, del cuore e della pratica di un uomo di scuola. Tutto è, invece, verità, tutto trova rispondenza nella realtà del mondo rappresentato e delle singole esperienze vissute e raccontate, anche nella semplice indicazione dei nomi delle persone e delle cose.  Tutto, infine, è avvalorato e supportato da documenti, atti, studi, foto, grafici, inseriti non tanto e non solo a scopo esornativo, quanto piuttosto integrativo, del testo.
Se, al termine di questa “fatica”, io abbia raggiunto o no tutti gli scopi che mi ero prefisso, non sta a me dirlo, sibbene a chi avrà la compiacenza di leggere queste pagine.  Però uno ritengo di non averlo fallito: quello di rendere onore e giustizia a 89 (non 86 o 87, come erroneamente si crede) civili di Sannicandro, morti innocentemente sotto le bombe della R.A.F.(Royal Air Force), richiamando l’attenzione di tutti (Stato compreso) su una vicenda bellica altamente drammatica, ancora tutta intrisa di sangue, dolore e tanta paura, rimasta a lungo e ingiustamente sconosciuta (Oh, come risuonano amare le parole di Mons.Arcivescovo padre magrassi, che in visita pastorale ad un circolo cittadino, sentendo parlare per la 1^ volta di quel tragico evento, meravigliato si chiedeva:
“Il bombardamento di Sannicandro? Come, c’è stato un bombardamento a Sannicandro?), eppure così ricca di umanità e di dignità contadina, che il silenzio imposto con la forza e con le astuzie della diplomazia ai vinti avrebbe voluto, complice la “tristitia temporum”, fosse stata prima sdrammatizzata, quindi relegata, come se nulla fosse, nel dimenticatoio, come a dire “cancellata” dalla Storia.
Nel dare alle stampe il volume, sento il dovere di ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato e sostenuto nella difficile impresa, e segnatamente:
il Sac. Don Nicola Rotundo, parroco di S. Maria Assunta, che dell’iniziativa è stato l’ispiratore;
Il Generale Rocco Maffei e l’on.G. De Meo, Presidente Nazionale dell’A.N.C.R. (Associazione Nazionale Combattenti e Reduci), che della medesima iniziativa sono stati patrocinatori ed assertori tenaci e convinti;
Miss Suzanne Bardgett, Special Assistant dell’ “Imperial War Museum”, che spontaneamente e gentilmente mi ha spianato la strada della ricerca nel suo Paese;
i miei figli Pasquale e Nico, che, in ogni tempo, sono stati preziosi suggeritori, perfetti conoscitori di talune branche dell’umano sapere, esperti e pazienti manovratori dei moderni mezzi della tecnica e della scienza, i computer;
e quanti altri, tra amici, eminenti personalità, italiane e straniere, esperti vari, critici e studiosi, civici amministratori, di cui sarebbe lungo dire il nome, mi hanno fattivamente e benevolmente aiutato nella stesura, nella ristampa e nella riproposizione al vasto pubblico del mio lavoro aggiornato alle risultanze della ricerca storiografica.

Sannicandro, luglio 2003.




Sannicandro   DI   BARI:  IL  SUO  TERRITORIO,  LA  SUA  GENTE,  IL  SUO  LAVORO.

Al pari di altri tre comuni del Mezzogiorno d'Italia - Sannicandro Garganico in provincia di Foggia, Sannicandro di Convento e Chiesa, in provincia di Isernia, e Sannicandro d'Abruzzo, in provincia dell'Aquila, il nostro porta il nome del Santo Vescovo di Mira1 Nicandro, che dal greco dei nomi  νικη,ης = vittoria e άνήρ,άνδρός =  uomo, significa uomo della vittoria.
Glielo imposero, nell'VIII sec. d.Ch., alcuni monaci basiliani, allorchè, fuggendo dall'Oriente in seguito alle lotte iconoclastiche o guerre delle immagini, approdarono in Sicilia e di là nelle Puglie e in Abruzzo, dove fondarono cenobi e piccole comunità cittadine in onore del loro Santo Protettore.
E' situata, Sannicandro di Bari, a sud del Capoluogo, al km 16 della SS n°271 e, attualmente, conta poco meno di 9.000 abitanti, mentre all'epoca del bombardamento, nel 1943, vi contava: secondo una nota prefettizia2, 8.372 residenti cui si aggiungevano decine di sfollati baresi; secondo dati statistici, forniti dal Comune, 8.910 residenti al 31.05.1943, diventati 8.845 al 30.06.1943.
Sorge sul dorso di una collinetta della Bassa Murgia Barese a 183 metri s.l.m., in mezzo ad una fitta chiostra di vecchie e giovani piante di olivo, che, oltre a fornire bellezza (sempreverde) ai suoi campi, ricchezza e lavoro ai suoi abitanti, potrebbero darle, con giusta ragione, anche l'appellativo di "paese dell'olivo", tanti sono gli alberi di questa specie che la incoronano.
Pur non immuni da vizi propri dei comuni mortali, gli abitanti di questa laboriosa località agricola erano, e sono, per lo più, di indole tranquilla, inclini al lavoro, alla temperanza, al risparmio, virtù mai attenuatesi nel tempo e sempre tenacemente tramandate di padre in figlio.
L'agglomerato urbano si sviluppa armonicamente attorno ad un nucleo originario di antica data - del VII - VIII sec. per alcuni, di epoca ancor più remota, per altri -, il Rione dello Spirito Santo, lungo due assi perpendicolari, che s'intersecano a metà strada, formandovi un ampio quadrivio, in direzione dei quattro punti cardinali.
Delle vestigia del suo passato, dei segni inequivocabili della sua civiltà di ex-colonia apulo-romana della Magna Grecia (Μεγάλη  Έλλάς), delle tracce dei vari pagi o villaggi quivi fioriti e poi scomparsi nei secoli della decadenza, il suo territorio appariva un tempo assai ricco anzi erano  fino  a  poco  tempo  fa sulla bocca di tutti i nomi dei pagi più noti - S. Pietro, S. Giovanni, S.Felice, Sizzaro o Madonna di Torre, per citarne qualcuno - vi si scoprivano, di tanto in tanto, importanti reperti archeologici (anfore, coppe, crateri, vasi, patere, lucerne, tombe, ori, monete, tutti in ottimo stato di conservazione), poi, d'incanto, tutto è sparito nel nulla dell'incuria, dell'indifferenza, dell'abbandono, del saccheggio.
E' ancora in piedi, per fortuna, al centro dell'abitato, a due passi dal Crocevia, parzialmente nascosta da costruzioni posteriori, una splendida maestosa roccaforte del Medioevo,  più  volte  assaltata  dai  Saraceni e da altri invasori, più volte robustamente ricostruita - a detta degli storici -, oggi semiabbandonata e seminascosta, che pur essendo in via di lento restauro, difficilmente tornerà al suo primitivo splendore: il Castello, bizantino, normanno, svevo, angioino, "opera di indiscutibile valore architettonico", assicurano gli esperti.
A poca distanza da questo, proprio nel cuore della città, circondato ieri da querce, oggi da pini, si erge, superbo e inconfondibile nella sua particolare struttura stilistica, simbolo e testimonianza dell'ineguagliabile amor patrio della sua gente, il classico "Monumento ai Caduti della Grande Guerra", dall'alto del quale pende una pesante Campana, detta Augustea3, ottenuta dal bronzo dei cannoni del '15 - '18. E' esso l'"Altare della Patria" dei Sannicandresi, è il Punto di riferimento delle celebrazioni più solenni, è la Memoria vivente della particolarissima "Pietas erga mortuos in bello" che ogni buon Sannicandrese ogni sera esterna pubblicamente, immancabilmente, ad ogni rintocco del sacro bronzo, con intensi momenti di raccoglimento e di preghiera, ovunque si trovi, in piedi e a capo scoperto, così come insegnava quel nobilissimo spirito di don Cosimo Losurdo, suo ideatore e realizzatore.




Razza forte, gente abituata "ad ubbidir tacendo", esemplarmente fiera dei suoi duecento e passa figli di Sannicandro morti per la Patria nell'arco di un trentennio (1915 - 1945), quella sannicandrese, quando non espatria, quando non dà l'addio definitivo al natìo borgo andando ad ingrossare le fila delle migliaia di concittadini sparsi per il mondo, - Stati Uniti, Canada, Venezuela, Argentina, Germania -, attende, con passione e competenza, quasi esclusivamente alla coltivazione dell'olivo, del mandorlo e della vite e alla trasformazione e commercializzazione dei relativi prodotti, con alte percentuali nella produzione sia regionale, sia nazionale, che sarebbero ancora maggiori, ove non ostasse "la natura gravemente siccitosa del suolo". Solo una minima parte della popolazione trova lavoro e occupazione nell'artigianato e nell'industria, nel cui campo si sta rapidamente e sicuramente affermando un giovane complesso siderurgico, sorto da qualche decennio in agro di S. Felice, nei pressi dello scalo ferroviario, sulla Bari-Taranto.    



“Vita mortuorum in memoria posita est vivorum”
– trad.: “La vita dei morti risiede nel ricordo dei vivi”. (Cic. Phil., 9, 10).

I N T R O D U Z I O N E

Un autorevole studioso e maestro di Storia, l'Omodeo, rivolgendosi a quanti sono interessati alla soluzione di problemi storiografici, così scrive4:
"Per intendere un fatto storico, bisogna cogliere il processo che lo ha reso possibile nel suo sorgere e svolgersi e simultaneamente bisogna intendere e seguire la situazione politica, da cui scaturiscono le possibilità di azione nei vari momenti storici........... non è pensabile né ricostruibile, se non come storia universale.....".
Con la scorta di questi preziosi suggerimenti non è problema grave per noi dipanare dal groviglio della storia l'intricata matassa della nostra vicenda.
Pertanto, nel nostro rapido excursus, muoveremo proprio da quegli avvenimenti politico-militari che hanno avuto con il bombardamento di Sannicandro stretti rapporti di causa ed effetto e che, secondo noi, fanno capo alla Conferenza di Casablanca. La quale, fermamente voluta dal Presidente degli Stati Uniti d'America F.D.Roosvelt, fu tenuta verso la metà di gennaio del '43, nel momento in cui più drammatiche si facevano e la posizione delle Forze dell'Asse nell'Africa Settentrionale e la situazione politica  e  sociale  in Italia.      Con quell'incontro al vertice il Capo della Casa Bianca intendeva fare il punto della situazione generale del conflitto, discutere e proporre le linee fondamentali dell'azione militare e politica futura.
Fu esattamente in quella circostanza, che, come avremo modo di rilevare nel capitolo seguente, ebbero pratica ideazione e progettazione le invasioni di Sicilia e d'Italia (The allied invasions of Sicily and Italy) e, nel loro ambito, quella poderosa offensiva aerea che, nel giro di tre mesi, avrebbe condotto l'8^ Armata Britannica e la 5^ Americana prima in Sicilia, poi, su per la Penisola, nelle nostre terre, sino all'infausto 8 settembre.
Quegli incontri, come quelli successivi di Washington, in un primo momento apparvero futili ed insignificanti, successivamente dimostrarono invece tutta la loro fondamentale importanza, poichè segneranno l'inizio di tante fortune per gli Alleati, costituiranno il punto di partenza di quella che W. Churchill ha chiamato giustamente "svolta fatale" della guerra. 
Fatale, nel significato originario di voluto dal "Fato"5: in senso positivo, fortunato (per il suo Paese, l'Inghilterra, che, di fatto, vincerà la guerra); in senso negativo, rovinoso, disgraziato, sfortunato (per la nostra Italia, che, invece, la perderà; per Sannicandro, che, ahimè!, vedrà nelle sue vie morti e macerie, sangue e rovine).







Cap. I  :
LE CONFERENZE DI CASABLANCA E DI WASHINGTON E LA  SVOLTA DELLA GUERRA
L’”Operazione  Husky”: 1ªfase.

Nell'autunno del '42 inizia la parabola discendente delle fortune militari delle Forze del Tripartito6. Costrette a sottostare alla sorte mutevole delle umane vicende e a quella legge superiore non scritta, che impone a tutti il suo volere, esse assistono ora, quasi impotenti, al corso nuovo e agli sviluppi imprevisti che stanno subendo gli avvenimenti militari.
Il capovolgimento della situazione è dovuta sì alla stanchezza e al logoramento psicofisico cui sono stati sottoposti gli eserciti nel passato, ma è pure la diretta conseguenza di uno stato di cose che si è maturato lentamente nel tempo e che ora fa sentire i suoi malefici effetti.
Artefice prima di questa inattesa metamorfosi della guerra è l'industria americana, la quale, favorita dal fatto di essere lontana dai pericoli che corrono nei loro paesi le industrie europee, da tempo sta gettando nel rogo delle battaglie una quantità impressionante di carri armati, di aerei, di armi, di munizioni, di mezzi di ogni specie, tecnicamente perfetti e aggiornati secondo gli ultimi ritrovati della tecnica e della scienza - si pensi al "radar" e al suo impagabile apporto dato alle navi e agli aerei anglosassoni, che avevano la fortuna di esserne provvisti.
Grazie a questa industria, gli Alleati sono riusciti a conservare quasi per intero il dominio del mare non solo, ma, ora, si accingono a conquistare,  gradatamente, anche la supremazia aerea, che sarà determinante nel prosieguo della lotta, come vedremo.
E, mentre in Tunisia arde una feroce battaglia, il cui esito,. data la situazione generale, appare ormai scontato, gli strateghi d'oltre Atlantico, politici e militari, di comune accordo, propongono, per bocca del Presidente Roosvelt, di convocare una conferenza ad altissimo livello, o vertice strategico per fare il punto della situazione.
Piace soprattutto a W. Churchill l'idea lanciata dal Presidente americano, perché l'incontro gli fornirebbe l'occasione per fare accettare la tesi dell'apertura di un secondo fronte in Europa nel nuovo anno. Non trova consensi, invece, presso il russo Stalin, che, essendo peraltro fortemente impegnato contro il tedesco invasore, declina l'invito e diserta i lavori.
E così, il 14 gennaio 1943, gli Alleati si danno segretamente convegno a Casablanca7, in riva all'Atlantico, nel Marocco 
Settentrionale e danno vita  ad  una    conferenza di portata e di valore storico per dieci giorni di seguito.
Un ragguaglio completo sullo svolgimento dei lavori e sulle decisioni prese alla sua conclusione ce lo dà il vero protagonista della stessa, W. Churchill, diventato, per l'occasione, cronista d'eccezione.

"Il 12 gennaio - comincia così il suo racconto8 - partii per l'Africa Settentrionale e il viaggio fu alquanto movimentato .......Volammo a 2500 metri per tenerci al di sopra delle nubi in una temperatura glaciale, data la stagione.........Mi svegliai alle due del mattino, mentre ci trovavamo sopra l'Atlantico, a 800 km dal più vicino aeroporto.........

.........Arrivati a Casablanca, costatammo che tutto era preparato magnificamente. Per ricevere le due delegazioni era stato preparato un grande albergo nel quartiere di Anfa. Attorno all'albergo c'era un certo numero di ville estremamente comode....
.........Il Presidente americano arrivò nel pomeriggio del 14 gennaio. Il generale Eisenhower arrivò un paio di giorni dopo e 
mise il Presidente e me al corrente dei progressi dell'8^ Armata. Egli fece un'ottima impressione al Presidente che accolse con entusiasmo tanto lui quanto le notizie che portava: presto l'8^ Armata avrebbe conquistato Tripoli .
.........In quei giorni di gennaio il generale Eacher, comandante le forze aeree americane di stanza in Inghilterra, chiese divedermi. Parlammo dei bombardamenti diurni sulla Germania.......
.........Mi ero rammaricato che fossero stati consacrati tanti sforzi ai bombardamenti diurni, convinto che, se avessimo concentrato tutte le forze sui bombardamenti notturni, avremmo potuto lanciare sulla Germania un peso assai più notevole di bombe..........
.........Se gli Americani avessero puntato sin dall'inizio sui bombardamenti notturni, saremmo giunti molto prima al culmine della nostra offensiva aerea.......9........
Né io, né il Presidente assistemmo alle riunioni di Stato Maggiore, ma fummo continuamente tenuti al corrente e conferimmo quotidianamente con i nostri ufficiali.
Le differenze non si produssero mai su piano nazionale, ma tra il Consiglio misto e la Commissione interalleata. Da parte mia ero sicuro che il nostro prossimo obiettivo sarebbe stato la Sicilia... Rividi tutti i calcoli, poi il Presidente ed io demmo l'ordine di fissare "il giorno X" nel periodo favorevole della lunazione in luglio................
......In realtà le truppe aviotrasportate avrebbero agito nella notte del 9 luglio e gli sbarchi avrebbero avuto inizio il 10 all'alba.......
......Era giunto il momento di concludere.
L'ultima riunione ufficiale e plenaria con i capi di Stato Maggiore ebbe luogo il 23 gennaio, allorchè ci sottoposero il loro rapporto conclusivo dal titolo: "La condotta della guerra nel 1943". Tale documento può essere così riassunto :
a) Rendere più sicura la linea di comunicazione attraverso il     Mediterraneo;
b) Intensificare la pressione sull'Italia.

Per l'operazione in Sicilia è importante approfittare del periodo lunare favorevole di giugno per attaccare la Sicilia, tenendo presente il grave danno che avrebbe per tutti i nostri interessi un'evidente sospensione della nostra attività durante i mesi estivi".
Nella conferenza stampa tenuta alla fine dei lavori furono fatte queste solenni affermazioni :
"E' fermo proposito degli Stati Uniti e dell'Impero Britannico di continuare la guerra sino alla resa incondizionata della Germania e del Giappone..........
Intendiamo impedire al mondo di conoscere un'altra volta gli sconvolgimenti, le distruzioni, gli orrori causati......dai nazifascisti", (quelli commessi da loro non saranno orrori, ma errori o orrori di necessità, orrori di ritorno, orrori di serie B, non orrori quindi)..........Questo non significa e non potrà mai significare che noi insozzeremo le nostre armi vittoriose con la barbarie per semplice desiderio di vendetta......."
Alla Conferenza di Casablanca seguì, quattro mesi dopo, dal 12 al 27 maggio, quella di Washington, detta "Trident", nella quale i protagonisti della prima confermarono i loro piani di invasione della Sicilia per il luglio successivo e fissarono i loro obiettivi nel Mediterraneo: 1) Eliminare dalla guerra l'Italia; 2) Impegnare ed assorbire il maggior numero possibile di forze tedesche. Non riuscirono, però, a trovare un accordo pieno sui modi di attuazione dei loro piani. 
Infatti gli Americani avrebbero preferito chiudere immediatamente il nemico tedesco nell'Europa Occidentale e perfino nel Sud della Francia, ma i Britannici temevano che un assalto lanciato troppo presto attraverso la Manica avrebbe potuto essere disastroso.
Per loro la via logica era quella di proseguire l'iniziativa nel Mediterraneo "per colpire", come disse Churchill, nella parte bassa dell'Axis, con la forza giusta e nel più breve tempo possibile......... “At the nuder belly of the Axis in effective strengt and in the shortest time”.

La conferenza si concluse con l'accettazione con riserva da parte americana che la conquista della Sicilia e l'apertura delle vie di comunicazione del Mediterraneo fossero degli scopi utili per loro. Comunque il gen. Eisenhower riaffermò che quella "non era una proposta chiusa e che la Sicilia era un buon obiettivo, in parte perchè la sua occupazione dopo la conquista non avrebbe assorbito quantità imprevedibili di forze alleate.
E l'avventura ebbe inizio con il nome di “OPERAZIONE HUSKY”.






Cap.II :
L'ITALIA ALLA VIGILIA DI DRAMMATICI EVENTI

1. L’anno nuovo e l’apparizione della cometa.
2. Lo Stato sociale e gli umori del Paese, l’andamento e gli sviluppi della guerra.





Il '42 finisce - dunque - male per gli Italiani. Lascia in tutti un senso amaro di insoddisfazione e di smarrimento, che riesce difficile scacciare. Non è ancora scoramento né perdita di speranza in un ribaltamento della situazione militare, ma è perplessità, è scetticismo, è sconcerto per la piega presa dagli eventi, è paura di non farcela più, è ripulsa o rigetto di ideali e di idoli non più amati, è contestazione strisciante per una classe politica ritenuta responsabile di tutti i disastri patiti, è logoramento, è stanchezza derivata da lunghi anni di sacrifici, è umore nero, è terrore per quello stridìo di armi che giunge da laggiù, dall'Africa, dalla Sicilia, dal sud del Paese, tutti prossimi ad essere chiusi in una trappola di morte; è, infine, ansia non nascosta per i cosiddetti "influssi astrali", che, a dire degli astrologi, potrebbero influenzare, apertamente o nascostamente non importa,  la vita, la realtà, la storia futura del nostro popolo, è paura, per farla breve, per quella cometa10 vista anche ad occhio nudo, il primo dell'anno, "correre veloce, con il suo codazzo, tra le stelle della Grande Orsa". Soffia, pertanto, sulla nostra Penisola, un gelido vento di insicurezza e di angoscia che non apre certo il cuore alla speranza, un africo leggero che incupisce ed avvilisce più che non si dica.
Ma è davvero così malconcio il nostro Paese? E cosa c'è dietro a quel malessere generale? Quale ne è il clima sociopolitico? Che aria si respira?





Lasciamo rispondere un contemporaneo, scrittore e giornalista di gran vaglia, attento indagatore di pensieri e di ragioni. "Il 1 gennaio 1943 - narra P. Monelli -11 incontrai un amico e ci scambiammo malinconici auguri. Quest'anno, dissi, comincia di venerdì e per di più c'è anche la cometa.
L'anno nuovo si apriva fosco. La perdita della Libia era stato un duro colpo anche per un paese fattosi apatico come il nostro; tanto più che per qualche settimana, l'estate precedente, il popolo aveva potuto credere alla vittoria........La riconquista di Tobruk, la marcia vittoriosa e rapidissima fin dentro l'Egitto....avevano risvegliato non dico i Signori del governo....ma il popolo stesso.........
......Lo stato di guerra è ancora tollerabile, gli alimenti, per quanto insufficienti, vengono surrogati con un accorto sfruttamento dell'economia familiare, del piccolo contrabbando. I prezzi della borsa nera funzionano con rudimentale e misteriosa giustizia. 
Esclusi certi larghi strati di cittadini nelle maggiori città, impiegati, umili salariati, pensionati, che cominciano davvero a tirarsi la cinghia, il resto della nazione si barcamena alla meglio fra alti prezzi e privazioni.........
.......Le perdite di uomini - morti, prigionieri, mutilati - non ostante la grande retata di Libia e la disgraziata campagna d'Albania non appaiono ancora molto gravi, specie a chi ricorda che nella precedente grande guerra, al terzo anno, s'avevano già quattrocentomila morti. La guerra sembra ancora un'avventura d'oltre confine, una guerra di corpi di spedizione; la maggior parte dei giovani fa il servizio militare in patria, in tranquille guarnigioni, o è ancora lasciata a casa, tanto più che non si sa come vestirla e come armarla. I bombardamenti aerei hanno recato gravi danni a Genova, a Torino, a Milano, con turbanti conseguenze, ma non sono sentiti come minaccia quotidiana e terribile...........
........Questa guerra non piace a nessuno, ma molti pensano ancora che, poichè questa mattana si è fatta, tanto vale sperare che finisca bene ".......
La "baracca fascista" mostra di già tutto il provvisorio e il fragile che ha saputo costruire finora, ma regge ancora, pur se la guerra si fa sentire sempre più ostica. A renderla tale intervengono fatti nuovi, significativi ed eloquenti sul piano militare. Sono :
1) la conferenza di Casablanca, invano bollata dal capo del governo in carica come atto criminale pubblicitario, di fronte al quale "le forze dell'Asse non molleranno mai;
2) lo sgombero di Tripoli e la perdita della Tripolitania che portano le truppe dell'8ª Armata inglese alla frontiera libico-tunisina. "il momento è difficile - commenta il Capo del Governo italiano - ma abbiamo ancora i mezzi per superarlo";
3) l'abbandono definitivo della Libia e lo spostamento della guerra in Tunisia.
"Sembrava - scrive sempre il Monelli - che i più s'accontentassero di attendere la fine del Fascismo dalla sconfitta militare che auspicavano vicina, avendo già superato in sè i tradizionali sentimenti di Amor di patria e di orgoglio nazionale e, pur prevedendo che alla sconfitta non si poteva arrivare senza una rovina totale, una distruzione del suolo della Patria, già in corso per i bombardamenti aerei ormai quotidiani delle città di Sicilia, di Calabria, di Sardegna, della Campania.............
.......Avverrà che gli storici stranieri scriveranno che questi bombardamenti sollecitarono la formazione di uno stato d'animo antifascista nel popolo.......Diranno cosa inesatta.
In realtà, dove questi bombardamenti non abbiano ubbidito ad una riconosciuta necessità di guerra, per la distruzione di obiettivi militari, come è successo in Sicilia,dove un mese di azioni aeree basto' a distruggere le difese costiere e gli aeroporti, gli stormi da caccia e da bombardamento hanno disfatto inutilmente, ciecamente tesori d'arte e cimeli storici insostituibili nei secoli : come gli affreschi del Mantegna a Padova, andati in polvere per la capricciosa iniziativa di un bombardiere notturno che avrebbe potuto rimandare al giorno dopo, in piena luce e con più cautela, la ricerca della linea ferroviaria......per cui molti occhi si bagnarono di lacrime in Inghilterra e molti imprecarono al "glastly stupid blinder".......
......I bombardamenti valsero solo a far disperato il torpore in cui versarono spesso gli Italiani, i quali subirono spesso i bombardamenti con freddezza inerte. Siciliani, sardi, calabresi, napoletani, toscani, marchigiani, pugliesi accettarono le distruzioni dal cielo con la muta rassegnazione con cui, da secoli, accettano le distruzioni dai terremoti e dai vulcani....anzi avvenne che, nelle città più tormentate, la gente assunse una severità, una nobiltà di combattente, una tristezza dignitosa che rivelava quella classicità, quella maestà che viaggiatori di ogni tempo hanno riconosciuto al popolo nostro e riscattava ogni sua colpevole indifferenza quasi sentisse che le sofferenze, i sacrifici le erano imposti per sovrumana legge, superiore alle contingenze e ai motivi di questa guerra, per una fatale necessità del destino...."
In un rapido alternarsi di vicende liete e meno liete, di brevi speranze e di atroci delusioni, giunse, in aprile, Pasqua, la risurrezione del Salvatore......
"Cadeva altissima, - prosegue il Monelli - alla data più tarda che sia consentita dall'epatta (=aggiunta di 11 giorni) e dalla lettera domenicale. Pasqua che cade due o tre volte al secolo, temuta dagli stregoni e dai profeti; Pasqua che ricorre il giorno di S. Marco (25 aprile), quindi la Pentecoste viene il giorno di S. Antonio (13  giugno) e il Corpus Domini il giorno di S. Giovanni Battista (24 giugno), sì che la quartina che si legge sopra il muro di una Chiesa presso Treviri (città della Gallia Belgica) dice:
"Quum Divus Marcus paschabit, et Antonius pentecostabit, et Johannes corpus dabit, totus mundus lacrimabit". Significa che "Quando la Pasqua cadrà nel giorno di S. Marco, la Pentecoste si festeggerà nel giorno di S. Antonio e il Corpus Domini ricorrerà nel giorno di S. Giovanni Battista, tutto il mondo sarà in lacrime”.
Questa Pasqua era stata annunziata anche da visionari ispirati: "In quell'epoca gli uomini si uccideranno tra loro con furore indescrivibile" - presagì l'estatica Elisabetta Canori; "l'atmosfera sarà appestata dalla presenza visibile dei demoni che si mostreranno sotto mille forme", predisse, più di cento anni fa, la venerabile Anna Maria Taigi 12 (i Beaufighter, i Liberator, i Wellington, gli Stukas, gli Junker, gli He 51, gli S.M. 82.......)
Ferve sempre la lotta in Tunisia, ma la minaccia che da tempo incombe come una spada di Damocle sulla testa degli Italiani non appare più lontana come prima. (ovvero come una minaccia sempre pendente).
..."Da due tre mesi, - è sempre il Monelli che racconta -, ogni giorno stormi di bombardieri volano sulla Sicilia, sulla Sardegna, sulla Calabria...sulla Puglia...; Cagliari è distrutta; Messina è distrutta; cento borghi calabri e siculi sono distrutti; Napoli è bombardata per la settantesima volta; le popolazioni siciliane non hanno, da alcune settimane, alcuna distribuzione di viveri e bisogna aprire i magazzini per evitare sommosse....
...Il 22 maggio, celebrandosi il IV annuale del "Patto d'acciaio"13, Mussolini telegrafa a Hitler assicurando che "è certo della vittoria finale"...
...le nostre difese - continua il Monelli - si spappolano sotto i bombardamenti, gli aeroporti non esistono più, sparuti apparecchi da caccia ronzano disperatamente in un cielo obnubilato da stormi di centinaia di apparecchi nemici".
L'apertura del Fronte Sud o italiano della guerra è sempre più vicina. Intanto  finiscono di tornare disfatte dalla Russia tante nostre gloriose Divisioni: la Julia, per esempio, la Tridentina,  (quanti dei loro effettivi  sono riusciti a mettersi in salvo ?) ;  si disfa pure l'esercito d'Africa dopo essersi strenuamente battuto nelle battaglie del Mareth, degli Sciott, di Enfedaville, contro centinaia di carri armati di nuovissimo tipo, contro interminabili colonne di soldati di ogni colore freschi e riposati.
L'italico onore è salvo ma la fortuna ha voltato le spalle ai valorosi. A nulla valgono i pressanti appelli del Capo del Governo al popolo italiano perchè sia unito e compatto nel respingere qualsiasi tentativo di invasione.
La RAF e l'USAF, congiunte sono un rullo compressore che tutto schiaccia e annienta, secondo la dottrina del "moral bobbing" o bombardamento aereo del morale (dei civili)14. E proprio in questa strategia, in questa idolatrata filosofia della guerra è riposto il bandolo della nostra matassa. Come appunto vedremo in seguito.






Cap.III:
"STANNO SUONANDO  ALLA   PORTA"

La fine della resistenza armata in Tunisia e l’apertura del nuovo fronte di guerra nel Canale di Sicilia.



Così dicono abbia esclamato Benito Mussolini alla notizia che alle 7.52 del 12 maggio era stato proclamato il "cessate il fuoco" in Tunisia.
Vere o false, queste parole contengono tutta l'amarezza di un sogno svanito, l'ambascia di una realtà densa di preoccupazioni, l'angoscia per un futuro pieno di triboli e di sofferenze per tutti, l'invito accorato a serrare le file, a stringere i denti dal momento che il nemico è alle porte di casa . Non ne è più lontano come prima. Vi è giunto al termine di una battaglia durissima, altalenante. Così :
"Perduta la battaglia di El Alamein, il generale tedesco Rommel abbandona la Libia, entra anche lui in Tunisia insieme con il 30° Corpo d'Armata italiano e si schiera sulla linea del Mareth. Comanda questo nuovo schieramento l'italiano gen. Messe, che, nel febbraio '43, riesce vincitore a Kesserim. Contro l'8ª Armata britannica si batte con valore la 1ª Armata italiana sin quando non è costretta a ritirarsi ad Acarit. Non molto meglio vanno le cose ad ovest, dove il tedesco gen. Von Arnim è costretto ad arretrare, mentre ad Enfedaville a stento si riesce a contenere la spinta vigorosa degli Inglesi. Ai primi di aprile, ridotto ormai del 50% il peso delle forze in campo, diminuito il potenziale dell'artiglieria, cessati i rifornimenti dall'Italia in conseguenza della efficace azione svolta nel Canale di Sicilia dai mezzi navali nemici, le cose precipitano per gli Italo-tedeschi. Il 7 aprile l'8ª Armata britannica e il II Corpo d'Armata americano si ricongiungono nei pressi di Gabes e stringono in una morsa le forze antagoniste. Durante il mese di aprile la caccia americana abbatte 200 aerei da trasporto dell'Asse, tra la Sicilia e la Tunisia e i rifornimenti si riducono sempre più. Superiori ormai per numero e per mezzi, le forze alleate conquistano Tunisi  e Biserta, costringendo le forze dell'Asse, prive di rifornimenti e fiaccate dallo sforzo compiuto, a ripiegare su Capo Bon. Pochi reparti riescono a sottrarsi alla cattura e alla prigionia.
Il 13 maggio il crollo dell'Asse in Tunisia è un fatto compiuto.
Duecentocinquantamila uomini, tra Italiani e Tedeschi, vengono catturati dagli Alleati. Per loro la guerra è finita, ma comincia l'amara vita dei campi di prigionia. Per noi meridionali la guerra diventa realtà ancor più cruda, più drammatica, più coinvolgente, perchè, se si è compiuta la prima fase, ora si sta per passare alla seconda.
L'attua, senza por tempo in mezzo, il generale Eisenower, impegnando nei cieli dell'Italia insulare e peninsulare migliaia di bombardieri, caccia e ricognitori in un gioco interminabile di agguati e di assalti apparentemente inspiegabili.
Tra l'11 e il 13 giugno le isole di Pantelleria, Linosa e Lampedusa, sottoposte a micidiali bombardamenti dall'alto, si arrendono e diventano a loro volta preziose basi di lancio contro il nostro Paese.
Il 24 giugno il Capo del Governo italiano, commentando la situazione militare dell'Italia, afferma che essa non è affatto compromessa e che con un po' più di fortuna potrà migliorare e conclude: 
"Gli Italiani sono pronti a compiere per intero il proprio dovere e non esiteranno a fermare il nemico appena sbarcato sulla linea del bagnasciuga" (la linea, cioè, dove l'acqua finisce e comincia la terra).                 
Ma, ahimè, la sua fiducia si rivelerà presto mal riposta e le residue speranze della nostra gente cadranno inesorabilmente sotto i possenti colpi di maglio delle forze aero-navali nemiche.






1943 – LE OPERAZIONI IN TUNISIA.






Cap. IV :
IL   SUD   NELLA   BUFERA

1. La 2^ fase dell’operazione “HUSKY”.
2. L’Armata di Tedder spiana la strada all’invasione.
3. La violenta pressione aerea e il comportamento della gente.
4. La quiete...prima della tempesta a Sannicandro.
5. Nota glottologica.


Cessate le ultime resistenze nel canale di Sicilia e cadute nelle mani degli alleati le isole minori, maturano le condizioni per l'attacco decisivo all'Italia. Lo sferra con estrema durezza l'aviazione alleata agli ordini del gen. A. Tedder, il quale, da esperto conoscitore di strategie del bombardamento aereo, da tempo ha messo su un'imponente forza d'urto, imperniata quasi esclusivamente sui bombardieri, che, secondo quanto riferiscono alcune fonti 15, ammontano a varie migliaia di velivoli (pare dell’ordine di 4.000 unità),  d’ogni tipo e grandezza - Mosquito, Wellington, B 17, B 24 ecc.- inquadrati nelle varie RAF, USAF, NAAF, NINTH AF, RCAF, e avvantaggiati dal fatto, invidiabilissimo, che possono tutti operare da basi ravvicinate del Nord Africa. 
Per fronteggiare un nemico così forte l’ASSE non ha a sua disposizione forze altrettanto considerevoli. Scrivono, infatti, a riguardo critici autorevoli16: “....alla fine della campagna tunisina la 2ª LUFTFLOTTE era ridotta a disporre di appena 254 velivoli (otto da ricognizione tattica, dieci da esplorazione strategica, centotrenta tra caccia e caccia-bombardieri, diciotto caccia notturni e ottantotto da combattimento”. In seguito, quando, forse, era troppo tardi, “essa venne fortemente potenziata tanto che poteva disporre di 952 velivoli”.
A questi si aggiungevano i velivoli italiani, le cui possibilità, sempre secondo la fonti anzidette, “avevano raggiunto il più basso livello”:  I caccia moderni tipo MC 202, MC 205, RE 201 e RE 2005, pur essendo tecnicamente validi, erano inferiori di numero ai paragonabili velivoli alleati, mentre la loro attività era anche limitata dalla scarsità di motori e pezzi di ricambio.
I bombardieri e gli aerosiluranti possedevano a loro volta caratteristiche ormai sorpassate, essendo lenti e vulnerabilissimi e non potevano essere impiegati di giorno contro  la netta  superiorità  aerea  avversaria, mentre soltanto un piccolo numero poteva svolgere attacchi crepuscolari e notturni a causa dell’insufficiente addestramento degli equipaggi ad agire nell’oscurità per mancanza di adatti artifizi illuminanti...
....Consapevole dell’inferiorità della propria aviazione, Mussolini, il 25 marzo 1943, aveva richiesto all’alleato la consegna di 500 aerei, soprattutto da caccia e da bombardamento.
Tale necessità fu ribadita dal Gen.Ambrosio nella riunione tenuta tra i capi militari dell’ASSE dal 7 al 10 aprile a Salisburgo, ma i tedeschi, ritenendo necessario effettuare ogni sforzo per eliminare la Russia, risposero di non trovarsi nelle condizioni di aderire a tale richiesta. Essi poterono fornire soltanto una cinquantina di “JU 88”, nonché un centinaio di caccia “BF 109” che vennero assegnati a due gruppi dislocati in Sicilia. Complessivamente 930.17
Obiettivo preminente delle migliaia di “guastatori dell’aria” d’oltremanica e d’oltreoceano è lo smantellamento dell’apparato militare predisposto dall’Asse nelle regioni insulari e peninsulari dell’Italia meridionale, meglio “la cottura”, per usare un termine caro al sig. W. Churchill, del territorio italiano, in particolare, nei punti prestabiliti per lo sbarco “ad Italian invadendam”.
Consci delle enormi difficoltà che l’impresa comporta e dei rischi ad essa connessi, gli Stati Maggiori alleati la preparano con ogni meticolosità e l’affrontano con la determinazione e la grinta loro abituali.  E, dalla seconda metà di maggio in poi, battono ogni punto del territorio italiano, martellandone ripetutamente gli obiettivi militari, senza però risparmiare le popolazioni civili, che, talvolta, risultano le uniche e le sole ad esserne colpite. E ciò per scardinarne il morale. Per far meglio breccia nell’animo depresso della gente, specialmente del Sud, stordita da mille angosce, logorata da secoli di povertà e di abbandono, intristita da malgoverni, da gelosie di fratelli, da miserie umane vecchie e nuove, pressata, infine, dalla casa che brucia e dai sogni che svaniscono.
Ma, non per questo la nostra gente cade nella trappola dei ricatti e delle lusinghe, non per questo rinunzia a resistere, si arrende ed alza bandiera bianca. E, dura a morire, finisce coll’ergersi a protagonista del conflitto, sull’altare del quale non esita a sacrificare tutta se stessa - orgoglio, dignità, fierezza, spiritualità, civiltà, storia, sostanze, vita -, tutto ciò, insomma, che fa grande un popolo, maggiormente ora che lo scontro accenna a trasferirsi tra le mura di casa, che ogni cosa viene messa in forse e c’è tanto da soffrire e da stringere i denti. Se vuoi far salvo l’onore, conviene resistere. E il sud resiste, come può, fin che può, all’insulto e all’insolenza di un nemico strapotente.
Gli assalti più rovinosi e furiosi i bombardieri anglo-americani li rivolgono, per ovvie ragioni tattico-strategiche, contro le strutture portuali e aeroportuali e viarie delle isole maggiori, particolarmente siciliane, lasciando così capire che per gli Stati Maggiori alleati la regione più indiziata allo sbarco è la Sicilia. Più tardi, messe fuori uso quelle e resosi necessario amplificare il raggio dell’azione, gli aerei nemici prendono di mira, una dopo l’altra, anche le attrezzature esistenti nelle regioni calabresi, campane e pugliesi, peraltro mai dimenticate e continuamente tenute sotto controllo dalla ricognizione. (Infatti, di notte e di giorno – raccontano testimoni oculari, ci sovrastava il ronzìo di uno o più ricognitori, ci tenevano compagnia improvvise salve della contraerea o piovevano dall’alto manifestini.)
Di conseguenza saltano i collegamenti tra l’isola e il continente, tra una regione e l’altra, tra una provincia e l’altra, gli approvvigionamenti s’interrompono, le scorte, già scarse, di generi alimentari si assottigliano vieppiù sino a scomparire del tutto.  Sicchè finisce che “la fame la si pigli – come si dice – con le mani” e che anche la gente di campagna, con tutta la sua antica proverbiale preveggenza, trovi difficoltà a scodellare sulla mensa, per sé e per  gli altri, una pur modesta “suma” di ceci o di fave18.
Ma in Puglia non si soffre solo la fame, si vivono altresì, sebbene non di continuo, lunghe ore di paura, di allarmi e di cessati-allarme, di angoscia, di trepidazione nel timore di un possibile attacco aereo. Dappertutto : nei grandi come nei piccoli centri, a Bari come a Brindisi, a Grottaglie come a Gioia del Colle, a Palese come a Taranto, dove rimane peraltro sempre vivo il ricordo dei terribili «Swordfish»19; nelle città semievacuate o nelle campagne semiabbandonate, arse e riarse dalle avverse condizioni atmosferiche e dal gran sole estivo;   sulla ventilata Murgia o nell’assolato Tavoliere dauno, sulle colline del Salento o tra gli ulivi del Barese, tra i campi di grano già mietuto ancor disseminati di biche o sulle aie attorniate da misere mete di biada o di grano20, pronte per essere trebbiate da veloci trebbiatrici o calpestate, come ancora si usa da noi, dai pochi muli scampati ai rigori delle steppe ucraine o ai dirupi delle montagne albanesi.
Pure, tra tante angustie e stridòri di armi, non è difficile cogliere momenti di calma apparente o leggere sul volto di ciascuno segni consolanti di rilassamento e di tranquillità e di piena fiducia in Dio, come ben dimostra quel placido “declinar” del 25, all’interno della nostra comunità paesana. 
Le ombre della sera son scese benefiche sulle cure quotidiane e la cena è stata consumata alla svelta. Si sono spenti gli ultimi conversari tra amici, vuotati i circoli e i bar.  I «gallinari»21 sono già nelle braccia di Morfeo (il greco dio del sonno) e forse sognano... la pace. 
Spariti dalla scena quasi tutti i nottambuli, vinti dalla stanchezza e dalla voglia di riposo, domina nel silenzio generale, unico incontrastato signore, un certo cicaleccio di donna, buono anche a vincere l’insonnia e a godersi, alla  maniera di mamma Lucia, seduta al solito posto, sul solito ruvido masso, sull’uscio di casa, la dolce frescura della notte incipiente.
Fasce di luce sbiadita filtrano per brevissimi istanti da questa o quell'abitazione. Nel cielo, sereno, stellato, uno spicchio di luna nuova disegna un falcino in fase calante. Vie e piazze deserte, tagliate velocemente da due guardie notturne (P.G. e L.M.) che subito scompaiono nel buio di una stradella.
Il paese è muto, immobile, vuoto, quasi fasciato da un silenzio triste e pauroso, rotto da un lontano guair di cani e da un vicino cantar di grilli.
Nitidi, perciò, giungono all'orecchio di quanti vegliano ancora i sonori rintocchi, udibili anche da lontano con il favor del vento, che ogni quarto di ora la campana dell'orologio (quella campana che per tanti anni ha ritmato - ed ora non ritma più, perchè sparita nel nuovo che avanza - la nostra, ahimè !, lontana infanzia) manda dall'alto della Torre del Municipio nel suo consueto scandire lo scorrere del tempo della nostra gente. 
Ecco : suona la Mezzanotte .
Poi : ......le 00,15.
Poi : ......le 00,30 ............
Silenzio profondo ...e....
.....quiete ...e...
...dolce “naufragar dello spirito”...
... nell'ora che corre ...
















NOTA  GLOTTOLOGICA – “Suma, Méta” ecc...


La presente nota, a carattere più specificamente storico-linguistica, non ha alcuna presunzione, se non quella di aiutare a capire la genesi e il significato di alcune parole della nostra parlata, usate a bella posta in questo studio, più nella forma volgarizzata scritta che non in quella fonica (che è ben altra cosa), e molto frequenti, una volta, sulla bocca dei nostri padri. Tra le più caratteristiche e significative, suma e méta testimoniano dell'origine, nobile e non plebea di tanti lemmi della nostra parlata, tutti di derivazione greco-latina, tutti appartenenti al lessico comune ai paesi o pagi della Magna Grecia, del cui mondo, in antico, noi abbiamo fatto, bene o male, parte, e dal quale non intendiamo lasciarci escludere oggi.
1. SUMA: di derivazione latina:
Da Sum(t)a, ae: s.f. = Presa, (quanto sta in un), pugno, manata (quanto sta nel cavo di una mano, o di due avvicinate per prendere qualcosa (grano, ceci, fave, lenticchie, ecc.) da immettere in un recipiente (pignatta, pignattello o pignatello) e farvelo cuocere.
Garg.Cur., initium; Nep.25, 21, 6; Cic.(De Oratore): 2, 84;
Liv. 3 , 19, 8.
Il suo radicale sum, dal quale si è staccato, nell'uso, per addolcimento, il gruppo consonantico pt, è rintracciabile nel verbo latino sumo, is, sumpsi, sumptum, sùmere: prendere, pigliare. Dunque suma - da sum(pt)a - significa cosa, o cose, presa con una , o due mani e versata in un recipiente. 
1. META: di derivazione latina: Da meta, ae: s.f. 1: Piramide, cono, covone, mucchio o cumulo a forma di cono o di piramide.
Cic. Rep.1, 22; Liv. 37, 27; Colunnella, 2, 18, 2.
Il suo radicale Met è rintracciabile nel verbo latino meto, is, (messui), messum, mètere: cogliere, raccogliere, mietere, tagliare. Dunque meta significa cosa (o cose) mietuta o tagliata e messa insieme con altre: meta di grano, di stoppie (l'stuc, in gergo), di fascine (o zeppr). Ai suddetti se ne potrebbero aggiungere, volendo, numerosi altri. Per esempio: "u vad", da vadus (passaggio); " la p'cciuedd " da puella (fanciulla); la "c'rasa" da cerasum (ciliegia), "n'sterz" da nudiustertius (avantieri), "p'trsin o patrsin " da πετροθελίνον,οο,το (prezzemolo) e .......cacaia da κακός,ή,ό (cattivo, difettoso, brutto che, in gergo, indicava, un tempo, una donna di rara.....bruttezza, che l'Urbinate (Raffaello) non avrebbe mai presa a suo modello e... “aminua” (lat. Amygdala,ae; greco αμυγδάλη,ης) = mandorla, il cui triplice radicale (ami o amy) rappresenta un’altra convincente prova del comune rapporto fra i tre lemmi.                






Cap.V:
QUELLA   TERRIBILE   NOTTE!
“Al complice chiaror di mute faci”
(Odis, II, 137)



Alle 00,33 in punto22, un ronzio d'aerei in movimento, cupo, ritmico, insistente, rompe l'incanto della notte, sale di tono, si allunga, fende l'immensità del cielo, penetra velocemente in terra di Puglia, dalla parte di Altamura23. Lo affronta il tiro preciso della contraerea di sud-ovest del Capoluogo barese24, decisa a contrastare con ogni mezzo l'avanzata minacciosa del nemico, che, però, prosegue imperturbabile per la sua strada verso i paesi della costa.
Splendono, al loro passaggio, sotto la volta del cielo, grappoli di razzi luminosi, brillano sulla terra strutture militari e civili abitazioni, mentre cominciano a cadere, qua e là, quasi a caso, le prime bombe, i primi spezzoni. "Contro chi? e dove si sfogherà - si domanda ansioso chi è ancora sveglio e può alzare gli occhi verso quelle sagome scure dei "Patfinders" (o battistrada) che corrono, corrono nell'immensità della volta celeste - l'ira tremenda dei diavoli dell'aria?". La risposta non si fa attendere a lungo.
Inaspettatamente altri aerei sopraggiungono, hanno come un'impennata, un rallentamento, e, in quel punto, abbassandosi, come falchi si avventano contro una tranquilla comunità della periferia, la insonnita Sannicandro, che naturalmente, non si aspetta di essere lei la vittima designata dell'imminente sacrificio, il bersaglio preferito dei "novelli giustizieri della notte" e, data l'ora tarda, è completamente deserta e, anche se si vede immersa in un'insolita sinistra luce, non crede di doversene dare soverchio pensiero.
Il primo segnale della tempesta in arrivo lo manda, prima che la campana dell'orologio del Municipio suoni il terzo quarto d'ora del nuovo giorno, un immenso boato, che, propagandosi con forza irresistibile all'interno dell'abitato fa da sveglia al paese, spinge quanti dormono o riposano giù dal letto, seguito immediatamente dopo, in un crescendo spaventoso, da una fitta grandinata di "piastrini incendiari e bombe di ogni calibro misti a manifestini"25, che sfarfallano beffardi, tra lampi, sibili e rimbombi assordanti, sui tetti delle case, nelle vie e nelle piazze, sul capo della gente incredula ed atterrita.
Provocati da un nutrito lancio di spezzoni, divampano, ad occidente, donde giunge la prima ondata, paurosi incendi, bruciano stoppie e sterpaglie, pigliano  fuoco   porte  e
suppellettili;  fiamme e fumo investono e avvolgono uomini e cose; un acuto senso di sgomento prende grandi e piccoli, spingendo gli uni nelle braccia degli altri.
Ecco: sull'aia di Vito Scuccimarri, poco lontano dall'ex Cinema Nuovo, un gran numero di covoni, frutto prezioso di un intero anno di lavoro e di attesa di poveri contadini, si sta rapidamente riducendo in cenere e fumo. 
S'infittisce frattanto la serie di esplosioni, si fa più nutrito il lancio degli ordigni di morte, sganciati, duole dirlo, con mano troppo pesante, su un paese rinserrato nelle proprie abitazioni, in un'ora di completo riposo.
L'orrenda devastazione è appena cominciata, ma già si notano, terrificanti, nel tessuto della città, i segni della violenta tempesta che si è scatenata: edifici polverizzati, edifici sventrati, case bersagliate da schegge, muri bucherellati, marciapiedi infossati o sollevati come se una convulsione avesse scrollato il suolo, fili della luce penzolanti o aggrovigliati, pali contorti o piegati in avanti, crateri e vuoti aperti in un baleno tra un caseggiato e l'altro. E dentro tutto questo sgomento, desolazione, disperazione, smarrimento di tanti sventurati.






D'un tratto si ha la sensazione che la violenza del primo momento stia rallentando e voglia placarsi, ma non è così. Chè, sopraggiunti altri aerei, in ondate successive, la grandinata risale di tono, raggiunge e sorpassa l'intensità di prima.
Ora nuvole di polvere, di calcinacci sbriciolati e di fumo nero e acre, riempiono l'aria ammorbandola e rendendola irrespirabile. Urli, lamenti, invocazioni salgono al cielo nella fitta oscurità  della notte. Notte da tregenda, notte da inferno, notte da Apocalisse! Per tutti! Per quelli, che, fortunati, hanno scelto di fuggire lontano, sottraendosi a morte sicura. Per quelli che, invece, bloccati dallo spavento, sono rimasti intrappolati in un sottoscala o vivono  in un angolo nascosto di casa certamente i momenti più terribili della loro vita, vittime inconsapevoli di un inconsapevole sacrificio.
Scompaiono, così, strappate dalla bufera, case pur forti di una provata solidità derivata dall'essere state tagliate nella dura pietra della Murgia barese, prova tangibile di un passato fatto di stenti, di fatiche e di sudori, o mietendo grano, sotto la sferza del sole estivo, tra le sterpaglie e i cardi di Parco Grotti o di S. Felice o tra i roveti delle infocate colline di Montepeloso, (in Basilicata), raggiunte tante volte, a piedi nudi, bisaccia a tracolla, falce in mano, stomaco vuoto, per raggranellare un po' di lirette e portare a casa un tozzo di pane in più per i propri piccoli) o spigolando mandorle o raccogliendo olive, (senza perderne neppure una), sotto la "filata" della "montagna" (la tramontana), che, d'inverno, spesso punge e staffila la povera gente di Puglia.
La gragnola di bombe non s'accontenta delle poche vittime mietute, cerca il massacro e lo trova e lo compie, alfine, in pieno centro abitato, nell'antico rione dello Spirito Santo e in Via Ponticello, aree urbane antistanti o circostanti al Castello. 






La massiccia mole di questa solidissima roccaforte, eretta, secoli addietro, contro  l'invadenza  e   la ferocia dei Saraceni (Hydruntum memorat !)26  viene anch'essa presa di mira, forse perchè creduta covo e rifugio di armi ed armati di parte germanica, riesce, non si sa come, a sfuggire ai ripetuti assalti e a restare illesa.27.








Sorte men lieta, sorte amara, invece, tocca alla contigua, trisecolare Chiesa del Carmine28, uno dei templi più cari, dopo il "Crocifisso" e lo "Spirito Santo" ai nostri padri, quello che più di ogni altro, forse, meglio custodiva fede, tradizione e spirito religioso del popolo di Sannicandro . Centrata da una bomba e da spezzoni, frana in un mucchio polveroso di macerie, trascinando con sè nella rovina la bella immagine della Madonna, riconosciuta anche per miracolosa, la quale, piegata sul lato sinistro, agli occhi rossi di pianto dell'arciprete don Antonio Giammarella, di don Coletto Guglielmi, padre spirituale della stessa chiesa, di don Leonardo Clarizio, di altri sacerdoti e del popolo accorso sul  posto subito dopo, in lacrime, mostrerà - Horribile visu! (cosa terrificante a vedersi) il manto stracciato e bruciacchiato, la testa rotolata per terra, le braccia mozzate.
Ma la furia irrefrenabile dei nuovi Saraceni non s'arresta qui, non si limita a codesto sacrilegio, non si sente paga dello scempio compiuto, della morte seminata, delle lacrime sparse.
Con l'irruenza propria di un torrente impetuoso che tutto travolge e sconvolge il turbine prosegue la sua folle corsa in altre zone dell'abitato, rovesciando altro tritolo, mietendo altre vittime innocenti, devastando altre abitazioni.
Dove sono, intanto, quelle belle, linde casette, così luminose e candide nel biancore della calce viva, vanto e ornamento di chi ci abitava? Scomparse! Dove le tipiche scalinate esterne di tante vetuste abitazioni, così comode e riposanti al momento del bisogno? Sparite! E i volti rugosi e bruciati dal sole di tanti anziani lavoratori dei campi  e l'angelico sorriso di rosei angioletti da poco nati alla vita? Mistero!
Bruscamente, il fragore delle esplosioni si attenua, cessa del tutto. Il volo radente, assordante, dei diavoli dell'aria s'interrompe, tace. E' finita? No.
C'è ancora qualcosa d'indefinibile che appare quasi sospeso nell'aria e che si sostanzia piombando, d'improvviso dall'alto: una raffica rabbiosa di mitraglia, violenta come una frustata, s'abbatte fulminea sulla gran fiumana di gente mentre corre disperata verso "il canalone”.
Qui, inseguito dalla rabbia di un'altra granata dell'artiglieria italiana , quasi sollevato da un subitaneo colpo di vento, l'ultimo "giustiziere" d'Oltremanica leva alto il muso del suo destriero d'acciaio e rapido nella notte s'invola, dietro le stelle.
Un paese piange, un orologio suona ancora!
Sono le h. 01,15!






Cap.VI :
FATTI E MISFATTI DEL BOMBARDAMENTO TRA CRONACA, STORIA E  TESTIMONIANZE.


Dopo l'ultima scarica di mitraglia, un silenzio irreale scende sull'immane tragedia e per un  certo tempo - poco più di un'ora, dalle 02.00 alle 03.00 circa - nessuno osa violarlo. Ma, ai primi albori, passati l'incubo degli aerei e il timore di un loro possibile ritorno, i più coraggiosi provano a mettere la testa fuori del proprio nascondiglio e piano piano prendono ad avvicinarsi ai luoghi donde provengono grida e lamenti disperati.
Nessuno si tira indietro. Chi può si rimbocca prontamente le maniche e offre spontaneamente tutta la propria disponibilità.
E' chiaro, a smuovere massi e calcinacci non possono bastare le mani, né sono sufficienti badili, zappe e mastelle raccattabili in fretta sul posto; è poca cosa, di certo, il gran daffare di amici e parenti per quanto numerosi e ben disposti, occorre ben altro, occorre la forza, la pratica, di gente esperta, capace di operare con amore e competenza .
Ma, come fare? Come informare dell'accaduto le autorità dello Stato? 
Il telefono è fuori uso, saltato è ogni collegamento con Bari. Risolve il difficile problema la prontezza di spirito di un sannicandrese tutto cuore e dinamismo, ammirevole per questo suo spiccato senso dell'umana solidarietà, la guardia municipale Ciccillo Maffei. Coadiuvato da un amico, il cegliese Francesco Fratello, il nostro bravo vigile non esita a montare su un vecchio "sidecar" guidato dal proprietario della moto e a raggiungere, con una drammatica corsa nel buio della notte, con il ronzio degli aerei, lo scoppio delle bombe, il fragore dei crolli ancor negli orecchi, il bruciore della polvere e del fumo negli occhi, la prefettura del capoluogo, dove nessuno sa nulla, e a mettere in moto la macchina dei soccorsi.29 
L'intervento dei vigili del fuoco e di alcuni reparti dell'esercito “italiano e tedesco” è pronto e immediato e contribuisce a salvare non poche vite umane.
Le cure più sollecite sono rivolte anzitutto ai feriti più gravi, che, per fortuna non appaiono numerosi .
Appena rimosse, le macerie restituiscono, esanimi, i corpi sfigurati ed orrendamente maciullati di non pochi sventurati, in gran parte donne e bambini.
Tra un profluvio spontaneo di lacrime essi vengono delicatamente sollevati e immediatamente trasferiti sul nudo pavimento della piccola Chiesa del Crocifisso, all'imbocco della provinciale per Cassano, dove vengono pietosamente composti nelle bare e sottoposti alla difficile opera di riconoscimento. “Mi sembravano tanti appestati quegli sventurati” - ricorda ancora inorridita e sconvolta la Signorina Nina Novielli - mentre buttati su carretti e birocci venivano portati al “nuovo lazzaretto”.
“Ricordo tuttora quel momento - racconta, ancora oggi profondamente turbato il Generale della Guardia di Finanza Rocco Maffei - volli accompagnare, allora giovinetto, mio padre, delegato dalle autorità a quella penosa incombenza, che, per necessità di cose, doveva essere rapida e sollecita. Ricordo i corpi irriconoscibili di tanti infelici allineati uno a fianco dell'altro sul pavimento della chiesa, ricordo la grande   totale oscurità che incombeva nel tempio, ma ricordo più di tutto il buio fitto, a mala pena attraversato da un fioco lume di torcia che avvicinava il viso di qualcuno. Davvero terrificante, spettrale !".
Fra i volontari lavorano con tanto impegno due giovani, S. V. e G. M., accorsi per vedere "de visu" i risultati dell'inutile bravata dell'aviazione anglo-americana. "L'attacco a Sannicandro, - dicono - l'abbiamo recepito nel momento stesso in cui veniva portato, e da Bitetto e da Ceglie del Campo vedevamo perfettamente in lontananza il bagliore dei razzi sganciati sul vostro paese, udivamo anche, sebbene attutito il rimbombo degli scoppi che nel silenzio della notte si propagavano all'intorno con la loro tipica sonorità. Ed era forte la tentazione in  noi giovani di montare in bicicletta e di correre qui da voi ....".






“Per la vita oltre la morte.

Sono oltremodo encomiabili l'operosità e la diligenza profuse dai soccorritori venuti dai paesi vicini, procedono ognor più spedite le operazioni di scavo e di rimozione delle macerie.
Ma le difficoltà sono tante e bisogna usar cautela nell'affrontare i muri pericolanti.
In una viuzza laterale di Ponticello, Via Scesciola, un uomo scava, solo, con furia disperata, tra le macerie di una casetta a due piani: è Giuseppe Giampetruzzi. Non bada alle esortazioni di alcuni, agli avvertimenti di altri, che, impauriti, gli indicano un muro oscillante.
"Sua moglie e due suoi figli sono rimasti là sotto - spiega una donnetta -. Lui stanotte era a Mola di Bari, dove presta servizio militare". Due pompieri lavorano un po' più lontano da lui, in un altro posto. E lui, incurante di tutti, continua a scavare, senza aspettare l'aiuto di nessuno. Dice che il suo bambino lo sta chiamando. "Illusione, signore!", gli grida uno. Lui persiste nel suo lavoro. D'un tratto, tra la sorpresa dei presenti, dal gran mucchio di sassi e di terriccio, spunta il lamento di un bambino: è quello di suo figlio Marino. E' ancora vivo, dunque!. Ha ragione lui. E continua a scavare, finchè non lo vede riaffiorare, completamente ricoperto di polvere e di lividure, ma vivo. Dietro, a poca distanza da lui, il corpo senza vita della mamma ha fatto inutilmente, ma sublimemente da scudo alla piccola Beatrice di appena cinque mesi. L'immagine di un estremo atto d'amore. Per la vita oltre la morte!
Alle prime luci dell'alba, in Via Cassano, i soccorritori rinvengono, immobile sotto il lenzuolo, quasi raggomitolato su se stesso, il corpo di una giovinetta, Leonarda Farella; non trovano, invece, quello  della mamma di lei, Domenica Chimienti (o Cappuccio).
"Eppure - giurano le vicine di casa - era con noi, conversava con noi quando abbiamo udito i primi scoppi, le prime esplosioni. Ci ha lasciate di scatto, in un momento, ed è entrata in casa sotto i nostri occhi, qui dentro, ed indicano la camera da letto, che dà proprio sulla strada, per svegliare e mettere in salvo la sua unica figliuola. Non l'abbiamo più vista uscire". "Dov'è? Dov'è?", gridano ad una voce e cercano anch'esse con alcuni soldati. Inutilmente. (La ritroveranno - però - dopo circa una settimana di affannose ricerche, in fondo al pozzo di casa dove l'aveva scagliata l'esplosione della bomba caduta sulla sua abitazione.)
Ai più sembra sicuramente morta la giovane Nardina. Pur tra le riserve di qualcuno, la sollevano, comunque e, senza por tempo in mezzo, ne curano il trasporto direttamente al Cimitero, lasciando forte il dubbio che il suo decesso non sia affatto avvenuto.
Anche perchè il suo corpo non presenta lesioni di alcun genere. Il volto, infatti, è sereno, composto, i lineamenti, delicati e candidi, sono integri, non scalfiti da alcunchè.
E' morte vera o è morta apparente la sua?
Era sana, forte, sempre sorridente, la buona Nardina. E così felice e contenta di festeggiare con le amiche della sua infanzia quello che doveva rivelarsi,  -  ironia amara e beffarda della sorte! -, l'ultimo compleanno della sua vita. Era nata, infatti il 26 giugno di diciotto anna prima .
“Alle sette del mattino - racconta Teresa Chimienti - a Bari, dove mi trovavo per avere notizie di mia sorella ferita durante la notte e ricoverata d'urgenza presso l'Ospedale Militare, del bombardamento di Sannicandro, dei suoi morti, dei suoi feriti, delle sue case distrutte, nessuno sa ancora nulla e tutti si rifiutano di credere alle notizie ch'io do. Un po' più tardi, ecco il silenzio si rompe, la notizia mette le ali e vola e pian piano, chi prima, chi dopo, tutii ne vengono a conoscenza”.

Ore 07.40 - Telescritto n°02/3570
Da Comando IX Corpamiles
At Comando 7^ Armata – Italia    
Meridionale – Gen. ARISIO
....bombe hanno colpito case civili di Sannicandro di Bari causando 10 morti ed altrettanti feriti....
Ore 08.30 - Telescritto - In chiaro - Via 
                         telescrivente
At Superesercito Operazioni II
At Superesercito Difter    
At Comando Gruppo Armate Sud
7^ Armatamiles alt numero 2/3198 N.O. Alt novità operative at ore 8.30 due punti incursione aerea nemica su Bari da ore 00.33 at ore 02/10 con sgancio bombe che hanno colpito case civili di Sannicandro di Bari causando dieci morti e dieci feriti civili alt.
Ore 13: Alla radio vien letto il Bollettino di guerra n°1127, che così suona:
“Grosse formazioni di quadrimotori hanno ieri attaccato la città di Messina facendo vittime e danni considerevoli. Anche su Reggio Calabria, Sannicandro (Bari) e Vizzini (Catania) sono state lanciate bombe e spezzoni che colpivano edifici privati e causavano qualche perdita  alla popolazione civile.
Nel cielo della Sicilia, fra Messina e Catania, la caccia italiana abbatteva otto quadrimotori, quella germanica quattro, sei altri velivoli venivano distrutti dalle batterie della difesa di Messina e di Reggio. Non sono rientrati alla base due nostri aerei.
Un nostro sommergibile non è rientrato alla base”..
Sono necessariamente dati brevi, scarni, concisi, com'è nello stile dei bollettini di guerra, frammentari e laconici, data la concitazione del momento, le ragioni contingenti di ordine pubblico e le necessità impellenti del momento politico, non aggiornati al rapido susseguirsi degli eventi, volutamente addomesticati per non aggiungere turbamento a turbamento nell'opinione pubblica, la quale, però, intuisce prontamente la  diversa reale portata dei fatti.
Alla lettura di questo comunicato io che scrivo non sono presente, non mi trovo a Sannicandro, ne sono lontano più di mille chilometri, sono in grigioverde, in zona di operazioni, in terra straniera, al Quartier Generale della II Armata, P.M. 10. E' presente, però, il Comandante del mio reparto, un alto ufficiale di cui non ricordo il nome, che, incontrandomi subito dopo la lettura e sapendo di me e del mio paese di origine, a bruciapelo mi chiede :
“Vernì, sapresti dirmi quali obiettivi militari ha la tua Sannicandro?”. “Nessuno, Sig. Maggiore", rispondo prontamente. "Perchè ?", Sig. Maggiore, aggiungo io.
“Perchè - fa lui - hanno bombardato il tuo paese!. Ne ha dato notizia poco fa il giornale radio delle 13”. 
 Più non dice, più non dico.




 Più tardi l'Ufficio Operazioni dirama il seguente comunicato :
       “Da IX Corpamiles
       At 7^ Armatamiles
N°02/3648 alt. Seguito telescritto 02/3570 data odierna alt. Incursori nemici Sannicandro hanno sganciato settanta bombe medio e grosso calibro et spezzoni et piastrini incendiari alt. Hanno altresì  effettuato mitragliamento e lanciato manifestini alt. Est stato colpito non gravemente anche tronco secondario acquedotto alt. Sotto le macerie trovansi altre 25 persone alt. Contegno popolazione calmo alt. Procede sgombero macerie con concorso truppe inviate dalla difesa alt. Sempre questa notte aerei nemici hanno sganciato bombe e spezzoni in territorio Gravina causando danni produzione cerealicola alt. Riserbo ulteriori notizie alt.”
















Sull'onda della Radio la notizia di questo "strano" bombardamento travalica i mari, supera i monti e giunge in un campo di concentramento inglese, nel lontanissimo Sudafrica, dove ci sono prigionieri sannicandresi, suscitando anche lì stupore ed incredulità.
“Quando Giuseppe Chiechi (Peppin Cazzagnett) - scrive "Vir Simplex" su "Il Castello" edito in Canadà - dopo aver ascoltato il bollettino di guerra trasmesso da "Radio Londra" mi venne a dire di quello che era capitato alla povera Sannicandro quella notte, gli dissi: "Ma va, Peppino, questa è davvero grossa !”.
Più  tardi l'Ufficio Difesa Contraerei dello Stato Maggiore del Regio   Esercito comunica:
“26 giugno: Sannicandro DI BARI. ore 00.33. Numero imprecisato di plurimotori ha sganciato sulla località circa sessanta bombe di medio e grosso calibro e numerosi spezzoni incendiari. Risultano colpite alcune case nel centro abitato, una chiesa e, leggermente un tratto secondario dell'Acquedotto Pugliese. Segnalati 56 morti e 35 feriti in massima parte donne e bambini. Sono stati lanciati anche manifestini di propaganda”.
Mentre sconforto e angoscia sconvolgono l'animo dei malcapitati Sannicandresi e sempre più acerbo si fa il dolore per il gran numero di morti, cresce l'onda di ammirazione e di rispetto altrui per la superba prova di compostezza e di calma che il piccolo martoriato paese offre al mondo in un momento così tragico, accettando lutti e rovine con grande forza d'animo, in umiltà e silenzio.
Allorquando, nel lento scorrere del tempo, il piccone affonderà le ultime macerie, tra la sorpresa dei presenti, restituirà all'affetto dei suoi cari una giovane donna, più forte di una quercia.
Per ben tre giorni ella è vissuta di aria, non ha mangiato, non ha bevuto, non si è mossa : un robusto architrave e la grazia del Signore l'hanno tenuta in vita. Non si lamenta di nulla la fortunata. 
Non ha da imprecare, da inveire contro nessuno. Ringrazia solo Dio, levando il capo verso il cielo e baciando istintivamente la destra - i nostri vecchi, un tempo, usavano fare proprio così - per il gran dono che le ha dato, e fa: "Sapete?, ho udito perfettamente la Campana (quella del Monumento ai Caduti) e mi sono detta: Hi!, la Campana!. Ho udito pure la campanella del Crocifisso" - e come se ne riconosceva il suono!   -    ed   ho capito che suonava per un funerale !.....".
Non aggiunge altro, quindi,si alza, barcolla un tantino e zoppicon zoppiconi va per la sua strada, lodando e ringraziando ancora una volta il Signore. E' Maria Racanelli !
Un evento di questa portata, così drammatico e funesto, non può non destare scalpore,  non ricevere il rilievo che merita, sia a livello provinciale che nazionale.
La Stampa, quella barese soprattutto, sottolinea il carattere chiaramente intimidatorio del "raid" e condanna l'inutile spargimento di sangue con parole di esecrazione, incontenibile sdegno e acerba invettiva.
"La Gazzetta del Mezzogiorno" di Bari, nel n°178 di domenica 27 giugno, giorno successivo al bombardamento, titola :
 "La proditoria e immane aggressione dei “gangsters” contro la popolazione di Sannicandro" e, nell'articolo di fondo,: "Sannicandro, la industre, fedele e generosa Sannicandro, è stata colpita al cuore dai selvaggi del XX secolo".
“La Gazzetta del Mezzogiorno",  nel n°179 del lunedì 28, in prima pagina,  scrive :
“A Sannicandro, in mezzo al fiero popolo......Episodi di bestiale ferocia.......Sereno comportamento della cittadinanza.....Fiori sulle bare attraverso le vie.....
....."Ieri ( 27 giugno ), alle 11, presenti tutte le Autorità civili e militari, hanno avuto inizio i funerali. Ai lati del Monumento ai Caduti, su due autocarri militari  sistemati proprio di fianco allo stesso erano disposte le bare (una trentina?) avvolte nel tricolore, ricoperte di fiori; dopo gli squilli dell'attenti, mentre un profondo silenzio regnava nella piccola piazza, l'Arciprete Giammarella le ha benedette. E mentre la Campana del Monumento rintoccava gravemente, in un'aura di mistica commozione, si è lentamente formato il corteo. Le strade imbandierate erano ricolme fino all'inverosimile di gente in lacrime, accorsa in gran numero anche dai paesi vicini, mentre i rintocchi della Campana del Monumento e delle campane delle altre chiese si diffondevano nell'aria e sembrava che in essi vibrasse lo spirito della fiera gente di Sannicandro.....
Il mensile "Sannicandro Fascista" scrive :
“Il delitto senza nome", "L'alba illumina il misfatto", "Rovine e macerie in molti luoghi".........
...... quanto più osserviamo e più ascoltiamo e più meditiamo - osserva il prof. Michele Di Turi - tanto più ci convinciamo che Sannicandro deve alla protezione della Madonna del Carmelo la sua salvezza ....... e dobbiamo credere a chi racconta di aver visto con i propri occhi la Vergine Celeste nell'atto di depositare per terra Lei stessa, con le Sue braccia vere, non con quelle che i Sannicandresi vedranno inorriditi della Sua Immagine venerata nella Chiesa, una superbomba, una bomba di venti quintali, destinata a rendere più completa l'opera di distruzione e rimasta miracolosamente inesplosa.........".
Il 30 giugno, in un servizio dalla Puglia "Il Secolo d'Italia", quotidiano del partito al potere,  commentando il feroce bombardamento di Sannicandro, scrive:
“.......su Sannicandro, un piccolo paese presso Bari, si è avventata l'altro giorno la furia omicida del nemico: uno strazio, ma, che dire?, la colpa è di chi ......non ha dichiarato "Sannicandro (piccolo) paese aperto! " .......


Anni dopo, in Via Cassano, una ruspa finisce di demolire pezzi di muri di casa Farella crollata durante il bombardamento; scava, smuove terriccio, solleva massi, crea spazio alle fondamenta di una nuova costruzione che sostituisca degnamente quella vecchia sparita sotto le bombe. Nella manovra, andando in profondità, il dente della scavatrice urta contro uno strano ostacolo, che attimi dopo si scopre essere una botte di vino. Giace, essa, intatta, nel vano cantina là dove  l'avevano  sistemata un giorno i padroni di casa, ora scomparsi (i Farella), sempre premurosi e fervorosi nelle opere di tutti i giorni.



La ruspa, ora, si ferma, poi dà dei colpettini, incerti e timorosi di fare del male, s'arresta. "E' piena!", esclama contento il manovratore. Quindi l'accarezza, la libera del terreno che l'imprigiona, ne spilla, per prova, il contenuto: un vero marsala, un bianco d.o.c., un elisir di.....lunga vita, si direbbe. Lo garantisce  un  sopravvissuto che era presente al ritrovamento, Nicola Onorato.
Non par vero: la follia di quella notte ha distrutto; la guerra ha ucciso; ma lo spirito di sopravvivenza dell'uomo, che è anche innato amore alla vita e indomita operosità, ha lasciato un segno tangibile della insopprimibile forza creativa immanente nell'uomo stesso, dello spirito vitale degli esseri umani che non uccide, non cancella, ma genera e si rigenera e vuole continuare a vivere anche dopo morte; dell'amore operoso della gente che "riemerge più vitale che mai dal tenebrore in cui l'ha costretto la tristezza dei tempi; della volontà prorompente della gente come la nostra che sa veramente amare e donare e, soprattutto, non serbare rancore.
Come, in fondo, testimoniano tutti i racconti che siamo riusciti a strappare con la forza dell'insistenza al ritegno pudico di chi avrebbe preferito tenersi stretti nel cuore i ricordi più cari di una notte di dolore e di paura.
“Sento un rumore di aereo, mi diceva quella notte, molto preoccupato, mio marito, mentre eravamo a letto” - racconta, finalmente rasserenata, Rosaria Vernì, vedova Saliani.

“Tendemmo entrambi l'orecchio per averne conferma. L'avemmo un attimo dopo: un tonfo sordo e fulmineo e la finestra di casa non c'era più e la tenda penzolava fuori, in istrada. (La nostra casa era nel rione Spirito Santo). Dalla casa di fronte, intanto, due anziane signorine, le sorelle Albenzio, lanciavano verso di noi disperate grida di aiuto. Spinti dal terrore che si era impadronito di noi, ci precipitammo fuori, proprio nel mentre dal cielo pioveva una seconda bomba che completò l'opera della prima. Scoppiammo tutti a piangere, compreso mio marito. Il momento era terribile.




Non ostante la paura, mio marito riuscì a trovare in sè la forza per rincuorarmi lo stesso dicendo: "Calma, il Signore ci aiuterà!". E il Signore ci aiutò per davvero ad uscire vivi da quell'inferno, nel quale ne vedevi di tutto:  sassi, tufi, travi frantumati, dappertutto, nelle strade, sui marciapiedi; detriti, polvere, fili della luce penzoloni; sibili e lampi; ombre di persone vaganti nella più completa oscurità, talvolta completamente nude (come quella di uno sfollato barese) o, più spesso  semi vestite, che cercavano un varco per mettersi in salvo.

In un momento di stasi, tra un'ondata e l'altra, cogliemmo l'attimo propizio per fuggire lontano anche noi. Ci rifugiammo momentaneamente dai nostri cognati nei pressi della "piscina dei cani". Qui arrivò subito dopo una donna, che riconobbi piuttosto giovane  dai lineamenti. Reggeva tra le braccia una bambina.    "Prendila!", mi disse, "è morta! Torno subito, - aggiunge - voglio soccorrere, se mi riesce, qualcun altro dei miei!". E poichè mi vedeva esitante e refrattaria, me l'adagiò per terra e scomparve tra le tenebre. Non la rividi più. Nessuno in quei momenti terribili capiva più niente.
Io mi sentivo completamente scioccata e più aumentò il mio “choc”, quando, di lì a poco, appresi da un conoscente che mio padre Rocco e mia madre Angela erano stati sorpresi nel sonno dalla morte, mentre erano soli, in casa.  Lasciammo i parenti, dove non ci sentivamo affatto sicuri, e, sempre storditi ed impauriti, cercammo altri rifugi, finchè non decidemmo di allontanarci del tutto dall'inferno di cui ci sentivamo prigionieri. Trovammo un po' di requie in aperta campagna, all'ombra  protettiva di grossi alberi".
"Avevo nove anni, allora; avevo chiuso da poco con la scuola e mi apprestavo a godermi le vacanze - racconta con un groppo alla gola Maria Giuseppina Scalera in Vernì -. Mi trovavo a letto quella notte di dolore e di tragedia per la mia famiglia, accanto a mia sorella Domenichella (la futura suor Caterina delle figlie della Carità di S. Vincenzo dei Paoli) - più grande di me di due anni.   Era già trascorsa la mezzanotte. Nessuno di noi dormiva. Udendo un insistente rombo di aerei sulle nostre teste, mio padre si alzò di colpo, aprì la porta e vide il paese illuminato a giorno. Richiuse immediatamente e, rivolto alla mamma, disse: "Cerchiamoci subito un riparo. Non possiamo uscire. Prendi le bambine e ripariamoci qui sotto, e indicò un arco che faceva parte della camera da letto.
Subito dopo incominciammo a sentire il palazzo vibrare, scosso da una violenta convulsione e, mentre quello tremava, una grossa fiammata colpiva sul viso mia sorella. Non sentimmo più niente. Attimi dopo, chiamai papà, ma non ebbi risposta.
Chiamai, allora, mamma e le chiesi: "Anche tu hai le pietre addosso? "Con un fil di voce, - stava morendo la mia mamma! - "Anch'..... io ....ho.....le pie..tr ..., ma non finì la parola. Poco dopo udii mia sorella che mi diceva: "Giuseppina, spingi le pietre e vai a chiamare la mamma". Diedi uno strattone e subito sentii tante pietre franarmi addosso. Rimanemmo a lungo, così, cinque, sei ore, non so, ma a lungo.
Sull'alba, fummo i primi ad essere soccorsi. Cominciarono a scavare ed io mi sentivo addosso, quasi sul corpo, il battere continuo del piccone e l'affondare cadenzato della pala.
Prima che estraessero me, vidi chiaramente papà e mamma adagiati per terra tra sassi e terriccio e vidi pure un soccorritore, un pompiere, nell'atto di vibrare un colpo, col piccone per aria. Lo bloccai immediatamente con un:    "Fermatevi, là sotto c'è mia sorella!". Quello lasciò il piccone, allargò il terreno con le mani ed estrasse, viva, ma orribilmente sfigurata, mia sorella. 
"Un Ecce Homo !". Il lato sinistro del volto non si riconosceva più!. 
Ci presero, ci adagiarono in barella e ci trasportarono velocemente al Consorziale di Bari . Il povero fratellino, di 28 mesi, viveva ancora, ma, una volta liberato dalle macerie, spirò anche lui!
Ed ora un particolare che non dimenticherò mai.
Da quindici giorni il mio papà andava ripetendo: "Aprivo la porta della nostra rivendita, (di sali e tabacchi, gestita, in Piazza dei Caduti, per chi non l'avesse ancora capito, da "mest" Gaetano Scalera ) e, dando uno sguardo sulla strada,  vedevo, poco lontano, un uomo steso per terra. Mi avvicinavo, lo riconoscevo, ricordavo che era morto e "Che fai tu qui ?", gli domandavo. "Gaetan, sto aspettando te!”, rispondeva pronto quello e dallo spavento mi svegliavo."
Ascoltandolo, la mamma commentava: "Gaetano, in questa guerra moriremo!", mentre nonna Maria Giuseppa   ripeteva: "Questo sogno, figlio mio, non mi piace proprio !".
Sono o non sono premonitori i sogni?!? .
"Non ero andata a letto, quella notte " - fa con tanta amarezza nel cuore ed un tono di risentimento nelle parole Teresa Chimienti, alias "Capparuccio" - Erano circa le 00.30 e mi trovavo in casa insieme con la mia vecchia mamma Mariuccia, mia sorella Michelina e mio fratello Vituccio. Avevamo visto brillare nel cielo una strana luce e, volendo darcene conto, ci portammo in fretta da Via Trieste all'angolo della vicina provinciale per Cassano . Qui, da scoppi e rimbombi di notevole intensità, avemmo netta la sensazione che in centro stesse accadendo qualcosa che ti faceva preoccupare . Per non correre il pericolo ch'era nell'aria e per metterci per tempo al sicuro, arraffato alla meglio qualche indumento più pesante che ci coprisse nella frescura della notte, attraverso i campi vicini, a gruppi, io con mia madre, vecchia e cadente, bisognosa di essere aiutata a camminare, mio fratello con quattro Baccellieri, nostri vicini di casa,  c'incamminammo verso il "Canalone", distante un centinaio di metri da noi.
 Stavamo per raggiungerlo, quando ci sentimmo investiti dal fragore assordante di aerei, che, volando basso, al punto che riuscii a vedere di uno finanche la figura del mitragliere di prua chino sull'arma puntata su di noi - non è allucinazione, vi prego, è pura e santa verità la mia! - e mitragliando - facevano anche questo - lanciavano bombe e spezzoni. 
Ci trovammo sepolti sotto una pesante coltre di terriccio e sassi sollevati dalle esplosioni vicine ; un po' più lontano da noi, due o tre dei Baccellieri feriti seriamente, mia sorella Michelina, sanguinante da un braccio - il sinistro - il volto scurito dalla fiamma di uno spezzone o “piastrino”.
Ripresa la corsa, delle gravi condizioni di mia sorella ferita ci accorgemmo solo quando raggiunto il canalone, la trovammo che perdeva abbondantemente sangue dal braccio, lacerato da una grossa scheggia, che le era penetrata nell'arto per diversi centimetri, il volto bruciacchiato, un occhio fuori uso.
Cercammo di soccorrerla alla meglio, ma si rese necessario riaccompagnarla a casa, vincendo a stento la decisa opposizione di due carabinieri, che cercavano di impedire che la fiumana di gente uscisse da quella galleria, mentre infuriava in pieno l'attacco al centro del paese.
A casa, a nulla valsero le cure apprestatele da un giovane, che si laurererà in medicina, nostro conoscente, il bravo Ninì Vitolli, il sangue della ferita non stagnava e urgeva estrarre la scheggia che si era conficcata nel braccio.
Trasportata in ambulanza, quando fu possibile, all'Ospedale Militare di Bari prima, e al Civico di Modugno, poi, la poveretta ricevette le cure più amorevoli e, dopo lunga degenza e lunghe sofferenze, ne uscì; non del tutto guarita. Minata ormai nel corpo e nello spirito, la nostra infelice sorella visse stoicamente il suo Calvario, quindi, esauritasi ogni energia, a soli venticinque anni, dette definitivamente addio alla vita.
Dimenticata dagli uomini, non da Dio!.
Il Padre Celeste, buono e misericordioso, volle assegnarle la Corona   del Martirio e il premio dei giusti; i fratelli, invece, insensibili e ingrati, non seppero - o non vollero? - cogliere la causa prima del suo lungo soffrire e concederle, com'era giusto, il pieno diritto ad essere considerata deceduta per causa di guerra.
Com'è fallace, fredda e illogica la giustizia umana!
“Sono stata sempre riluttante - osserva Rachele Stangarone - a richiamare alla memoria quei terribili momenti di tanti anni fa, non per un senso di avversione alla rievocazione, che, pure, talvolta, riesce liberatoria ed educativa insieme , ma per un vero e proprio bisogno di riservatezza che non guasta mai.
Avevo undici anni, allora, e dormivo tranquilla nel mio letto di bambina, nel mio stanzino, alquanto lontano dai miei genitori, quando mi sentii strattonata e svegliata di soprassalto dal mio papà, che mi gridava di far presto e di correre fuori con lui e con la mamma che, accanto a lui, tremava come una foglia .
"Sai, mi diceva, stanno bombardando Sannicandro”.  Nel varcare in fretta il portoncino di casa - abitavamo in centro, in Corso Vittorio Emanuele - mi trovai , insieme con i miei , sotto il cielo illuminato a giorno da razzi appesi su di noi, quasi lambita da lingue di fuoco che già avvolgevano il portone di casa Perna (Zambnicch), tra scoppi e rimbombi, non molto lontani, tra bagliori, simili a fuochi di artificio, che si levavano sull'orizzonte in direzione di Bari, di dove proveniva, ben visibile, un fitto fuoco di artiglieria contraerea . 
Corremmo affannati verso la vicina "Mistella", che noi ragazzi ben conoscevamo, e là ci fermammo per qualche tempo al riparo di un grosso "pstazz" ("jaru di pstazz", dicevano tutti ) (gli alberi di carrube cioè), ansiosi e preoccupati per la sorte di altri nostri familiari, abitanti in un ampio sottano, sulla stessa via. Ed era tale il desiderio di rivederli, che, pur nell'inferno in cui era precipitato il paese, lasciammo in tutta fretta il rifugio in cui ci eravamo momentaneamente rintanati e ci ricongiungemmo a loro. 
A poca distanza da noi, intanto, continuava a soffiare sempre più violento il vento della tempesta ....."
"Avevo vent'anni - scrive Pietro Novielli, ex impiegato comunale - essendo nato nel 1923, ma non ero soldato, perchè fatto rivedibile alla leva.
Dalla mezzanotte ero a letto, in casa del nonno, rimasto vedovo, ma non riuscivo ad addormentarmi. Non ricordo bene l'ora precisa. Guardando dal finestrino, vidi una luce che illuminava la terra (-la mandava un razzo lanciato dagli aerei e legato al paracadute con una fune lunga un tre metri -), così intensa che si poteva vedere anche uno spillo caduto per terra. Sollecitato da mio padre che nel frattempo ci aveva raggiunti, ci rifugiammo dapprima sotto una tettoia di Via Corvo, di fronte alla ex-caserma dei Carabinieri, poi in Via Teramo, mentre fioccavano gli scoppi e le esplosioni e il paese si riempiva di fumo e di polvere, i fili della luce pendevano spezzati nelle strade, la gente la si sentiva piangere e gridare nelle case, con le porte spalancate e l'eco delle preghiere e delle invocazioni ai Santi del Paradiso .
Non si capiva più niente. Non sapendo che fare, ci inginocchiammo e facemmo tutti insieme le nostre preghiere al Signore.
Quando, verso l'una della notte, uscii,  vidi per prima la casa di don Ciccio Vittoria crollata, il tabaccaio Scalera morto con la moglie, le figlie ferite, la Chiesa del Carmine sventrata, la Madonna ancora nella nicchia curva sul lato sinistro, la grossa bomba inesplosa negli "ortolizi".....
Con la luce del sole la gente cominciò a trasferirsi in campagna, lasciando ogni cosa in balia degli sciacalli che non mancarono di profittarne. Per fortuna nostra gli aerei scaricarono un po' delle loro bombe anche lungo il canale dell'acquedotto, nel tratto che da Grumo va verso Bari, sulla provinciale per Bitetto, e una delle più grosse, cadendo alle spalle dell'Asilo Infantile, rimase inesplosa. In Via Cassano....tra le altre cose....rimase gravemente ferita una giovane, Grazia Liddi, che abitava in casa Tassielli ("Spacudd"), uccise....nella loro casa, due persone, mamma e figlia, la prima delle quali fu ritrovata solo alcuni giorni dopo in fondo alla cisterna di casa....
....una seconda incursione l'avemmo il 16 luglio, festa della Madonna del Carmine, subito dopo la santa Messa. Assistemmo, quel giorno, ad un duello aereo, quasi sulle nostre teste, che seminò molto panico tra noi e che andò spegnendosi in direzione di Santeramo....
Avrei tanta voglia di continuare, ma mi devo fermare qui, perchè mi sento la mente annebbiata e i ricordi si fanno confusi....."
"Eravamo tutti a letto - scrive il Prof. Antonio Giannini, figlio di Michele Giannini, l'autista, che allora abitava in un appartamento di don Michele Farella, alle spalle del Monumento ai Caduti - solo mio padre s'attardava nella lettura d'un quotidiano. Dopo la mezzanotte si svegliò la contraerea, piazzata nei dintorni di Bari. Eravamo abituati a sentirla e vederla in azione, specie di notte, ma quella volta il fuoco era più violento. Da una finestra esposta a nord, osservammo i proiettili traccianti, rossi e bianchi della contraerea. Poco dopo ai colpi della contraerea si aggiunse un rombo assordante di motori di aerei, che facevano rintronare i vetri delle finestre. La contraerea, inoltre, aveva allungato il tiro e sentivamo dei colpi su Sannicandro. Mentre osservavamo i giochi di luce tracciati dalla contraerea, una forte luce bianca giallognola illuminò i tetti delle case del paese; osservando la luce e le ombre, ci rendemmo conto che si trattava di qualcosa di pericoloso che scendeva dall'alto. Mio padre, ex-combattente della Prima Guerra Mondiale, classe 1899, intuì qualcosa di pericoloso   nel  vedere  quella  luce  che  illuminava   a  giorno il paese e ci disse :"Non muovetevi, vado sul terrazzo per vedere di che cosa si tratta". Ritornò subito e aggiunse: "Sono grappoli di razzi bianchi e verdi ; allontaniamoci in fretta, prima che sia troppo tardi."
Nel frattempo boati improvvisi risuonarono nella notte, facendo tremare il caseggiato e sussultare il suolo. Non riuscimmo a fuggire, perchè il portone si spalancava ad ogni boato, facendo entrare polvere, sassi e tufi di ogni grandezza. Ci rifugiammo sotto un'arcata delle scale nell'androne. Furono momenti terribili di paura e di preghiere.
Ricordo in particolare che mia madre si spaventò più di tutti. Eravamo ammassati sotto l'arcata e addossati su una vecchia moto "Della Ferrera" che era lì parcheggiata. Ad una prima ondata di aerei, dopo pochi minuti, ne seguì un'altra. Subito dopo, lo scoppio di alcune bombe nelle vicinanze, provocò un grande spostamento d'aria che scardinò e spalancò il portone togliendoci il respiro. Fu allora che decidemmo di fuggire e ci spostammo con una "Balilla" (Michele Giannini aveva anche questa).  Lo spegnersi dei razzi e la cappa di polvere che avvolgeva tutto, rendeva molto scarsa la visibilità. Cercammo di allontanarci, ma molte strade erano invase da macerie e da spezzoni incendiari che avevano provocato diversi focolai. Si udivano lamenti di persone, ma non riuscivamo a vederle. Dopo tante retromarce, ci trovammo sulla via di Adelfia (o Canneto) ci allontanammo velocemente e ci fermammo in un campo meditando su quello che era accaduto e ringraziando Dio per esserci salvati.
Alle prime luci dell'alba, ritornammo al paese: uno spettacolo impressionante e desolante si presentò ai nostri occhi: macerie dappertutto, case sventrate, tanta gente che domandava dei familiari, lasciati nel fuggi fuggi di qualche tempo prima. Ricordo ancora un anziano, ferito, con una coperta addosso, che cercava dei parenti e tanti morti depositati nella Chiesa del Crocifisso; ricordo tanti soccorritori, civili e militari, che scavavano tra le macerie e quando sentivano dei lamenti o scorgevano una mano, procedevano con cautela ; ricordo tanta gente che sbalordita osservava i luoghi colpiti  e la grande bomba inesplosa. Ricordo ancora che per alcune strade c'erano dei volantini scritti in italiano e lanciati dagli aerei della RAF, uno di questi volantini lo conservo ancora, spesso lo prendo tra le mani, non per leggere il contenuto, ma per rievocare quella tragica notte e ricordare tante persone, tra cui diversi compagni che morirono”.

Fedelina Chimienti, vedova De Pinto, racconta a sua volta:
“Ero a casa dei miei, in Via Muro, e dormivo in compagnia di una mia nipotina. Mi svegliò di soprassalto mio padre, allarmato e insospettito da diverse cosette: strani rumori e fiotti di luce diffusa,  in un'ora insolita, che pioveva dal cielo e filtrava all'interno della nostra abitazione dai vetri delle finestre. Avemmo appena il tempo tutti e tre di stringerci l'uno all'altro, in un angolo della camera da letto, quando uno scheggione di enormi proporzioni ci fece crollare addosso la volta della stanza, in una nuvola di polvere e di spavento che non vi dico .
Eravamo cascati, senza volerlo, tra le grinfie del lupo, che si aggirava dalle nostre parti e muoveva verso di noi, proprio nel momento in cui più violento era l'assalto al rione dello "Spirito Santo", zona nella quale sorgeva la nostra abitazione. Restammo a lungo come ipnotizzati in quel posto, poi, come Dio volle, uscimmo allo scoperto, mossi dalla necessità di avere notizie di mia sorella Anna, mamma della bambina.
Nella prealba del nuovo giorno fiamme altissime, miste a fumo denso e nero, scorgemmo in lontananza, dico così per dire, perchè, in effetti, il luogo da cui proveniva il bagliore, non era poi lontano da noi. Ci separava un cento, centocinquanta metri. Qualcosa, dunque, bruciava. Ma cosa?
Lo scoprimmo presto, dirigendoci in tutta fretta verso quel luogo, che era la zona in cui sorgeva l'ex-cinema Nuovo, oggi demolito, anche perchè sapevamo che lì doveva trovarsi a dormire Zio Vincenzo, fratello di mio padre, in una torretta di pochi metri quadri, di guardia a diverse mete di grano erette per la trebbia attorno ad una grande aia. Man mano che ci avvicinavamo, non vedevamo altro che fiamme e fumo. E la torretta?. Non c'era più. Al suo posto, nel quadrivio oggi formato da Via Ten. Soranno, Via Bellini e Via Albanese, si apriva un'ampia voragine, profonda un dieci metri di diametro.   E il grano? e la biada? e l'orzo? Bruciati! Di essi vedevi solo fiamme, fumo e cenere nera. E tutt'intorno tanta puzza di bruciato. L'aia, invece, sembrava intatta e su di essa i mannelli sparpagliati per la trebbia. E zio Vincenzo? Dov'è zio Vincenzo? ci domandammo preoccupati. Chi lo cercò, lo trovò - potremmo dire col latino  
 “Horribile dictu ac visu” (cosa terrificante a dirsi e a vedersi!), a grande distanza, un pezzo qua, un altro là, la testa separata dal corpo, le budella impigliate, - ancora impigliate!, sì che tutti potevano vederle - ad un reticolato lì vicino, frammenti di mani e di gambe, trinciate di netto, ancora sanguinanti.      Il tutto, poco dopo, dalla pietà e dall'orrore dei vivi raccolto e portato via in una mastella da muratore. La guerra vuole anche questo!.
Ecco come chiudeva la sua vita mortale un insonne lavoratore della terra di 73 anni! Non sapeva, lo sventurato, che anche sua sorella Domenica (Cappuccio) aveva chiuso la sua in modo altrettanto crudele.
“Povero zio Vincenzo! e povera zia Domenica!" esclama la nipote mentre una lacrima furtiva le riga il volto.
Mamma Lucia, ricordando di quella notte infernale il momento più drammatico, non cessava di ringraziare il Buon Dio e la Vergine per il gravissimo pericolo scampato.
“Non me la sentivo, ripeteva, di lasciare la casa, come facevan altri, forse non ebbi neppure il tempo. Mi cercai frettolosamente un riparo, rifugiandomi in un angolo, il primo che mi capitò, nel  sottoscala che portava al piano di sopra e che mi pareva il più indicato a proteggermi da eventuali pericoli. Poteva essere una trappola, invece fu la mia salvezza. Un istante dopo, mentre sola e tremante mi raccomandavo al Signore e ai miei Santi protettori, udii nelle vicinanze un boato e, quasi contemporaneamente una specie di frullo: uno strano proiettile, passando veloce nell'aria, attraverso il giardino di casa, sfondò la porta interna della mia abitazione, quindi l'ampio portone della stessa e finì la sua corsa fuori, in istrada, sulla provinciale per Cassano. Aveva volato, senza averne le ali, un grosso sasso, dal "Picone" (alle spalle di casa), dal luogo cioè dov'eran piovute due bombe, pare di media grandezza, alla provinciale, per fortuna deserta in quel momento, abbattendo ogni ostacolo.
Incredibile, ma vero! Ma che spavento!.

Un artigliere della Tridentina, Giovanni Chimienti, della 120 A. “MODENA”, tornato da qualche giorno da un altro inferno, da un altro luogo di morte e di dolore, scampato per miracolo alla lunga interminabile ritirata dalle gelide steppe di Russia, raccontava, scherzandoci sopra, del grave rischio corso quella notte e diceva:
”Correvo, stringendo tra le braccia, una bambina di due anni, Anna Racanelli, la futura moglie di "Cenzin Spacudd" che la mamma vicina di casa, spaventata dal gran trambusto che c'era in quel momento, aveva voluto affidarmi. Ero giunto in prossimità del "canalone" verso il quale correvano un po' tutti per rifugiarvisi, quando fui raggiunto alle spalle da un sibilo, il fischio acuto e sottile che di solito mandano le bombe appena sganciate. Ne riconobbi subito l'origine e ne intuii la pericolosità dall'esperienza fatta in Russia. Istintivamente mi buttai per terra, tenendo ben stretta a me la bambina e ritrovandomi qualche minuto dopo sepolto sotto una pesante coltre di terreno e di sassi, preso a bersaglio da una successiva scarica di mitraglia" (particolare questo che rende ancora più credibili le affermazioni di altri testimoni a tale proposito). Ed aggiungeva con aria soddisfatta:
"Mi sarei sentito umiliato, quasi beffato, se mi avessero beccato proprio a due passi da casa! ".

Padre Ciccio Stea, dei Minimi  di S. Francesco da Paola, scrive in un suo volume: 30 
“Mi trovavo a Taranto ed avevo a pranzo un carissimo amico e concittadino, il dott. Venanzio Scuccimarri, in servizio militare in questa città .
....un istante prima dell'orario, sgusciai. Qualche minuto soltanto, solo per sentire la notizia... la più agghiacciante. rientrai a mensa con viso cereo e col pallore della morte.     I presenti tutti rivolti a me....
Dottò, dottò, hanno bombardato Sannicandro!, dissi.
Don Venanzio, con la frittura appena servitagli sotto il naso,
...che?....
...Sannicandro! un piccolo paese... possibile essere stato obiettivo di un bombardamento tanto distruttore?...
...quel maledetto lumacone del treno (Taranto-Bari)...non voleva andare avanti......
....alla stazione di Gioia del Colle avremmo voluto catapultarci dal treno, perchè  le informazioni andavano assumendo proporzioni sempre più allarmanti : "Sannicandro sepolta sotto le macerie!….
....Fuori dell'abitato (di Sannicandro) un giovane (raccontò) :
Finora saranno oltre cinquanta i morti estratti da "sott i pait" (dalle macerie). Ora vedrete: soldati, carabinieri, pompieri a rimuovere le macerie con tutti i mezzi possibili, pale, picconi, zappe, con le mani finanche e con le unghie!.... .....i punti più colpiti?.... Atturn a u Castiedd (attorno al castello); 'mbacce a u Spirit Sent (di fronte allo Spirito santo); la vi d V'tett finch a l'Asile (Via Bitetto, fino all'asilo).
Quanto tempo è durato? (il bombardamento).
Ma? Forse alcuni minuti ...un'ora...forse un'eternità!
..."Menz a la chiancaut" (in centro)... il deserto!. Anima viva per la strada (siamo nel pomeriggio del 26) nessuna;  casa chiusa! E dove stanno?... Erano in fondo alla Via di Canneto, da amici di famiglia, pronti per darsi alla campagna e trascorrere la notte all'addiaccio.
Non vogliamo morire "sott i pait!" (sotto le pietre).
Giacomo Stea scrive:
”Durante la guerra prestavo servizio militare nella zona di Bari, quale artigliere contraereo addetto al 2° pezzo della 3^ batteria della 20^ Legione.
Quella sera ero disteso sulla mia brandina, vestito di tutto punto, poichè dovevo tenermi pronto ad entrare in azione in qualsiasi momento, in caso di necessità . Verso le 23 (del 25), scattò il preallarme e verso le 23.40 l'allarme. Intanto le campane delle chiese di Bari suonavano a distesa per avvertire la popolazione a correre verso i rifugi. Verso le 23.50 Bari venne illuminata da razzi luminosi da tutti i lati. A quel punto il Comandante ci ordinò di tenerci pronti ad entrare in azione, presumendosi imminente l'attacco al porto, nel quale si trovavano all'ancora diverse navi.
Verso le 24,10, dall'alto del muraglione di molo Pizzo, guardando in direzione sud, verso Bitetto, ad una decina di km da noi, mi venne fatto di scorgere alte fiammate poi .....più nulla, almeno da noi. 
Dal giornale radio delle 8, al mattino, appresi del bombardamento di Sannicandro e dei suoi 10 morti e 10 feriti. Da Coletto, pescivendolo di mia conoscenza, sfollato a Sannicandro, fui ragguagliato sugli effettivi danni che il bombardamento aveva provocato.
Chiesi ed ottenni un permesso: se i miei non fossero stati toccati, sarei tornato al più presto. Non essendoci altri mezzi, usai la bicicletta. Partii intorno alle 16 e di lì a poco, non ostante una foratura, fui a casa. Non vi trovai nessuno. Pensai che fossero dai miei genitori, in Via Cassano.
Mi ci recai. ma, nel passare davanti alla Chiesa del Crocifisso, notai che era aperta. Mi affacciai: inorridii nel vederla già piena di bare, ricoperte di bianche lenzuola.
Con tanto dolore nell'animo proseguii, ma, a poca distanza dalla Chiesa, un altro spettacolo mi turbò: la casa di Marnell o Farella era completamente crollata e soldati e vigili del fuoco vi lavoravano alacremente per rimuovere macerie e pezzi di muri pericolanti. Tenevano, perciò, a distanza i curiosi. Tra questi un tale Giuseppe Zonno, che, conoscendomi e conoscendolo io, mi pregò di chiedere ai soccorritori di lasciarlo assistere, perchè, da parente dei padroni di casa (cognato) sepolti sotto le macerie, era l'unico direttamente interessato. Cosa che feci ben volentieri.
Quando fui a casa dei miei genitori, trovai tutti incolumi, ma enormemente scioccati e decisissimi a lasciare tutto per l'aperta campagna, che raggiunsero senza ulteriori indugi, fermandosi in un piccolo fondo di nostra proprietà, in Via Vecchia Canneto, ad un chilometro e mezzo circa dall'abitato. Non c'era più ragione per trattenermi ancora con loro.
Scaduto il permesso, rientrai velocemente al reparto come avevo promesso al mio comandante.
“Avevo poco più di tre anni quando fui estratto miracolosamente vivo dalle macerie e, anche se l'avessi voluto, ben poco avrei potuto ricordare di quel avventuroso salvataggio - fa Marino Giampetruzzi e prosegue -. Devo la vita a mio padre, che, incurante di tutto e di tutti, spinto da una non comune forza del suo "subconscio" che lo legava ad un altro essere umano e che nella fattispecie venivo ad essere io, il suo primogenito, volle anticipare i lavori di scavo e di rimozione delle macerie, senza attendere, così come si voleva, l'intervento di soldati e pompieri, impegnati in altro posto, e, probabilmente, anche alla fortunata posizione che occupavo al momento del crollo. (Ero, mi si disse, in posizione più avanzata e protetta - un architrave?  - rispetto a quella tenuta da mia madre e dalla mia sorellina, ritrovate poi morte). 

Nonno Francesco (Sacchetti), invece, dovette la propria salvezza, a differenza delle due figlie (mia madre e mia zia), tutte morte sotto le macerie, ad una fortuita coincidenza: l'essersi trovato, in quel frangente, lontano da loro, nella stalla, dov'era andato per rigovernare il cavallo, a cui teneva tanto e che voleva ben rifocillato e pronto per gli impegni e le fatiche della nuova giornata. All'alba egli intendeva recarsi, secondo il programma prestabilito, ad una sua proprietà agricola piuttosto lontana, distante un otto-nove chilometri dal paese, in contrada Spagnuolo, per raggiungere la quale l'animale doveva inerpicarsi per una dura salita, "la nghianata d Spagnuol" per l'appunto.
Caso? Ventura? Buona Sorte? Difficile dire. Sta di fatto che il nonno non fece la brutta fine degli altri suoi familiari". 
“Eravamo sposati da poco più di due anni - iniziano così il loro racconto due testimoni diretti, ancora oggi segnati dalla grande tragedia che li colpì, Rocco Quatraro e Rosa Liddi - ed  abitavamo tranquilli in un sottano di casa Tassielli (Spacudd), al numero 35 di Via Cassano. Dormiva con noi anche il piccolo Giovanni. Io, Rocco, militare in servizio presso il IX Rgt.Genio, 3^ Compagnia, di stanza a Trani, mi trovavo per caso in famiglia, perché stavo fruendo di una licenza straordinaria per l’improvvisa morte di mio padre. Sulla mezzanotte, mentre ero sul dormiveglia, sbucò all’improvviso dalle fessure della porta una luce chiara e diffusa, che illuminò a giorno sia l’interno che l’esterno della nostra abitazione. Mi alzai preoccupato  e, poiché la cosa non  mi pareva affatto normale, misi in allarme mia moglie. In quel momento fummo raggiunti dalla mamma e dalla zia di lei, che abitavano insieme con Grazia, in un altro sottano, in Via Fermi, 4. Del gruppo non faceva parte Grazia, perché ella in un primo momento non aveva creduto opportuno unirsi a loro, ma, poi, ricredendosi e forse fiutando un certo pericolo, si era decisa a farlo e correva tutta affannata per raggiungerli. E proprio mentre ella si apprestava a varcare la soglia della nostra abitazione una bomba di grosso calibro piovve, esplodendo fragorosamente, al centro della provinciale per Cassano, nel tratto compreso tra casa Tassielli (la nostra) e il forno a questa contiguo gestito da Maria Clarizio o “Marì la frnaul”, scavando una grossa buca fino a comprendere quasi tutto il fondo stradale, riempiendo di decine e decine di buchi i muri delle case circostanti (specialmente della nostra) e ferendo in modo piuttosto grave sia me (Rocco), sia Grazia. 




La quale, investita sulla soglia di casa dall’esplosione cadde per terra e, travolta per di più dalla porta scardinata e da cumuli di detriti di ogni genere, scomparve ai nostri occhi. A scovarla lì rantolante in un lago di sangue che sgorgava dal polpaccio della gamba sinistra e dalla gola e a tirarla fuori da quella incomoda posizione, più che noi, molto storditi, scioccati e atterriti dall’inferno che ci era piovuto addosso e ci aveva come paralizzati, furono i primi soccorritori venuti in nostro aiuto: il figlio del padrone di casa, Giuseppe Tassielli, e un nostro parente, Francesco Lobalsamo. Io, ferito seriamente al piede sinistro da una scheggia (che non ho mai voluto farmi estrarre, e che porto e che sento tuttora nella mia carne), venni appena possibile - cioè diverso tempo dopo del bombardamento - sollevato, adagiato sopra un biroccio da due giovani volontari (Agostino prof. Rutigliano e Peppino Lampignano) e trasportato all’ambulatorio comunale. Da questo, poi, insieme con un altro ferito (ricordo Michele “u’ Cascìèr”), proseguii in ambulanza per l’Ospedale Militare di Bari e di lì al Civico di Modugno, dove rimasi per oltre quaranta giorni, fin che, come Dio volle, feci ritorno in famiglia.
Anche Grazia fu soccorsa, caricata in ambulanza e portata prima all’Ospedale Militare a Bari, poi, a due giorni di distanza dal suo ferimento, al Civico di Modugno. E qui, in otto giorni circa, si completò e si concluse il suo Calvario. Erano così gravi le sue condizioni, da rendere impossibile qualsiasi intervento chirurgico: la ferita alla gola aveva provocato danni irreparabili alle corde vocali e a tutto l’apparato respiratorio e mai più ella avrebbe potuto articolar parola. Dunque, dicevano i medici, meglio...la morte. Contro la quale lunga e dolorosa fu la corsa ingaggiata dall’infelice sorella e, dopo una settimana di rantoli sempre più lenti e penosi, ci lasciò per sempre. Della sua breve presenza tra noi e del suo terribile martirio, professore - dice a me con tanto coraggio la signora Rosa - ecco, guardi, mi sono rimaste due cose, e me le mostra, mentre una lacrima le riga il volto, le mani le tremano e un piccolo singhiozzo la scuote: una ciocca dei suoi morbidi capelli e la tendina della porta di casa cadutale addosso, ancora chiazzata di sangue. E aggiungono, marito e moglie:
“I modugnesi, i buoni modugnesi la piansero come una figlia, le resero splendide onoranze - c’era tutta Modugno e tanti soldati e tante bandiere il giorno del funerale e la tennero e la vollero sepolta per dieci anni nel cimitero della loro gente”.

"Non inventa nulla, non mentisce affatto chi afferma di aver visto il portone di casa, in Corso Vittorio Emanuele, lato destro andando verso Bari, avvolto nelle fiamme, nella notte del 26." Così dice, confermando il racconto di un altro sopravvissuto, il sig. Domenico Perna (Mngucc Zampnicch) ed aggiunge: "Accadde nel momento in cui un aereo, proveniente certamente da ovest e diretto ad est, giunto sulla perpendicolare di Corso Vittorio Emanuele, lasciò cadere i suoi spezzoni. Uno di essi s'infilò malauguratamente sotto il portone di casa, vi appiccò il fuoco, quindi, completando la corsa, venne a scaricarsi sulla cucina a vapore, fondendone il ferro e il bronzo, con quale e quanto spavento di tutti noi, che, per fortuna, eravamo al piano di sopra, potete ben immaginare.
E fu proprio in questa stanza che un aviere inglese, appartenente, se la memoria non m'inganna, al 141° M.U., un reparto dell'8^Armata britannica in avanzata verso l'Italia Centrale, con sede nel Nuovo Edificio scolastico (non ancora terminato) e con depositi di bombe nell'area circostante al nostro paese - più numerosi lungo la statale per Cassano e chi ha una certa età li ricorda molto bene - rischiò di essere linciato da un gruppo di donne, inviperite nell'apprendere dalla sua stessa bocca che anche lui era tra quelli che avevano partecipato al bombardamento di Sannicandro di Bari. Il malcapitato riuscì a salvarsi a stento da un furioso assalto di pugni e di calci, con lo scaricare la sua e l'altrui cattiveria sulle "necessità della guerra" o "extrema ratio", come si dice.
E noi continuiamo a correre dietro i fantasmi degli errori ad ogni costo.
Nino Vernì, (professore ed ex consigliere provinciale) racconta: 
"Di quella brutta storia, di quelle orribili scene di distruzione e di morte, di quella infinita desolazione, ho quasi tutto dimenticato. Non ho, però, dimenticato un momento ed una scena che non cessano di riempirmi con la loro singolarità di stupore e di ammirazione.
Quel giorno il sole spegneva lentamente i suoi ardori nelle ombre della sera, già calava il sipario sul martirio della nostra città, l'animo umano, stanco e triste, sentiva forte, dentro, il bisogno di raccoglimento, di conforto e di pace.
Tutt'ad un tratto, come per incanto, lo scenario mutava e il paese pareva diventato un immenso tempio: vedevi altari in ogni casa e, su di essi, quasi acceso nello stesso istante e dalla stessa mano, ardere un lumino e, accanto al lumino, una, due, cento persone, curve in orazione.
Guardavi il tutto con occhio incredulo, quindi, sollevato nello spirito, chinavi la fronte e ti univi alla preghiera. Oh, sovrumano incanto della fede ! Oh, dolcezza infinita dei larari di casa nostra!       

Anche quello di Ninetta, Isabella e Lucia Mariani (“Minzdent”) è il caso delle non rare persone che, nella notte del bombardamento, ebbero a godere di una particolare protezione Celeste, che si videro magari sfiorate dalla morte, ma non ne rimasero vittime. Ecco come ce ne parla una delle protagoniste.
“Nella prima serata di venerdì 25 - narra l’allora ventenne Ninetta - ero andata, insieme con le mie due sorelle, a casa di una nostra conoscente, la giovane promessa sposa Carmela Vernì, per lasciarvi, secondo l’usanza, il nostro regalo di nozze, in occasione del suo matrimonio con Pietrino Chimienti previsto per il giorno dopo (verrà rinviato a causa del bombardamento e celebrato il mercoledì successivo). Ci fermammo volentieri e insieme trascorremmo un paio di ore circa, tra balli, spensierata allegria e lieti conversari.
Al ritorno che facemmo in famiglia, proprio sulla soglia di casa - sita in Via Altamura, 62 (con un secondo ingresso sulla medesima Via al n°72) - ci venne fatto di imbatterci in una nostra coinquilina, Innocenza De Pinto, sposata con il Sergente alle armi Francesco Pavia e madre affettuosa già di due splendidi bambini. Con lei discorremmo per un po’, parlando di tutto: della festicciola alla quale avevamo preso parte, dei regali che gli invitati avevano fatto alla sposa, delle difficoltà del momento, della scarsa serenità che spesso turba la vita delle giovani coppie ecc.ecc., quindi, stanche e assonnate, ci lasciammo, per salire, noi, al piano di sopra e metterci a letto.
Pochi minuti ed ecco una strana insolita luce piovve, allarmandoci, nella nostra stanza. Ciò impensierì parecchio la nostra Sabellina, che subito si alzò da letto, inducendo noi a fare lo stesso. Proprio in quest’istante un tonfo sordo e secco c’investì, schegge e proiettili vari schizzarono in ogni direzione, polvere e frammenti minutissimi riempirono la camera. Incredibile: noi, miracolosamente, illese; metà fabbricato, però, (quella che dava a mezzogiorno) non esisteva più. Resecata di netto da una bomba caduta sul terrazzo di casa, essa era crollata con tutto il suo peso sugli sfortunati inquilini che abitavano di sotto, al piano terra.
Noi tre, tramortite dallo scoppio, ammutolimmo per un po’, ma, poi, riavuteci dallo spavento, cominciammo ad urlare ed a chiedere aiuto. Nel contempo, per quanto semivestite, cercammo di uscire da quella specie di gabbia che era diventata la nostra stanza, ma ogni movimento ci era impedito, perché delle due scalinate di accesso, quella che dava su via Altamura, pareva totalmente ostruita dal materiale della parete crollata. Ci restava come unica soluzione calarci giù appese ad un lenzuolo. Ma dalla strada qualcuno ci gridava di non farlo, poiché i muri esterni erano gravemente lesionati e minacciavano di crollare al minimo urto. In questo scorgemmo una buca nella scalinata ostruita. Ci infilammo senza pensarci due volte e in un attimo uscimmo allo scoperto. Ci venne incontro una piccola folla di parenti e conoscenti che nel frattempo si era radunata nella strada, ci rincorarono, ci confortarono, ci misero addosso qualche indumento che ci mancava. C’era ad aspettarci la nostra mamma, non il nostro papà. Ai primi segnali di pericolo - così ci dissero - egli se l’era data a gambe, incurante di tutto e di tutti, e vagava, solo, frastornato e terrorizzato, in direzione della Madonna delle Grazie. Presso quella chiesetta s’era fermato tremante e piangente per qualche tempo, poi aveva ripreso la via di casa, sconsolato e convinto di aver perduto tutti.
E della sventurata Cenzina che ne era? E dei suoi bambini? Noi tre non avemmo la forza di assistere al suo ritrovamento e con un groppo alla gola corremmo via lontano da quell’inferno e da quell’altro che, poi, vedemmo, mentre attraversavamo a capo chino il paese da via Canneto a via Bitetto.
Giaceva, l’infelice amica, sotto una montagna di macerie, poco lontana dalle sue adorate creature - orribilmente sfigurate, queste, tanto che nessuno osava avvicinarsi per rimuoverne i corpi maciullati e curarne il trasporto in altro luogo. A togliere gli astanti da ogni imbarazzo provvide subito il sangue freddo di un futuro medico, il dott.Peppino Zonno.
Quel nostro trauma, quel nostro dramma, non ci ha lasciate, si è come radicato in noi, lo sentiamo sempre dentro, greve, amaro, angoscioso.
Anche    se non ne mostriamo i segni esteriori !”

“Ero andata a letto da poco quella notte - ricorda ancora oggi con tanta amarezza nel cuore Rosetta Stangarone in Racanelli -, ma, per la stanchezza, non riuscivo a prender sonno. Con la mente riandavo alla bella serata trascorsa con altri in casa Farella a festeggiare il 18° compleanno dell'amica Nennella.
A fine festa l'allegra comitiva prima si era spostata in centro, poi, riaccompagnata a casa la festeggiata, si era sciolta.
Stando tutti a letto, sentimmo bussare. Corse ad aprire mio fratello. Un'insolita luce biancastra entrò nella nostra stanza. Sembrava giorno chiaro. Fuori, presso il portoncino dei nostri dirimpettai ardeva minacciosa la fiamma di un ordigno, altre ardevano, un po' più lontano, lungo Corso Vittorio Emanuele.
Pochi istanti dopo, tra un assordante ronzare di motori d'aereo due o tre esplosioni scossero violentemente le nostre abitazioni.
Il tempo di cercarci un rifugio e tutti e quattro - Ninetta, Beatrice, Vito ed io - ci ritrovammo tremanti di paura lunghi distesi sotto il letto, dove un sasso, penetrato non so come, venne a colpirmi al piede sinistro, facendolo sanguinare abbondantemente.
Quando il pericolo parve scomparso e più non si udì il rimbombo delle esplosioni, né il crepitar della mitraglia, né il rombar degli aerei, anche noi uscimmo allo scoperto, ansiosi di avere notizie dei nostri familiari e degli amici più cari.  “Un disastro! un disastro!”, ripeteva, tutta emozionata, la prima conoscente che incontrammo. "Quante case sono crollate in Piazza Castello! Quante persone sono sotto le macerie! Anche in Via Cassano sono cadute diverse bombe ed una, pare, ha centrato la casa di "Marnell"!. "Chi?" "Marnell", Domenica Cappuccio! precisò lei, e ci lasciò, scuotendo la testa.
Con un groppo alla gola ed il volto già rigato di lacrime, di corsa, uno a fianco dell'altro, ci avviammo verso il luogo che ci era stato indicato.
Era tutto vero, purtroppo! Casa Farella era un cumulo di macerie. 
La padrona di casa non si riusciva a sapere dove fosse, mentre la figlia, la nostra compagna, era già al camposanto. All'ombra dei cipressi.
Il suo sorriso, sparito per sempre.
I suoi sogni, svaniti.
Come quelli, del resto, di Grazia, di Maria, di Filomena, di....altre ragazze (e ragazzi) del nostro paese; chi più, chi meno, nostre coetanee.
Come quelli, più tardi, (nel '45), della nostra Olga. Era andata al Nord, in quel di Como, dagli zii materni, subito dopo il bombardamento, perchè ne fuggisse i pericoli e gli orrori, la poverina.
Fiduciosa e speranzosa, tornava dalla mamma e dal papà, dai suoi familiari.
Il "camion militare americano" su cui ha trovato posto, malauguratamente ribalta alle porte di Senigallia. Muore.
Muore la sua voglia di vivere, la sua spensieratezza, la sua adolescenza all'alba della giovinezza.
Sacrificate sull'altare della guerra. Che assurdo!”

"Quale ufficiale dei bersaglieri - racconta il dott. Minguccio Novielli, imprenditore edile in pensione -prestavo servizio militare, allora, presso il 30° Rgt. di marcia, di stanza a Faenza. La notte del 26, mi trovavo, però, a Sannicandro con ventiquattro ore di anticipo sulla licenza di sette giorni. Ero nel Circolo Concordia, quella sera, e con me, tra gli altri, l'avv. Pasquale Andriola, gli studenti in medicina Gino Racanelli e franchino Perna, in farmacia, Ciccio Perna (di Luigi). Escludo la presenza del dott. Sessa. Giocavamo a carte. D'un tratto la nostra attenzione fu attirata da un insistente ronzio di aerei. Vicino o lontano?, non lo sapevamo. Usciti per accertarcene e per renderci conto di ciò che accadeva, vedemmo brillare nel cielo, dalla parte di Bari, numerosi bengala, la terra sottostante illuminata a giorno, e, attorno ai bengala, esplodere, in rapida successione, tanti lampi multicolori, raffiche evidenti della contraerea.
Guardai con attenzione ed interesse questo particolare e, dalle informazioni in mio possesso, mi convinsi che quel tipo di intervento lo poteva operare soltanto una piattaforma o postazione antiaerea mobile, e non  statica, posizionata nella parte di nord-ovest della città, verso la quale stavano volando degli aerei. Si vedeva chiaramente che le raffiche non partivano sempre dallo stesso posto, ma da posti diversi, a seconda degli spostamenti effettuati con intelligente rapidità dal manovratore. Fu allora che mi ricordai  del cosiddetto "treno blindato", omaggio, si diceva, del Fuhrer tedesco all'alleato Capo del Governo italiano e di questo, successivamente, alla città di Bari, per la sua difesa.
Ora che la città ne aveva bisogno, se ne serviva.
Avendo netta la percezione che la situazione potesse precipitare da un momento all'altro, io e l'avv. Andriola, abitando entrambi nel medesimo quartiere (Via Bitetto), pensammo bene di avviarci verso casa.
Vi ero appena giunto, quando nel cielo del nostro paese comparvero uno dopo l'altro, diversi razzi multicolori. Quasi contemporaneamente ebbe inizio la serie delle esplosioni, che avvenivano tra un assordante rombare di motori e un distinto crepitar di mitraglia.
Ebbi solo il tempo di caricarmi sulle spalle mio fratello Pinuccio che dormiva tranquillo e di scendere in tutta fretta nello scantinato di casa dove rimasi tutto orecchi per tutto il tempo del bombardamento.
No dico quanto, perchè non ebbi modo di farne un calcolo preciso.
Alle prime voci che mi giunsero dalla strada, uscii dallo scantinato e mi diressi verso il centro. Il paese aveva un altro aspetto: quello di un campo di battaglia. Sassi dappertutto, calcinacci, polvere, puzzo di bruciato e di polvere da sparo, aria irrespirabile, vuoti paurosi, gente smarrita, volti rigati di lacrime, pianti sommessi e tanta tanta paura in chi si aggirava per le strade, intasate da macerie, non più liberamente percorribili....
In centro....casa Vittoria crollata.... le macerie di questa rovesciate sulla sede stradale e oltre... il Parco della Rimembranza invaso dall'acqua che fuoriusciva, così sembrava, dal palazzo dei Mastronardi e la facciata di questo parzialmente bucherellata, non da schegge di bombe, ma da proiettili di mitraglia dalla chiara impronta tondeggiante......
Al mio ritorno al reparto, io dovetti offrire da bere a tutti i colleghi del battaglione, per il mio scampato pericolo (del bombardamento di Sannicandro sapevano tutti ormai), mentre il comandante, cap. Buccelli, dovette offrire dei dolcetti per il suo scampato pericolo, (non che anche lui si fosse trovato sotto il mio stesso bombardamento, ma perchè, nel caso che io, suo sottoposto, fossi deceduto a causa di esso, lui sarebbe stato incriminato e ritenuto responsabile del decesso di un ufficiale in regolare servizio, ma non in regolare licenza.
Bene : l'avevamo scampata bella, entrambi. La sorte ci era stata amica.” 
Con i racconti che seguono si conclude l’ampio florilegio di testimonianze raccolte.  E’ una narrazione semplice e ordinata quella che ha scritto per noi il dott. Luigi (Gino) Racanelli - ieri, (a quel tempo) studente in medicina, oggi stimato professionista negli U.S.A., dove tuttora risiede da sempre legato alla madrepatria e al paese d’origine da saldi vincoli di affetto - non ricca, invero, di particolari, ma densa di verità e di intensità descrittiva, rimasta viva e integra nello scrigno dei personali ricordi, del dottore: In essa non sai se ammirare più la sobrietà e la semplicità dello stile che non l’immediatezza delle azioni raccontate o la profondità dei sentimenti provati.
Ecco, dunque, che cosa ricorda il nostro dottore:
“Giugno 25.1943.
Si gioca a poker nella seconda stanza del Circolo Concordia - (volgarmente chiamato “Circolo dei galantuomini” perché solitamente frequentato dai professionisti del posto).
Cinque giocatori: il defunto farmacista Nicola Bavaro, il defunto medico Francesco Perna, il geometra Domenico Novielli, il sig. Aurelio Scalera e il sottoscritto dott. Luigi Racanelli - Spettatori: il defunto Avvocato Ninì Scalera (Commissario prefettizio del nostro Comune e alcuni altri, il cui nome non ricordo).
Ore 12.50 am.
Improvvisamente un boato assordante esattamente uno scoppio: la porta anteriore e posteriore del circolo si aprono violentemente illuminando le due stanze a giorno.
L’avvocato Scalera grida: “Si salvi chi può!!! E’ per noi!!! Egli scappa per Via Tenente Virdis, seguito dal fratello Aurelio e da me per uscire su Via Bari e ripararci nella stalla sotto casa sua.
Pochi minuti dopo un altro scoppio, non violento come il primo. La porta della stalla si spalanca improvvisamente e rumorosamente. La mula che ivi stava riposando diventa agitatissima ed irrequieta. L’avvocato Scalera, “don Ninì” come lo si chiamava grida ancora: “Si salvi chi può!!!” - Immediatamente scatto come una freccia e in pochi minuti raggiungo la contrada “Mistella” (la “Mstedd”). Mi butto giù sul terreno sottostante. Pochi secondi dopo sento l’avvicinarsi di apparecchi che, abbassandosi, lanciano razzi, illuminando l’intera zona. Sono bocconi sul terreno, serpeggio in cerca di un riparo sicuro. Pochi minuti dopo un’altra ondata di aerei mi sorvola lanciando ancora dei bengala illuminando il cielo e riesco a vedere singolarmente gli aerei mentre si abbassavano. Allontanatisi gli aerei, sempre serpeggiando in cerca di un riparo, mi accorgo che sanguinavo dalla parte laterale della gamba destra, circa dieci centimetri al disotto del ginocchio. Qui avevo notato un taglio molto lungo sul mio pantalone. La lacerazione era stata causata dal ferro spinato.
Pochi minuti dopo mi sono addormentato sfinito.
All’alba mi sono svegliato quasi inconscio di quanto era accaduto, mi sono incamminato su Via canneto molto confuso. Circa mezz’ora dopo, mentre vagavo senza una méta, sono stato fermato dal sig. Vito Chimienti, nipote dell’ingegnere, che gentilmente mi ha aiutato a salire sul suo calesse- (solitamente usato per raggiungere il centro del paese e tornare alla sua villa) avviandosi alla sua villa.
Qui mi è stato offerto qualcosa da bere e subito mi sono addormentato.
Svegliandomi, alquanto ripreso, ed ora, conscio della passata tragedia, mi rincuorò vedendo mio zio, defunto Gaetano Racanelli, di già notificato (informato) che era venuto a prendermi con la sua auto (una “Balilla” precisa il narratore).”
La signorina Marisa Giannini-Zonno, impiegata comunale, ricorda a sua volta:
“Lo zio Peppino (il dott.Zonno) me ne parlava sempre con infinita tristezza: vedeva tante case smozzicate, sbriciolate, puntellate; passava e ripassava sulle buche scavate dalle bombe; si rivedeva davanti ai corpi straziati dei bambini da lui stesso estratti dalle macerie, e non si dava pace e fra sé e sé diceva: “Voglio sapere la verità.” Ebbe un’idea e la espose agli amici di sempre: “Lucc d’ Fdroich” (Raffaele Rizzi) e “Vtucc Cient vizz”, (l’avv. Vito Chimienti).
E un mattino di settembre (del ’43), con esattezza non so dire, d’accordo con i due si portò a Bari, al Comando R.A.F. dell’8ª ARMATA momentaneamente di stanza in quella città. All’ alto ufficiale, (forse il Comandante), presenti i due accompagnatori, egli parlò, in inglese (lingua da lui conosciuta e praticata quand’era all’estero), di vari argomenti di famiglia, quindi fece scivolare il discorso sul bombardamento del nostro paese. Su questo l’ ufficiale mostrò di essere bene informato, ma alla richiesta del motivo che l’aveva determinato oppose un secco “MILITARY SECRET” (Segreto militare). Il colloquio finì lì, lasciando l’amaro in bocca a tutti e l’enigma irrisolto”.

* * *

“””Eravamo usciti – Dio solo sapeva come – comincia il suo racconto la signora Lina Stangarone in Prudentino – da poche ore appena, dalla trappola a noi vilmente tesa. Risentivamo ancora nelle orecchie il sordo rimbombo delle esplosioni e dei crolli. Riudivamo ancora, agghiacciante e angosciosa, l’invocazione dei feriti. Fumavano ancora di polvere e di bruciato i mozziconi delle case sventrate e smozzicate, quando, nel pomeriggio di quello stesso 26, dieci, cento persone, una vera fiumana di gente di ogni età, i più coraggiosi – (darsi e avere coraggio non era facile in quel frangente!), non vollero, non volemmo mancare ad una specie di appuntamento, - tacito, misterioso, da nessuno dato e voluto – che si protrasse per molti giorni, alla stessa ora, con la stessa puntualità, e con la medesima intensità.
Serpeggiando, inerpicandoci a fatica tra i ciottoli e massi e calcinacci e travi fracassate, aprendoci varchi difficili nelle vie intasate, per strade diverse, tutti convenimmo davanti alla Chiesa del Carmine, ridotta ormai – moltissimi di noi l’avevano già vista una prima volta sul far del giorno – ad un cumulo di macerie.
Ci arrampicammo da ogni lato sulla montagna di detriti che si era formata sul posto, non per vedere la Madonna, che ai più pareva intatta, ma così non era affatto, anzi…, ma per rivolgere a Lei il profluivio delle nostre lacrime e della nostra riconoscenza per lo scampato pericolo, che librandosi in alto, con un coro lungo ed interminabile di preci, di canti e di litanìe, saliva dritto al Cielo, alla Vergine Bella, al Padre Celeste, consolatorio e liberatorio per noi sopravvissuti”””.

* * *

“””Io abitavo al numero 62 di via Altamura, dove naqui il 29 luglio del 1935 e dove vissi fino al 23 ottobre del 1951, quando partii per il Canadà all'età di sedici anni e tre mesi con altri quattro sannicandresi – comincia così il suo racconto Nicolas Racanelli -. 
La casa era di mio nonno paterno ed era la seconda casa a destra dell'incrocio con via Muro da Mezardo verso la “piscina dei cani”, la prima porta portava a due piani superiori attraverso cinque gradini esteriori, ci abitava una signora anziana, credo una zia o una pro-zia di "Minzdent", poi c'era un grande portone alla nostra destra, sempre verso la piscina dei cani; dopo del portone c'erano due porte, appartenenti a quelli di "Mnac"?; e infine c'era la porta dei Pavia, nella cui casa perirono la signora Pavia con i suoi due bambini.  Ricordo bene la casa diroccata, anche perché da ragazzini ci si metteva paura l'un con l'altro dicendo che c'erano dei fantasmi in quella casa.
La nostra casa aveva anche una porta secondaria sulla via Muro di fronte a Lucia "la Bannair", sotto a i Lobalsamo padre e figlio.  Nella stanza da letto di mia madre c'era un'arcata di un metro circa in profondità e larghezza e di due metri circa di altezza. 
Ai primi bagliori dei razzi e ai primi scoppi di bombe io con mia madre e mia cugina, Lucia De Santis (“u serp”), ci rifugiammo sotto l'arcata e, a ogni bagliore, le due donne cercavano di vestirsi e vestire me prendendo gl'indumenti un capo alla volta. 
Io avevo poco meno di otto anni e non ero leggero affatto, ma mia madre ebbe la forza e il coraggio di prendermi in braccio e scappammo, attraversando l'orto di "Minzdent", verso la campagna. 
In quell'orto mia madre cadde in un fosso, che immagino sia stato causato da una bomba incendiaria, non essendo tanto profondo, tanto che mia madre ebbe la prontezza di rialzarsi e riprendere la corsa con me in braccio. 
Ricordo pure di aver dormito, per due o tre notti, in una decina o più, a terra dentro una di quelle "casedd" di pietra tipo trullo e di essere stato pure qualche giorno nella galleria del canalone. 
Ricordo anche i mitragliamenti insensati in aperta campagna”””.

* * *

E’, questa la Fede dei nostri Avi, della nostra gente, la Fede solida, viva, incrollabile, che non viene mai meno, che erompe sempre con la stessa pienezza, anche nei momenti più drammatici della nostra Storia.








Cap. VII :
ERRORE   O   CALCOLO?

Le cause e le ragioni dell’incursione. Le caratteristiche. Gli obiettivi. La nazionalità, il numero e il tipo degli aerei. La  rotta. Le circostanze. La paura e... la sua coda. Conclusione. Fra realtà e fantasia. Tra mito e leggenda. Fra passato e presente. Il giallo della Madonna. Fra una bomba e l’altra. Le ragioni di fondo del bombardamento. Tra spionaggio e controspionaggio.



Nella corsa, ognor più veloce ed edace del tempo, i ricordi di quella tristissima notte o sono completamente svaniti o si sono fatti deboli e sfumati; i vuoti scavati dalle bombe nel tessuto cittadino sono stati in gran parte colmati;  sono quasi tutti caduti - e dico quasi, perchè in effetti uno è  rimasto e si vede tuttora, è là dove l'uomo ebbe ad innalzarlo un giorno lontano, è, guarda caso, proprio nelle adiacenze della vecchia Chiesa del Carmine, di quella cara indimenticabile Chiesetta che nessuno vedrà mai più, essendo stata definitivamente cancellata dalla topografia del paese - i puntelli che hanno tenuto in piedi a lungo le case pericolanti; sono tutte scomparse le tracce lasciate qua e là dalla violenza delle esplosioni; si sono del tutto rimarginate le ferite aperte dalle schegge nella carne viva della gente; grazie alle amorevoli cure prestate dal dott. Sessa prima e da altri valenti medici dopo, tanti protagonisti sono ormai usciti di scena, passati a miglior vita, altri eventi si sono succeduti, altro volto ha assunto ormai il martoriato paese .
Ma l'eco di quella tragedia non si è spenta, non si è stemperata nel diluirsi dei ricordi, è rimasta integra, è tuttora viva e presente nella mente e nell'animo dei sopravvissuti e di tanto in tanto acutizza il senso di quella paura che mai li abbandona, di quello sbigottimento che sempre li spinge a chiedersi:   Perchè? Perchè tanta efferatezza? Perchè tanti morti? Di chi ne è la responsabilità? Fu errore? o casualità? o non piuttosto ferma volontà di nuocere? 
La risposta a queste ed altre domande il cattolico l'ha data da tempo con il perdono ed il silenzio, conforme allo spirito dell'evangelico "Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno”.
Lo storico, invece, che non deve dimenticare, ma ricordare - cosa ben diversa dal perdonare - la dà appena oggi, perchè soltanto oggi è in grado di farlo.  La dà dopo un'ampia rilettura dei fatti, al termine di una approfondita disamina, con un giudizio pacato e ponderato. “Dal tutto sgorga una verità amara, ma meritevole di essere conosciuta e meditata da tutti, particolarmente dai giovani che non conoscono la storia, che non sanno, per esempio - scrive il critico A. Canavero -, a che prezzo si siano potuti riconquistare i più elementari diritti politici, con quante lacrime e con quanto sangue si sia potuto ricuperare quella libertà che appare oggi tanto naturale, da non essere apprezzata nel suo valore”; che vanno aiutati a capire, a spiegare, a trovare le ragioni dei comportamenti umani, a sapere e ricordare ciò che è successo nella prima metà di questo secolo, perchè, solo conoscendo il passato, si può evitare di cadere negli stessi errori e di commettere gli stessi orrori.
Vagliamo, allora, ogni cosa di quella tragica storia, punto per punto, fatti e documenti, episodi e testimonianze, particolari ed aspetti significativi, noti ed ignoti, ed avremo le giuste risposte, partendo da:

LE CAUSE E  LE RAGIONI  DELL'INCURSIONE:
 
Furono diverse. Ma la causa prima, la causa vera, la causa scatenante affonda le radici nel “clima d’indifferenza morale” che regola, nel ’43 e oltre, le operazioni militari (quelle aeree in particolare) intraprese dalla più parte dei belligeranti. Essa ha un duplice aspetto:
il primo, di carattere propriamente strategico, sta nella necessità impellente di compiere subito, senza ulteriori rinvii, un’incursione massiccia, diversa dalle precedenti, più particolare per fini e per mezzi, più incisiva dal punto di vista psicologico (propagandistico), più capace, insomma, di incidere profondamente sull’animo dei cittadini col gettarli in uno stato di accentuata prostrazione ed esasperazione;
il secondo, di ordine più strettamente politico, è determinato dalla improrogabile esigenza di mirare al cuore stesso della resistenza italiana, al morale non ancora completamente scosso delle fiere popolazioni del Sud, per favorire le spinte disgregatrici che dal suo interno già operano per il cambiamento e il rovesciamento della situazione politico-militare del Paese in arme sempre più insofferente per la guerra e per la dittatura.



E, perché questa spinta riesca vigorosa e proficua ed irrefrenabile insieme, gli Stati Maggiori Alleati non esitano ad ispirarla ai metodi propri della guerra totale, della lotta indiscriminata, sleale, senza esclusione di colpi, che non mette al primo posto il rispetto pieno della vita, la sacralità dei deboli e degli indifesi, ma il trionfo, il prevalere della propria potenza, della propria ragione, della propria ideologia. Sicché l’odio vince sull’amore, il male sul bene, l’immorale sull’etico.

LE CARATTERISTICHE

Ideata e condotta nella logica del «moral bobbing»31, la «mission» del 25/26 giugno (di cui non ci è dato di conoscere la precisa indicazione in codice) non può non avere nella sostanza e nella forma - dati i fini che essa si proponeva - i caratteri propri dell’azione prettamente intimidatoria. Infatti, apparentemente, essa dà ad intendere di voler perseguire soltanto scopi militari, di fatto, invece, finisce che si rivolge unicamente contro obiettivi civili, che, nel nostro caso, sono le popolazioni del Sud-Ovest barese e (tra esse, e non soltanto contro di essa, quella di Sannicandro, scuotendone violentemente la “psiche”, deprimendone il morale (così come richiedeva la precitata logica), comprimendone volontà ed opere.
Lo spiegano, e lo dimostrano inconfutabilmente,:
la quantità di aerei impegnati nell’azione (cfr. il parag.  seguente);
la vastità dell’area incursionata (grosso modo quel triangolo di territorio, i cui vertici sono le città di Gravina (Altamura), Trani e Bari;
i bersagli mirati: le popolazioni civili unitamente alle fonti prime del quotidiano sostentamento (il pane e le forniture idriche); 
il volo radente dei caccia-bombardieri (volutamente fracassone, assordante), sino a sfiorare i tetti delle case (come rilevano, concordi, le testimonianze raccolte);
il bombardamento da bassa quota, a motivo del quale decine di bombe risulteranno poi inesplose;
il materiale adoperato: esplosivo ed ustivo; bombe dirompenti (di ogni calibro, anche da 4.000 libbre), bombe               incendiarie o «piastrini»  (Cfr. documenti allegati) ed “aggeggi vari a forma di cioccolatini e stilografiche”, destinati sicuramente ai piccoli, (che solo una mente diabolica e perversa poteva ideare e spedire a domicilio,), risultati estremamente pericolosi;
il mitragliamento di gente in fuga, anche fuori dell’abitato, (di Sannicandro, s’intende);
dulcis in fundo, il lancio di manifestini.

Già, i manifestini. E’ a tutti noto ormai che di manifestini ne caddero tanti sul nostro paese nella notte tra il 25-26 giugno. Però non tutti sanno che, in data anteriore a quella, se non proprio sulle case, almeno sul suo territorio, di manifestini ne piovvero  tanti altri ancora. Accadde questo primo lancio, un altro 26 del mese, il 26 aprile, per l’esattezza. Era, quel giorno, il lunedì di Pasqua (del ’43), il giorno della pasquetta, il giorno, per essere ancora più precisi, della scarcella (o «scarcedd»),  il tipico dolce locale ed anche regionale, a quanto pare, a cui i piccoli erano particolarmente affezionati e che di solito usavano conservare per poi portarlo con sé infilato ad un braccio, sbocconcellarlo lungo la strada di campagna o sgranocchiarlo seduti ad un “parete” dirimpetto alla Chiesetta; il giorno in cui tutti, per secolare tradizione usavano, ed usano, recarsi in visita, a piedi, per la lunga stradella (ieri ciottolosa e polverosa, oggi asfaltata) alla bianca umile Chiesetta della Madonna di Torre, accompagnandovi il “Quadro” della Vergine Santa, trainato da un carro stracarico di bambini in festa, tra spari continui di guardie campestri e cacciatori del posto. I più lucidi di memoria si ricordano bene di quella splendida giornata di luce e di sole e ricordano anche che si era sul mezzogiorno.
Tra gli altri, “Lucc d’ Fdroich” e “Jell” (o Francesca) Vernì in Colatorti.
«La folla dei gitanti - racconta la donna - sciama festosa, i piccoli si rincorrono spensierati per i campi, familiari e amici, in piedi o seduti, mangiano attorno ad un lastrone di pietra grezza ricolmo di timballi e di leccornie varie. D’un tratto nell’aria tersa del cielo compaiono volteggianti nugoli di manifestini. Qualcuno lo afferrano al volo i ragazzi, vogliosi di metterci il naso, gli altri, invece, terminano il loro volteggio depositandosi al suolo tra l’indifferenza dei presenti”.
Quando i testimoni succitati mi hanno parlato di questo lancio, sulle prime ho stentato a credere, ritenendolo non vero, poi ho scoperto che non è affatto frutto di invenzione e di confusione e che esiste anche una conferma scritta. La troviamo su “Sannicandro FASCISTA” che, probabilmente, è stato l’unico organo di stampa (della grande stampa) a non mettere la sordina al piccolo evento, fortunatamente conclusasi con lievi danni alle cose. L’avv. Angelo Marzano-Fiore, così ne dà notizia nel numero di aprile-maggio del ’43:
«INCURSIONE AEREA SUL NOSTRO TERRITORIO»
“Incredibile ma vero; l’odiatissimo nemico ha portato la sua offesa aerea anche sul territorio sannicandrese; evidentemente dovevano recargli molto fastidio gli alberi di mandorlo e di ulivo che esso ha voluto colpire; ma non è stato molto fortunato, perché in realtà il danno che ha creduto di arrecare è stato, in alcuni punti specialmente, un ottimo vantaggio: quello cioè di dissodare il terreno, risparmiando la fatica ai nostri contadini: siamo sicuri infatti che là dove è caduta la bomba dell’odiato nemico ci sarà un buon raccolto. Anzi il raccolto si è già iniziato: un buon quantitativo di ferro è già pronto per la prossima raccolta e offerta dei rottami di ferro alla patria».
Il lancio di bombe è avvenuto in località “Macario” e “Cea-Casatromba” (queste due ultime, anche se contigue, sono diverse dalla prima; tutte e tre, poi, non molto lontane tra di loro, distano: da Sannicandro un 6-7 Km., via terra: pochi secondi di volo, via aerea; dalla Madonna di Torre le separa la stessa distanza che da Sannicandro, via terra e via aerea).
Conclusione: il giorno della Pasquetta si sfiorò per poco la tragedia. Fosse stato il lancio di bombe un po’ più preciso, avesse colpito, anziché gli alberi di “Cea-Casatromba” i festosi gitanti, i tanti allegri gitanti della Madonna di Torre, e la strage sarebbe stata un fatto compiuto. E fu un bene. Ma vi sembra tutto ciò un fatto normale? Un “comune” episodio di guerra aerea? Un altro “errore” di guerra? O ciò non sarebbe piuttosto la diretta conseguenza di un piano, di un disegno diabolico, il frutto di una strategia studiata a tavolino, messa a punto negli assolati capannoni dell’Africa Settentrionale?
Considerato in sé e per sé, questo piccolo caso sembra a prima vista insignificante o di scarso rilievo; collegato invece e messo in relazione con gli avvenimenti successivi, a me pare una specie di antefatto o anteprima o prologo o primo annuncio messo in opera dagli Stati maggiori Alleati per due motivi: uno, evidenziare agli occhi di tanti tiepidi italiani, ancora increduli e innamorati del vecchio regime, l’enorme potenza posseduta dalle armate aeree anglo-americane, che dominavano incontrastate i cieli della Penisola, di notte o di giorno, nei dì festivi e in quelli feriali; due, spaventare e deludere gli speranzosi, gli ostinati, i duri a mollare la presa.
Quanto, poi, ai manifestini lanciati nella notte del 26 giugno, accadde invece che qualcuno di essi fosse raccolto, letto - se pure - in tutta fretta, quindi o gettato via o messo da parte e conservato fin quasi ai nostri giorni per poi definitivamente sparire dalla circolazione. I più, invece, credo non siano stati degnati neppure di uno sguardo - col sangue che scorreva a rivoli, con il lutto nel cuore per la morte di tante persone care, con la casa crollata o inabitabile, con..., ma davvero che ci si potesse curare di semplici (seppur minacciosi!) “fogli volanti”, com’essi stessi si autodefiniscono? - e  siano volati via, lontano dai problemi e dalle angustie dell’ora. Dimenticati. Anzi, ignorati. Al punto che fino ad oggi poco o nulla si sapeva sul loro conto, nulla della loro effettiva esistenza, nulla del loro esatto contenuto. Che, a parer mio, è molto importante, ai fini di una obiettiva valutazione dei fatti, e ciò perché, secondo me, quei manifestini, o “fogli volanti”,  sono i reali portatori della verità, o almeno di una parte di essa, sono i più credibili rivelatori (o strumenti) del pensiero e della volontà di chi li faceva stampare e diffondere, messaggeri di libertà e di liberazione sì, ma anche nunzi e profeti di morte e di rovina, comunque documenti preziosi per la conoscenza della Storia.
E, poiché la fortuna e la cortesìa del prof. Tonio Giannini ci consentono di avere tra le mani uno dei pochi cimeli rimastici di quella terribile notte (in questo la mia mente corre anche e soprattutto alla tendina insanguinata...e... alla ciocca di capelli della povera Grazia Liddi..., a...), ritengo cosa utile mostrarlo (il manifestino,) (in fotocopia) agli increduli, facendo nel contempo un esame attento dei punti più salienti del medesimo.
Ha esso un formato di 20 X 14 (pressappoco), un color bianco sporco, (sbiadito forse dal tempo); consta di quattro facciate. Sul frontespizio, in alto, reca scritto: “Foglio volante”; più giù, a sinistra: “Portato dalla RAF”;  a destra: “Londra - maggio 1943”;  più sotto, in posizione centrale, a grandi lettere:







«L’ITALIA: TERRA DI NESSUNO?»


Segue, dopo il punto interrogativo, un lungo discorso, nel quale, tra l’altro, è detto:
«.......fino a quando non avremo spazzato via - è scritto proprio così - Mussolini, (il vostro Duce), la nostra aviazione colpirà inesorabilmente porti, stazioni, ferrovie, industrie, centri di produzione e di comunicazione....il vostro paese sarà esposto al bombardamento, al mitragliamento.....innumerevoli case finiranno in fiamme, per città e campagne si accumuleranno cadaveri.....interesse immediato dell’Italia è uno solo; fare sì che questa guerra duri il meno possibile......diversamente l’Italia sarà terra senza pace e senza pane, senza vita e senza onore, terra di nessuno.»

Basterebbero queste poche frasi, queste semplici parole, a far capire ai dubbiosi che cosa abbiano inteso dire i nemici alla nostra gente, senza mezzi termini, con estrema crudezza e spietatezza, un po’ blandendo e molto intimidendo (o terrorizzando?).  Rileggiamole, le più espressive, le più dure, le più agghiaccianti: “spazzato via”, “colpirà inesorabilmente”, “vostro paese”, “mitragliamento”, “case in fiamme”, “cadaveri”, “senza pace, senza pane”, “terra di nessuno”. Non ammettono esse, fraintendimenti, indecisioni, rinvii, dicono con odiosa franchezza che cosa attende il popolo italiano: lotta aspra, dura, all’ultimo sangue. Per tutti. E intanto ingiungono tre cose: l’allontanamento, anzi la cacciata immediata dei responsabili della guerra ravvisati nei fascisti al potere; la dissociazione dall’alleanza stretta con i Tedeschi; la resa incondizionata degli eserciti. Diversamente.....
E da questa, mi si perdoni, insolente brutalità, da questa pervicace determinazione i nostri nemici non derogheranno mai. E, coerenti con se stessi, sempre lo dimostreranno: prima e dopo lo sbarco in Sicilia (10 luglio), perché la “conditio sine qua non” era questa. Ve li spingevano la “ragion di Stato”, il “Supremo interesse nazionale”, l’“odio etnico-ideologico”, la “ratio belli” o dura legge della guerra. 
Senza sconti per nessuno: Hic verum!
E la storia, quelli che pochi conoscono, ce ne dà ragione con non pochi esempi.
Dopo la caduta di Mussolini, avvenuta come sappiamo il 25 luglio, a quindici giorni esatti dallo sbarco in Sicilia, ad un mese dal bombardamento di Sannicandro, il sig. W. Churchill, in un discorso alla Camera dei Comuni, ebbe a dire, secondo quanto riferisce un critico di storia32:
"Conviene lasciare che gli Italiani cuociano nel loro brodo". E intanto continuava a tartassarli con energia, più di prima, opponendosi con ogni forza a proposte americane di ridurre i bombardamenti per favorire lo sboccio di tendenze italiane alla resa. E i bombardamenti non solo non vennero ridotti, ma furono anche intensificati.....Cosa volete? Il Fascismo è caduto, ma la guerra? Continua..., tuonò il nostro gen. Badoglio, continua, ripetevano tutti. 
E continuò per davvero, per la povera Italia invasa…
.....Su alcune città i bombardieri alleati ritornarono in massa, per più giorni e notti di seguito, devastando località già devastate, mitragliando anche chi corre verso un riparo, sia pure in aperta campagna, lontano dall'abitato.....
Nessuna zona della Penisola ha requie......
Neppure Roma è risparmiata. Neppure la Capitale della Cristianità,  la Sede del Papa, la "Città aperta" per eccellenza! 33 "Voglio sopra Roma tutti i bombardieri medi e pesanti in grado di volare" - ordinò un giorno34, dopo lo sbarco in Sicilia, il gen. Eisenhower, comandante in capo delle Forze Alleate del Fronte Sud - N'ebbe seicentosessantadue (oltre 268 caccia di lunga autonomia); sganciarono 1100 tonnellate di bombe e condussero al macello 3.000 esseri umani, più di 10.000 mutilati e feriti e, intanto, come sempre in tutti i bombardamenti di questo tipo (e come anche in quello che si svolse sul nostro paese) i caccia della scorta svolgevano un lavoro più personalizzato e minuto, scendendo a mitragliare quei poveri diavoli che si trovassero per strada, fuori dei rifugi o nei piazzali o (come accadde in Tunisia, quando ancora si combatteva aspramente per il definitivo possesso di quella regione) cercassero un riparo, come lo cercava un nostro soldato, nascondendosi dietro una palma": 
Venne lo sbarco (10 luglio), venne il 25 luglio, venne la caduta di Mussolini e del fascismo, ma...
“Quasicché gli anglo-americani temessero - osserva con una punta di amarezza nelle sue annotazioni il Monelli35 - che l’Italia che si era scrollata di dosso il Fascismo fosse più pericolosa di prima, eccoli scatenare un’offensiva aerea che superò per terribilità, per danni, per violenza ogni altra precedente...
...il gen. Americano DOOLITTLE ebbe la triste gloria di aver diretto i nuovi bombardamenti di Roma (13 agosto) che uccisero migliaia di persone, che sconvolsero pacifici quartieri di operai per cui il Pontefice (PIO XII) uscì dal Vaticano e venne a piangere e ad inginocchiarsi sulle rovine e si macchiò la bianca veste del sangue dei feriti. Bombe da 4000 lb. Soffiarono via edifici con il vento dell’esplosione, altre erano ripiene di materia incendiaria, altre eruttavano una lava rapida e ardente che inceneriva tutto quanto trovasse. Gli eserciti di fuoco dai mille apparecchi fecero in mezz’ora di fiorenti luoghi di vita e di storia una maceria che i secoli non potranno mai ingentilire.
...e gli scampati dalla morte, coloro che s’erano visti cadere la casa addosso, che avevano tratto fuori dai ruderi le salme dei congiunti, gli occhi senza lacrime, statue di corruccio e di passione, pietrificate negli antichi gesti di orrore, nuove Niobe viventi, 36 non sapevano imprecare a chi gli aveva distrutto la vita...
...(la nostra gente) non tremò al vento, e fosse anche la vento da 4000 lb.
Non disperò, quasi conscia che l’antichissima civiltà le dava solo il diritto di soffrire più forte;  non solo nelle carni e negli affetti, ma nei monumenti, nelle Chiese,( nelle casette vetuste intrise di sudori e di lacrime amare..., dei poveri di ogni parte d’Italia)...
...Non si accasciò per tanta ingiustizia, per una smisurata punizione di un male che non aveva voluto...”
Strinse i denti e andò avanti, per il suo Calvario.
“Per tutto il mese di agosto - annota, a sua volta, un altro critico37 - per tutta la prima settimana di settembre, fino a cinque ore prima della proclamazione dell’armistizio (8 settembre), Napoli e Torino, Pescara e Foggia furono straziate con distruzioni immani e migliaia di morti, di cui io che scrivo fui involontario spettatore, per non dire vittima mancata, che non posso non ricordare...
Verso la fine di agosto (26 o 27): sto scendendo, a tappe forzate, dal Nord al Sud, con una licenza ordinaria di 15 + 6.  Fa tanta fatica il lungo treno, affollatissimo di viaggiatori. A pochi chilometri da Foggia, improvvisamente rallenta, poi si ferma: non si può proseguire, a causa della linea interrotta - ci dicono - da un violento attacco aereo; pochi minuti di vivace disappunto, poi, rapido e consolatorio, un contrordine: si può proseguire, la linea è stata riattivata - miracolo del genio militare!...; lento, lento il treno riprende la marcia...entra in stazione...ma: dov’è la stazione?...Inutilmente la cerco dove era prima, alla mia destra...nulla...alla mia sinistra, nemmeno...tutt’intorno a noi un vasto deserto di rovine:
macerie, macerie, binari contorti...locomotive incastrate, levate verso il cielo, carogne...e tutto perfettamente livellato...da 300 fortezze volanti!...E noi che arranchiamo col treno, muti e sconvolti... Non credo ai miei occhi. E pensare che il Dio Misericordioso mi aveva sottratto, per l’ennesima volta, ad una fine miseranda!
In quel terribile mese di agosto - narra sempre il nostro critico - il flagello distrusse più di quanto non guastarono assedi, incendi, sacchi e terremoti in mille anni”.
(“C’era qualcosa di sadico, di forsennato in questa politica”, commentò, amaro, un giorno, il buon Attilio Tamaro38, “era la scomparsa dell’idea umana...”)
“Per puro sadismo39 lanciarono su Napoli il 6 settembre l’attacco più feroce: sotto le macerie dell’Ospedale dei Pellegrini, di Chiese, palazzi, scuole, case, giacquero da venti a trenta volte i martiri delle Ardeatine...
...Fino all’ultimo la furia dell’olocausto dal cielo si accanì barbarica sui quartieri popolari di Milano... 
A Gorla ammazzarono duecento bambini e bambine con le loro maestre... Cacciabombardieri scesero sui laghi lombardi a mitragliare vaporetti...
...Sadismo selvaggio li indusse a mitragliare, dentro Parma, il 18 novembre, uomini e donne e bambini che cercavano scampo; e, a Piacenza, pochi giorni dopo, a spezzonare il 
centro, uccidendo 109 donne... Estri individuali - per meglio dire: capricci degli individui - fecero scovare un treno presso Bollate (Milano), i cui passeggeri, scesi in fretta, furono mitragliati, uno per uno, tra le casupole...” 

Potremmo andare avanti all’infinito, ma preferiamo fermarci qui e concludere.
I casi succitati, compreso quello di Sannicandro, tutti similari tra loro, stanno lì a dimostrare come questo e soltanto questo fosse il sistema prescelto dagli anglo-americani a loro modello  per l’«atterramento dell’avversario» (immagine presa dal gergo pugilistico), questa e soltanto questa la via maestra, questa e soltanto questa la chiave di volta più idonea, efficace e produttiva per la risoluzione dei loro problemi.  Se non ne fossero stati convinti, non l’avrebbero escogitato e caldeggiato; se necessario, crediamo, l’avrebbero cambiato. Invece, no, se ne servirono fino all’ultimo atto di guerra, attuandolo senza tentennamenti, con la massima pervicacia, anche a costo di attirarsi addosso tutte le imprecazioni di questo mondo, tutto l’odio dei loro nemici. E lo preferivano, ne sono più che convinto, per attuare soprattutto una specie di rivalsa o di rivincita sulle (vere, non voglio dire presunte) atrocità patite per colpa dei nemici. Insomma, secondo me, vi facevano ricorso perché erano convinti che a condurli alla vittoria non sarebbe stato lo scontro leale, diretto, tra eserciti, marine, aviazioni contrapposte, come avveniva in altri tempi, ma il coinvolgimento nel conflitto dei civili, la morte, il sacrificio di migliaia di innocenti.  Dove che fosse: in Italia, in Germania,  in Giappone, a Palermo o a Roma; in Sicilia o in Puglia.
Quando che fosse: prima e dopo dello sbarco in Sicilia; prima e dopo della resa dell’Italia: per tutto il ’43 e oltre, su, su, fino al ’45: sinchè tutti i nemici (Italiani, Tedeschi e Giapponesi), non avessero alzato bandiera bianca.
E le mie rilevazioni son sono vacui farneticamenti della fantasia, ma concrete risultanze degli accadimenti, tutti trasudanti, guarda caso, sadismo, cinismo, machiavellismo e tanti altri “ismi” su cui è meglio tacere.  Dunque…





IL TIPO, IL NUMERO,    
LA  NAZIONALITA' DEGLI AEREI :

Erano "Wellington" 41 i "plurimotori sconosciuti" che nella notte del 25-26 giugno presero parte alla missione sulla raffineria di petrolio di Bari; erano bimotori, veloci maneggevoli, capaci di coprire le lunghe distanze e, quel che più contava, di trasportare, avendone il vano adatto, bombe da 4.000 lb. (libbre), ossia da 2 tonnellate di esplosivo, dette anche "Cookie", piuttosto lunghe ed ingombranti. E proprio una di queste, che non doveva essere, secondo noi, unica e sola, quella notte fece cilecca, rimase cioè inesplosa insieme con altre di vario tipo (calibro), perchè, a detta degli esperti, lasciata cadere al suolo da quota molto bassa - e quella notte i bombardieri, assicurano molti testimoni oculari, volavano quasi sfiorando i tetti delle case -.
Quando fu rinvenuta, giaceva, lunga, tozza e panciuta, là dove era caduta, in una proprietà agricola del sig. Giuseppe Perna (G’sepp Uabbate), in quello spazio di terra che attualmente fa angolo con Via Don Francesco Riccardi: Appena la videro, centinaia di visitatori, accorsi da ogni parte per vederla da vicino, vollero darle un nome chiamandola vezzosamente "La Carrizza", si soffermarono a contemplarla a lungo, la fotografarono (noi ve la mostriamo in fotocopia), la immortalarono, finchè, un giorno, d'ordine del prefetto42 non venne disinnescata e rimossa insieme con altre. Ed erano in numero di 52, come ci rivela una nota dell'Ambasciata Britannica43, su segnalazione dell'"Air Historical Branch Repart" confermata dal "Combat Cronology of the Army Air Forces in World War II" (Cronologia dei combattimenti aerei nella II Guerra Mondiale)44, la quale così scrive su questo argomento: "1943 - 26 giugno. NAAF: Wellingtons bomb Bari Oil Refinery during 25-26 Jun. (NAAF = North West African Air Force = Forze Aeree dell'Africa di Nord-Ovest = I Wellingtons bombardano la raffineria di Bari durante il 25-26 giugno). Sulla nazionalità degli stessi o sul nome dei reparti non abbiamo alcuna indicazione.
Non ce ne preoccupiamo più di tanto, perchè, a questo punto, non ci è difficile stabilirlo. Gli "squadrons" impiegati in quella missione o erano canadesi o inglesi. Sappiamo da fonte sicura che sia gli uni che gli altri erano gli unici ad essere dotati di quel tipo di aereo - il Wellington -, gli unici a conoscerne il funzionamento, gli unici a saperlo guidare, gli unici a servirsene nell'ambito della già citata NAAF. Non erano canadesi, perchè, secondo "The crucible of War"45  le unità canadesi, invitate a trasferirsi temporaneamente dall'Inghilterra, dove erano solite operare, nell'Africa Occidentale tunisina, vi iniziarono la loro attività in data posteriore al 25-26 giugno e quindi è da escludere la loro partecipazione all'incursione di quella notte. Non essendo canadesi della RCAF (Royal Canadian Air Force), erano sicuramente inglesi della RAF (Royal Air Force), composta notoriamente di reparti di nazionalità britannica. Alcuni di questi erano già sul posto al momento dell'arrivo dei rinforzi canadesi e con le ali (Squadrons) 231 e 236 della NAAF formavano il gruppo 205, agli ordini diretti del gen. Tedder, comandante supremo del "Mediterranean Air Bomber Command" (Comando dei bombardieri del Mediterraneo), con sede a Kairouan, in Tunisia, dov'era stata costituita un'importante base aerea.
Avvalorano la nostra tesi le espressioni riportate nei manifestini lanciati durante l'incursione del 25-26 giugno, che dicevano testualmente : "Portato dalla RAF- Londra maggio 1943" .






Concludendo: gli aerei erano Wellington; gli equipaggi inglesi; i gruppi e gli squadroni della RAF; londinesi i manifestini stampati (a Londra) nel maggio 1943.  Come londinesi dovevano essere quegli altri lanciati in aprile alla Madonna di Torre e altrove.

GLI OBIETTIVI :
 
Non vogliamo contestare la veridicità e l'esattezza dei dati riferiti dalla fonte inglese sui  fini della missione, però, conoscendo ormai l'effettivo svolgimento di tutta l'azione, ci vien fatto di pensare che gli stessi siano condensati, riportati cioè in forma sintetica, che l'espressione usata nel testo da noi dianzi citato sia quanto meno incompleta se non generica ed inesatta. Dal punto di vista formale, ufficiale, l'obiettivo primario della missione, l'obiettivo di partenza, quello seguito nel piano di volo, quello programmato, probabilmente era quello, era la raffineria di petrolio.
Dal  punto di vista sostanziale, invece, quello non è più, è un altro, fu un altro, che   la storia sa, ma che la fonte inglese non cita. In realtà, quella notte, sul campo, in terra di Puglia, in provincia di Bari, le cose andarono diversamente, andarono così : aerei della RAF - uno, due o più, non lo sappiamo né lo sapremo mai - sorvolarono la periferia di Bari, nella parte occidentale, lanciarono razzi, individuarono certamente le strutture (peraltro inconfondibili) della Stanic, ma su quella non sganciarono bombe, come c'informano fonti militari italiane46. Qualcuna, però, cadde, ma in contrade un po' più lontane...   Caratore del Caruso, Torrebella, S.Serio,  Pinnacoli 47. Sulla raffineria, invece, che pure era e doveva essere l'obiettivo principale dell'incursione, sul porto (sul quale si temeva più probabile l'attacco, considerata la presenza di navi alla fonda, secondo la testimonianza dell'artigliere Giacomo Stea, in servizio presso la sua batteria - la 3ª, della 20ª Legione - puntatore a secondo pezzo Artiglieria Contraerea – prima in preallarme, poi in allarme aereo), sulla stazione ferroviaria, vicinissima alla raffineria, su altri obiettivi militari di quella zona o di altre circostanti, tutti di grande interesse strategico, nessuna bomba. 
Perchè? Forse perchè la contraerea, tempestivamente allertata aveva preso a contrastare l'azione in modo assai deciso, siamo tentati di rispondere noi. Nient'affatto - ribatte pronta una persona che si dice bene informata, obiettando ed insinuando che l'attacco era soltanto un falso scopo, poichè la raffineria non era più in funzione e aveva da tempo chiuso i battenti, cosa della quale gli inglesi non potevano non sapere. Vera o falsa che sia questa affermazione, sta di fatto che nessun obiettivo militare venne attaccato e colpito seriamente durante l'operazione.
Al termine dell'incursione, al cessato allarme, dopo le 02.00, risultarono lievemente danneggiati soltanto la ferriera di Giovinazzo e l'Acquedotto Pugliese, in un breve tratto del braccio secondario, che da Sannicandro conduce  a  Bitritto48.
E' lecito allora pensare che, premendo ai Comandi Militari Alleati ben altre priorità, alla missione di quella notte potrebbero essere stati assegnati anche obiettivi diversi da quelli risultanti agli atti e non più perseguiti per un insieme di ragioni, e non necessariamente ed esclusivamente militari; potrebbero cioè essere stati messi in programma fini ed obiettivi di altro genere, attinenti più specificamente alla guerra totale, alla guerra psicologica, cui andavano da tempo le preferenze del potere politico e militare, che si perseguivano senza remore e senza tentennamenti di sorta nei momenti di maggior bisogno. Quando la necessità stringeva e il pericolo incombeva, non si andava tanto per il sottile: si faceva e basta. Cosa che ebbero a fare, secondo me, i piloti inglesi allorchè, trovandosi a volare nello spazio aereo compreso tra Sannicandro e Bari, distanti l'una dall'altra una manciata di secondi in linea d'aria, sentirono probabilmente il bisogno di prendere una decisione rapida, immediata: liberarsi al più presto del pericoloso incomodo trasportato. Sannicandro diventava così obiettivo sostitutivo, punto terminale volontario ed obbligato di uno sfogo destinato, ci si dice, ad altri bersagli.
Un incidente o accidente, dunque, non errore, come si vorrebbe sostenere, dando così voce e credito alla “favola bella” della “polveriera di Santeràmo” (con l’accento ben marcato su ra) messa astutamente in circolazione (e tuttora dura a morire) da Radio Londra, onde, addolcendo la pillola amara, ottenere giustificazione e scusa presso l’opinione pubblica filo britannica.

LA ROTTA (PRESUNTA) DEGLI AEREI :

Potrebbe essere stata questa:
Kairouan (Tunisia)49 - Malta - Ionio Centrale - Metapontino -  Altamura – Bari.
Km. 1000 di percorso, circa, andata + 1000 ritorno, o, in subordine, quest'altra:

Kairouan (Tunisia) - Tirreno Meridionale - Basilicata centro  settentrionale - Altamura - Bari,  Km.900 - 950 circa per l'andata + 900 - 950 per il ritorno.
La prima, leggermente più lunga, potrebbe essere stata preferita, però, alla seconda in ragione della sua maggiore opportunità operativa e di una maggiore sicurezza di volo.
Ora di partenza: sulle 21 - 21,30 circa del 25.06.1943 .
All'altezza dello Ionio, la grossa formazione di bombardieri e caccia bombardieri, per ragioni contingenti, potrebbe essersi divisa in due o tre "squadrons" di dieci-quindici aerei cadauno, distanti pochi chilometri  l'uno dall'altro, allo scopo di segnalarsi eventuali, ma improbabili, presenze di caccia italo-tedeschi, penetrando in territorio italiano nel tratto Metaponto-Taranto, a distanza di un paio di minuti l'uno dall'altro. Quindi, gli aerei, a ondate successive, sarebbero entrati nella fascia di Altamura, avendo soprattutto cura di aggirare di quel tanto necessario la contraerea segnalata  a difesa dell'aeroporto di Gioia del Colle.
Su questo importante obiettivo militare, sulla Stanic, come su   tanti obiettivi di particolare interesse gli Stati Maggiori Alleati disponevano, è ovvio, di copiose informazioni che tornavano utili al momento opportuno. La conferma ce la danno le 2000 immagini contenute in due microfilm - Rolls B 5660 and B 5661 -   messi   a  nostra disposizione da un archivio statunitense.50 Ed oggi conservati, su suggerimento del prof. Vito Antonio Leuzzi, presso l’Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo. 




Provano esse come gli anglo-americani non affidassero nulla al caso e come fosse loro costume svolgere un lavoro capillare in tutte le direzioni, giovandosi sia della ricognizione aerea sia dell'opera di appositi informatori paracadutati nelle linee nemiche (ci fu un lancio anche nel nostro territorio nel mese di luglio)51. 
Che cosa rappresentano? Un po' di tutto: carte geografiche, carte topografiche, mappe, planimetrie, informazioni di vario genere, foto della Bari d'un tempo, per es., del porto barese, della Stanic. E del bombardamento? nulla, proprio nulla Top Secret.
Quando, verso le 00,30, gli aerei della RAF penetrarono nello spazio aereo compreso tra Gioia del Colle e Altamura-Gravina, scattò l'allarme - come informa il VI reparto Difesa contraerei e come conferma l'artigliere Giacomo Stea, il quale ricorda, a questo proposito, che gli artiglieri della contraerea usavano dormire con tutta la divisa e con le scarpe ai piedi - e immediatamente entrò in azione la contraerea posizionata nella parte sud-occidentale della città. Il fuoco di sbarramento, "aperto - come dice la fonte militare dianzi citata - a più riprese" e con effetti altamente scoraggianti, indusse - secondo me - gli aggressori, non certo colti di sorpresa dai tiri dell'artiglieria, ben sapendo che l'obiettivo da essi mirato poteva anche essere adeguatamente protetto, a cambiare seduta stante programma ed obiettivo, avvalendosi, nel far questo, di quell'ampio potere discrezionale che in guerra è sempre concesso alle formazioni militari in caso di emergenza o di necessità, affinchè non abbiano a correre l'alea di possibili irreparabili danni a uomini e cose e a pregiudicare irrimediabilmente l'esito dell'operazione.
Potrebbe essere stato questo a indurli a sbarazzarsi il più velocemente possibile del fastidioso e pericoloso carico trasportato scaricandolo su un obiettivo che non aveva nulla di militare, completamente diverso da quello di partenza e che, anche se non più colpito, verrà poi menzionato nel rapporto finale del comandante della formazione ai diretti superiori, quale ne era stato l'esito e verificato successivamente dalla ricognizione.
Potrebbe essere stata  la  leggerezza  (o la precipitazione?   o la deliberata volontà? o l’incoscienza? o  il capriccio?) a spingere i piloti a dirottare su Sannicandro il loro carico micidiale. Potrebbero essere stati altri motivi che sfuggono alla nostra indagine, ma nessuno ci toglie la convinzione che la decisione presa dai piloti in quel momento assai difficile per loro (bisogna riconoscerlo, non più sicuri di sè, incalzati, com'erano, sempre più da vicino dalle batterie antiaeree, costretti, poi, ad operare a quote molto basse, per sfuggire ai tiri dell'artiglieria) non è la conseguenza di un errore nella individuazione della località prestabilita, ma è il frutto di un'esigenza insita nel carattere stesso della missione, che stava tra il militare e l'intimidatorio o psicologico, tanto vero che si svolgeva con bombe e manifestini  lanciati questi ultimi non soltanto sulla sfortunata Sannicandro, ma anche su altri Comuni della Provincia incursionata (Altamura, Gravina, Trani, Bisceglie, Giovinazzo, S. Spirito, Bari, Adelfia), perchè tutti sapessero delle reali intenzioni degli Alleati nei confronti degli Italiani. E questa nostra intuizione non ci sembra affatto campata in aria, è, invece, fondata e suffragata da prove inoppugnabili e da giusta e ragionevole valutazione dei fatti.




I quali, non dimentichiamolo, traevano la loro origine e giustificazione, oltrechè dalla impellente ricerca della vittoria, - da conseguire comunque e nel più breve tempo possibile, com'è detto nei manifestini e come impone il piano di guerra -, anche dalla gran sete di sangue e di vendetta, che bruciava (allora) e brucia (anche oggi) nell'animo umano, dall'odio implacabile che armava (allora) e (sempre) armerà la mano di un fratello contro l'altro fratello. Ieri, oggi, domani. Sempre. Sinchè l'uomo non  farà un miglior uso della sua libertà e della sua intelligenza.

LE CIRCOSTANZE DEL BOMBARDAMENTO.

Le condizioni in cui si trovarono ad operare gli aviatori d'Oltremanica furono indubitatamente eccellenti, invidiabili sotto qualsiasi aspetto. 

Infatti :
a. La visibilità (e perciò la visualizzazione degli obiettivi) era ottima: il cielo, assicurano molti testimoni oculari, era sereno, libero da foschie. La clarità del cielo, unitamente alla luce dei razzi lanciati per vedere meglio, non potevano non concorrere ad illuminare a sufficienza la terra sottostante e rendere più facili le operazioni di visualizzazione ed individuazione degli obiettivi, tanto necessarie per ridurre al minimo ogni possibilità di errore;
b. Il contrasto da terra: Nella periferia di Bari operavano, è   risaputo, varie batterie antiaeree in difesa del porto e di altri obiettivi d'interesse militare ed economico, ed una di esse, quella di sud-est, tempestivamente allertata e direttamente chiamata in causa in considerazione della provenienza degli aerei nemici, non esitò, com'era naturale, ad entrare immediatamente ed efficacemente in azione, giovandosi, a quanto pare, della presenza del cosiddetto “treno blindato52”.  Lontano dalla periferia, nelle zone più interne, a Sannicandro p.e., non era piazzata alcuna batteria, non esisteva neppure l'ombra della difesa, di una difesa purchessia, perchè non c'era nulla da difendere, da preservare da eventuali attacchi: non industrie, non centrali elettriche, non stazioni ferroviarie d'interesse strategico - quella esistente, citata, è vero, dagli orari delle Ferrovie dello Stato, (tratto BARI-TARANTO), non "tangeva"53 e non "tange" neppure ora che tante modifiche sono state apportate al tracciato, la nostra Sannicandro e non per espressa volontà di popolo - dicono - ma per un preciso  ed inconfessato interesse  di parte - della classe dominante, cioè, ed imperante -, non polveriere, non "presìdi italiani e germanici"54. C'era, invece, e c'è tuttora, una roccaforte del Medioevo, semiabbandonata e semidiroccata, adibita non a deposito di armi ed armati, come si vociferava senza che la voce rispondesse al vero, ma ad abitazione di nullatenenti e di bisognosi del posto (e ieri ce n'erano tanti), a scuola elementare - e quelli di una certa età se ne ricordano  ancora!). C'era, e c'è, una modesta caserma dei Carabinieri, allogata peraltro in una casa privata, nella quale prestavano servizio un sottufficiale e due o tre militi dell'Arma, armati di semplice pistola di ordinanza e di vecchi moschetti modello '91.
C'era, e c'è, un ufficio di polizia municipale, con tre guardie (o vigili), muniti di semplice pistola d'ordinanza, tenuta però accuratamente nascosta in una tasca della giacca.
C'era un ufficio di vigilanza notturna, con due guardie - F.M. e P.G. - sempre in divisa, pistola penzolante dal lucido cinturone.  C'era, e c'è, un ufficio di vigilanza campestre, costituito di un capoguardia e di tre o quattro "guardiani" (così li chiamava il popolo), armati di vecchi pistoloni, vecchi fucili da caccia, tromba e......manette. C'era (oggi non c'è più), locato nel palazzo degli Zonno, in centro, un ufficio sanitario o ambulatorio, dove prestava servizio una simpaticissima e servizievolissima persona, che molti, forse, hanno dimenticato: il buon "Mngucciell" (Di Leo) che, se mai in pubblico appariva col suo bravo berretto, non osò mai mettere in mostra una qualsiasi arma55.  Tutte qui le temibili forze armate che dovevano vigilare sulla sicurezza dei cittadini di Sannicandro e che nulla poterono contro i possenti diavoli dell'aria di S.M.B. (Sua Maestà Britannica). 

a. Il contrasto dall'aria:  Nell'oscurità della notte, nel cielo stellato di quella notte apparentemente tranquilla, non un caccia italiano, non un “Messerschimidt o JU88” tedesco, si alzò in volo durante l'attacco dei bombardieri della RAF per contrastare in qualche modo l'arroganza degli "angeli vendicatori" piovuti dal cielo in nome della libertà e della democrazia. L'Italia, ci si dice, non aveva  caccia notturni, forse non aveva avuto i mezzi e il tempo di approntare forze aeree adeguate alle necessità dei tempi, o, se pure ne aveva, forse le aveva dirottate altrove, verso la Calabria, verso la Sicilia, dove più il bisogno lo richiedeva. Sta di fatto che "nell'aeroporto di Palese - informa lo Stato Maggiore dell'Aeronautica, 5° Reparto - non erano dislocati reparti operativi, mentre in quello di Gioia del Colle vi era il 95° Gruppo del 35° Stormo da Bombardamento terrestre e la 103ª Squadriglia del 69° Gruppo da Ricognizione”.  Null'altro!




LA GRANDE  PAURA  E......

Liberi dal peso che tanto li gravava, i Wellington corrono veloci e indisturbati per le vie del ritorno. Presto il ronzare dei loro motori si sperde negli spazi interstellari, si affievolisce, si spegne.
Verso le 02.00 - 02.10 l'allarme cessa, il panico pian piano rientra. Tutti tirano un sospiro di sollievo, ma pochi si convincono che il peggio è passato e che non c'è più nulla da temere. Corre da un capo all'altro del paese una folata di vento strano, che nessuno vede, ma che tutti sentono alitare dentro e all'intorno: è la psicosi delle bombe56 .
Tutti si sentono, infatti, pervasi da un senso d'irrequietezza che li spinge come farfalle a stare lontano dal fuoco che scotta e che brucia, e che aumenta sempre più col passare del tempo.
Provano a scrollarsela di dosso questa brutta bestia, a liberarsi con forza di questo terribile peso. Invano. Allora, i più serrano o accostano l'uscio di casa, ormai scardinato e inservibile e, da soli o a gruppi, s'avviano verso l'aperta campagna, qualunque essa sia, "Patessa", "Parco Grotti" o "Macchione", purché lontano dal paese. 
E, poichè qui trovano finalmente un po' di pace, qui piantano la tenda e qui restano stabilmente a bivacco, giorno dopo giorno, sotto le stelle: o in un anfratto del suolo; o all'ombra di un carrubo o di una quercia; o al riparo di una grotta sassosa; o, se più fortunati, nel chiuso di una di quelle "casedde" che, in tempi non lontani, pullulavano nei nostri campi, solide e comode quanto basta per starci contenti di poco, senza rimpianti per le comodità lasciate tra le mura di casa, non dissimili e non diverse dai più famosi "trulli" di Alberobello, di cui le nostre terre sono naturali propaggini.. 

........E  LA SUA CODA.


Non dura, però, a lungo questa sorta di beato incantesimo, questo georgico tripudio di aria, di sole e.... di pace, che tanto inebria ed esalta quanti hanno la fortuna di goderne.
Sordi boati e cupi rimbombi, scuotono, d'improvviso, la terra, vibra ogni cosa sotto i piedi e, vibrando, ricorda a ciascuno che la guerra non è finita e non è neppure tanto lontana. Anzi è vicina. Sta salendo. Sale lentamente. Sale dal sud verso il nord sale dalla Sicilia verso il Continente. Sale dalle zagare sicule verso le pendici dell'Aspromonte. Sale dai monti della Sila verso la "Campania Felix", verso i mandorli e gli ulivi dell'Apulia.
Tutto succede sul mezzodì del 16 luglio, nel giorno sacro alla Madonna del Carmine, a venti giorni esatti dall'ignobile "sfratto" dalla Sua"Chiesetta".
E' appena terminata, nella nostra Chiesa Madre, la Messa solenne. Si è da poco concluso il panegirico in onore della Beata Vergine del Carmelo, tenuto da don Pietro Maddalena, santo sacerdote barese e valente oratore a tutti caro. I numerosi fedeli hanno sgombrato il tempio e già si apprestano a sedere a mensa, quando una serie di violente esplosioni accompagnate da un insistente ronzio di motori d'aereo fa sobbalzare. Si tende l'orecchio. Che è?, ci si interroga ansiosi.
"Su una grossa lastra di pietra nostrana - racconta Vito Mondelli (V'tucc Biancoin, per gli amici) - fumava, ricordo, la minestra, si spandeva d'intorno, pur nell'aperta campagna, la fragranza del coniglio al forno, preparato con cura da mia moglie. Avevamo fame e non vedevamo l'ora di metterci a tavola. Ne fummo sconsigliati da tutta una serie di rumori lontani, dallo sfrecciare veloce e sibilante di aerei nel cielo e dal distinto crepitìo della mitraglia...
...Col fiato sospeso e con gli occhi rivolti verso l'alto, alla ricerca di lumi, attendemmo lo svolgersi degli eventi...."
"Sì,  si stava combattendo proprio sulle nostre teste - fa Narduccio Chimienti (Cggioie), allora quattordicenne - un paio di duelli aerei si svolsero proprio nel cielo del nostro paese e molti di noi ragazzi avemmo la possibilità di assistervi. Anche se con molta paura addosso volli seguire anch'io le evoluzioni dei duellanti, poi, la fifa, più forte della curiosità, mi spinse lontano dal posto di osservazione (mi trovavo, per la precisione, nei pressi della Chiesa Madre, a poca distanza dal portone principale), non senza averne visto due in rapido precipitare dietro una lunga scia di fumo nero dalle parti di Cassano......di Santeramo....."(sarà da queste parti, infatti, che verranno, poi, rinvenuti i relitti di due aerei alleati).
Ufficialmente che cosa si dice? C'è stato o non c'è stato un bombardamento? E da quale parte? E su quale località? Tace la radio, tace la stampa, per ordine superiore. La censura impone il silenzio, che, naturalmente, non è e non può essere totale e rimane circoscritto, sapremo tutto dopo. 
Oggi si conoscono tutti i particolari sugli avvenimenti di quella giornata.
Scrive una fonte inglese57:
"16 july 1943: Ninth AF: B 24's attak BARI A/F.   
Enemy Ftrs attak persistently and B 24's are shot down. HBs clain 11 ftrs destroyed in combat" (16 luglio 1943: B 24 58 attaccano BARI A/F. Caccia nemici attaccano con insistenza e 3 B 24 vengono abbattuti. Gli HB lamentano 11 caccia distrutti in combattimento".
Confermando ogni cosa, i comandi militari italiani 59 scrivono a loro volta in due distinti notiziari:
Notiziario n°259 del 16.7.1943.
Palese ( Aeroporto di Bari ):
In allarme alle 11.44. Un minuto dopo una quindicina di quadrimotori sganciava da 2500 metri circa sull'aeroporto. Aerei distrutti e danneggiati. Fabbricati colpiti. Campo di volo inatterrabile per bombe a scoppio ritardato. Interrotto binario ferroviario e distrutto posto di blocco. Colpito il cementificio di Modugno (vicino all'ANIC). 
Abbattuti due quadrimotori caduti a Stazione Marinella (a 3 - 4 Km a sud di Altamura) ad opera della caccia tedesca" (levatasi in volo, a quanto pare, dall'aeroporto di Grottaglie).
 
Notiziario n°261 del 17.7.1943.
BARI:
Alle ore 13,15 del 16.7.1943, circa 22 aerei nemici plurimotori, di tipo imprecisato, a ondate successive, hanno bombardato e mitragliato l'aerroporto. Sgancio di circa 150 bombe di vario calibro.
Danni: n°1 velivolo CA 133 distrutto; n°1 S 82 - 2 S 79 - 2 S 8 - 3 Saiman 202 - 2 CA 164 danneggiati; 1 S 81 riparabile squadriglia; 3 morti; 4 feriti gravemente; 8 feriti gravemente tra il personale nazionale.
Sul campo trovansi bombe inesplose presumibilmente a scoppio ritardato.
E a Sannicandro? Nulla di tutto questo, per sua fortuna. Solo l'eco di qualche bomba esplosa in aperta campagna, di rapidi crepitii di mitraglia, ad alta e bassa quota, di un'ansia crescente che presto, però, si dissolve: i colpi di coda della "grande paura". Meno male!

CONCLUSIONE:

Sulla base di fatti concreti e di prove documentali è lecito affermare che il bombardamento di Sannicandro non fu un evento fortuito e accidentale completamente estraneo alla volontà dell'uomo ma un atto deliberato, la fatale conseguenza di un'azione di guerra avente fini ben precisi e condotta con accanimento tale da farlo ritenere, a torto, inspiegabile, immotivato, dettato da probabile errore.
Si verificò, l'evento, in un momento delicato, particolare della guerra, nel momento in cui tra gli Alleati e l'Asse era in atto uno scontro durissimo, senza esclusione di colpi, nel quale l'Italia, posta in gioco e campo di battaglia insieme, aveva una parte di primissimo piano, ma ve la recitava in condizioni di estremo disagio, essendo stremata, sfiduciata, avvilita, col morale a pezzi, costretta dalle vicissitudini a stare sulla difensiva e a subire sul suo stesso territorio il peso di violenti bombardamenti.
Ad eseguirlo furono due o più "Squadrons" della   britannica RAF, i quali, decollando presumibilmente dall'aeroporto tunisino di Kairouan, sede del Comando Generale della NAAF (il supremo organismo cui facevano capo e riferimento tutte le operazioni di guerra aerea nel Mediterraneo Centrale), si presentarono, a ondate successive, nel cielo della nostra provincia, poco dopo la mezzanotte. Sorvolarono, alla luce dei loro razzi il capoluogo e diversi centri urbani del lato di sud-ovest, ma non vi sganciarono granché. Solo razzi, bombe, qualche spezzone, qua e là manifestini e nulla più. Avrebbero dovuto attaccare, se dobbiamo dar credito a fonti inglesi, la raffineria di petrolio della Stanic, ma non lo fecero, né ripiegarono su altri obiettivi militari. In vece di questi, con piglio deciso e perentorio, subissarono di bombe la pacifica, indifesa Sannicandro. Perchè? Non si riuscì a capirlo allora; per pudore (crediamo) non ce lo spiegano nemmeno oggi i diretti responsabili, che preferiscono tacere. Per errore, si disse un giorno. Per errore, si vorrebbe continuare a ripetere oggi. Non sono io di questo avviso. Non sono, cioè, io del parere che i piloti abbiano preso un abbaglio, abbiamo scambiato un paese con un altro. Sono convinto, invece, che il loro piano d'azione prevedesse un attacco indiscriminato da rivolgere contro uno qualsiasi dei numerosi comuni della provincia barese caduta nel loro mirino, allo scopo dichiarato, - esplicitamente dichiarato dai manifestini che essi stessi lanciano insieme con le bombe - di "impressionare", di forzare (terrorizzandole) le popolazioni meridionali (e per esse quelle di tutta la Penisola). Effetto e risonanza, questi, che non avrebbero conseguito con  obiettivo diverso da questo.
La conferma me la dà la relazione conclusiva inviata dall'Autorità prefettizia al Ministero dell'Interno, dalla quale scaturiscono dati di fatto incontrovertibili dell'intera missione. Apprendiamo da questa come gli aerei, numerosi e bene informati sui compiti da svolgere, in effetti sorvolarono diversi Comuni della nostra provincia, dalla parte di nord-ovest, sganciarono, un po' a casaccio, razzi, spezzoni, bombe e manifestini, mai, però, attaccando o danneggiando obiettivi militari, neppure la Stanic, per la quale si vorrebbe sostenere di essersi mossi, come poi ben dimostra il grafico relativo a questo argomento.
E' questa la riprova che agli Stati Maggiori Alleati, a fine giugno '43, quando più aspra ferveva la lotta per mettere l'Italia in ginocchio e costringerla alla resa definitiva, non importava tanto la distruzione della Stanic o la polverizzazione della fantomatica polveriera di Santeràmo, come si vorrebbe sostenere quanto “l'olocausto", anonimo, crudele, di innocenti, di tanti innocenti, da immolare, in quel preciso momento, sull'altare della "causa" per "far presa", per "impressionare", "spingere" l'Italia, la storia nel senso desiderato. Per “destabilizzare”, soprattutto, “politicamente, socialmente e moralmente”!
Ma, anche se si riuscisse ad avere una ammissione di colpa o un pentimento, anche se si dimostrasse la non intenzionalità dell'accaduto, anche se si riuscisse a provare che l'attacco era diretto contro un'altra qualsiasi località della nostra regione, contro un altro bersaglio della nostra provincia, nulla cambierebbe, l'atto non perderebbe nulla della sua estrema gravità, della sua "enormità", della sua particolare odiosità, resterebbe pur sempre un atto aberrante, perchè consumato, con riprovevole leggerezza e crudele spietatezza, contro vecchi, donne e bambini, in un'ora sacra al riposo, alla preghiera, all'abbandono in Dio da parte del Cristiano, a dimostrazione di una volontà perversa e iniqua, di una coscienza che non inorridisce dinanzi alle atrocità più orribili, alle nefandezze più ignobili ed esecrande.
In antitesi a tanta protervia e durezza di cuore, i nostri concittadini seppero mantenere comportamenti più che dignitosi, apprezzati da tutti. Il Prefetto Viola ebbe a scrivere nel suo rapporto al Ministero dell'Interno che "accorso sul posto, aveva trovato la popolazione di Sannicandro atterrita, ma calma", e disciplinata, ammirevole, soprattutto, per la serenità di spirito, la naturalezza e la grande forza d'animo con le quali era andata incontro a triboli, patimenti e sacrifici di ogni genere, compreso quello, altissimo, della vita. Non una parola d'indignazione o d'imprecazione uscì dalle labbra degli sventurati.
Vittime sacrificali dell'umana follia, i morti di quella tragica notte fecero dono della vita per una patria più giusta e più libera, per una società più concorde e pacifica, per un mondo più sereno e rispettoso dell'altrui diritto. In umiltà e silenzio. Non indossavano, questi nostri fratelli, una divisa militare, non erano né bersaglieri né alpini né marinai, non avevano la baldanza né la giovinezza dei milioni di connazionali in arme, tuttavia non si mostravano inferiori a loro nella solennità della morte, che accettavano con somma fierezza.
In umiltà e silenzio.
"Mai imprecar a l'insulto della fortuna", può ben dirsi con Ada Negri60.
Testimoniavano al mondo, quand'anche ce ne fosse stato bisogno, che si può degnamente morire per la Patria comune, come loro facevano, anche da inermi cittadini.
In umiltà e silenzio
avendo solo il candore di un bambino,
Domenico Pavia, anni 1, mesi 10;
la fragilità di un'anziana donna di casa,
Maria Giannone, anni 80, mesi 9;
la fiacchezza di chi ha donato lunghissimi anni al lavoro dei campi,
Domenico Picicci, anni 69, mesi 7.
Per questo siamo fieri di loro.
Per questo auspichiamo che il loro nome venga iscritto nel Sacrario dei Caduti, il loro sacrificio scolpito nei precordi del cuore, il loro ricordo inciso nei Marmi della Pubblica Piazza, negli Annali della loro gente.
"DIGNITAS NON MORITUR !"
(La dignità dell'uomo non può, non deve morire!)  

FRA  REALTA’  E  FANTASIA

Una domanda sorge spontanea in chi legge di questi fatti: questa: E’ veramente esistito l’“autolesionismo” nella guerra ’40 –’45?
Proviamo a rispondere con i dati in nostro possesso.
Inteso, esso, cioè l’“autolesionismo”, come fenomeno o atteggiamento di “danneggiamento” grave, materiale e morale, voluto e praticato, direttamente o indirettamente, da italiani contro italiani, ai non addetti ai lavori parrà certamente elucubrazione della mente, pura fantasia, chiacchiera da bar, pretta “fantastoria”, - come oggi si usa dire -, del tutto indimostrato, inesistito ed inesistente. Invece, così non è.
E lo prova il fatto che, allora, cioè nel ’43, e giù di lì, molti ne parlavano, sia pure a mezza bocca, sotto forma di sussurri o di voci.  E il primo ad accoglierle, “sia pure in forma interrogativa”, fu il giornalista scrittore, poi uomo politico di primo piano, Giulio Andreotti, nel suo “Concerto a sei voci” (La Bussola, Roma 1945), come scrive il Monelli nel suo volume “Roma 1943”, pag.329.
Di cosa parlavano? Dell’aspetto più terrificante e moralmente aberrante della guerra, rappresentato dai “bombardamenti terroristici”  delle nostre città e dei nostri villaggi, eseguiti, talora – e questo è il punto raccapricciante – con il concorso ed il consenso degli italiani stessi, se non proprio, come raccontano e documentano studi recenti, su precisa “richiesta (o radiomessaggio) avanzata da qualche influente suggeritore o informatore locale dei servizi segreti britannici operanti nel nostro paese”61.
Ora, sulla veridicità o meno di quelle voci, io nulla so, non avendo esplorato affatto quest’aspetto della guerra. Posso dire, però, che voci di quel genere correvano, e corrono tittora, a Sannicandro, e riguardavano i fatti che abbiamo ampiamente raccontato.
Come e perché nascevano?
Certo lo spettacolo che offriva Sannicandro nelle ore successive al bombardamento non era fatto per suscitare spensieratezza ed allegria. Metteva tanta pena addosso, faceva paura, destava sconcerto, deprimeva, turbava, e come! l’animo e la mente. Questa poi cercava una ragione della “enormità” di quanto ci era capitato, ma non la trovava, non riusciva a trovarla. Vedeva sempre davanti a sé tanti corpi straziati, tante persone care morte, tante cose finite nel nulla. E vite stroncate nel sonno e tetti e abitazioni polverizzate. E tra queste Casa Vittoria, notoriamente abitata da personaggi di primo piano della vita politica locale. Tutti la vedevano, tutti la guardavano, Casa Vittoria, e, guardandola pesantemente crollata al suolo, con tre morti e tre feriti dentro, si domandavano con ansia sempre crescente chi mai potesse essere stato l’autore di tanto scempio se non un esaltato che avesse avuto un conto in sospeso con Sannicandro o, se non nemico personale di quella famiglia, almeno oppositore del fascismo, forse sannicandrese purosangue, forse straniero, in servizio militare nella R.A.F.. 
E, così ragionando e fantasticando, il responsabile era trovato facilmente e con lui il motivo del… delitto: “Sannicandro fascista”.
Si dirà: voci e soltanto voci, che, non avendo riscontri, si smentivano e cadevano da sole.
D’accordo. Non per questo, però, esse perdevano e perdono di valore e di significato. Anzi, dimostrano che, in fondo, un pizzico di verità lo contenevano ed esso stava, inconfutabilmente, nella drammaticità del momento in cui si svolgeva la lotta, nella degenerazione che l’accompagnava, nel clima rovente delle passioni in contrasto – regimi dittatoriali contro regimi democratici, nazifascisti contro democratici e viceversa – nella disumanità con cui le ideologie a confronto conducevano lo scontro. E, per chi non lo sapesse, lo scontro, cioè il conflitto, in Italia, e altrove, nel ’43 e oltre, è sì militare, ma anche, e soprattutto, ideologico e, per i toni e i modi in cui si svolse, è realtà, è storia, che, considerata la natura dei partecipanti, possiamo chiamare anche “autolesionismo” o “interventismo politico-ideologico”, se volete. 

FRA  MITO E LEGGENDA

Or sembra che ai 26 di giugno, nel cuor della notte - la Storia si è fatta ormai leggenda - nel tratto che va dal Cimitero Vecchio (l’attuale scuola “Don Bosco”) a Piazza Castello, si snodi, mistica e irreale, tra il frinir lontano di notturne cicale e il cantar vicino di tremuli grilli, una processione di “Spiriti beati”  - (chi della scena è stato fortunato spettatore assicura di avervi riconosciuto i volti più noti dei Caduti sotto le bombe degli aerei).
Di gloria circonfusi e in candidi lini avvolti - narra sempre la leggenda - s’avanzano i purissimi abitatori del cielo, lenti e pacati, per vicoli e crocicchi verso il centro cittadino: arde nella sinistra un lume, vibrano all’intorno suoni e musiche di sublimi armonie.
Davanti alla Chiesa dello Spirito Santo l’etereo corteo brevemente sosta: tre volte la fronte si china profonda sul petto, tre volte la bocca intona il “Gloria” al Padre che è nei cieli. Quindi lesto il cammin riprende e di vicolo in vicolo eccolo spuntare in via Posta, compiere per intero l’ampio circuito del castello, fermarsi e assembrarsi in Larghetto Carmine, ai piedi dell’Antico Tempio Sacro alla Vergine del Carmelo, tornato, come per incanto, integro, inviolato, tutto profumato d’incenso.
Qui, alte e corali, soavi e melodiose, si levano implorazioni e lodi all’Onnipotente, il volto dei cantori subito si trasfigura, si fa più radioso: un vortice s’apre e tutti rapisce in un’altissima piramide di spiriti osannanti.
E della celeste apparizione più nulla resta.
Suggestione?  Allucinazione?  Fantasticheria?
No, risponde prontamente chi ha fede e crede nell’immortalità dell’anima. Quale fenomeno essenzialmente spirituale, l’apparizione dianzi raccontata è perfettamente possibile, attuabile e quindi credibile.

rendere manifesta a chi è in vita la serenante condizione raggiunta dallo spirito nel mondo ultraterrestre;
far comprendere a chi è sulla terra quanto grande e mostruosa sia stata la violenza inflitta alla spirito quando era in vita;
riannodare quel filo invisibile, che, anche se momentaneamente spezzato, sempre tiene e terrà idealmente legati tra loro gli esseri umani, siano essi vivi o morti;
sollecitare suffragi più concreti e proficui;
consolare i dolenti....
Epperciò, se l’anima nostra è, com’è, immortale, se lo spirito sopravvive alla materia, se i rapporti tra gli esseri umani si conservano sempre stretti, non v’ha alcun dubbio che anche i Morti del bombardamento del 26 giugno, abbiano cercato, o possano cercare domani, un contatto - visivo, sonoro o grafico, secondo moderne esperienze - evidente, appariscente con la realtà materiale lasciata un dì sulla terra, dando così conferma e solidità alla nostra Fede che vuole i defunti eternamente viventi tra i viventi.
Si spiegherebbero così le parole incise sul Monumento ai Caduti: 
“IN GLORIA VIRESCUNT”
(cioè: “Son sempre vivi, i nostri Morti, anzi verdeggiano, prendono più vigore nella gloria”).






FRA  PASSATO  E  PRESENTE

E delle macerie, di tante macerie che ne fu?
Volendo soddisfare anche questa naturale curiosità, diremo, con la testimonianza dei più informati a questo riguardo, che esse, le macerie, non finirono di certo in questa o quella discarica, vicino o lontano, né andarono disperse, qua e là o sparse, nel modo in cui vediamo fare oggi, sotto gli ulivi, per proteggerne la chioma e l’apparato radicale durante la calura estiva.
Tolti i massi e i lastroni meglio conservati, che servirono nell’edilizia privata per la elevazione dei muri portanti delle costruzioni sorte nell’immediato dopoguerra, il grosso, per consiglio di qualche nascente ecologista, finì, carro dopo carro, all’estrema periferia dell’abitato: in zona “Lago” (comunemente detto “U Leu”) e qui versato fino all’ultima palata, per colmare, prosciugare e bonificare quell’ampio fossato circolare che s’apriva davanti all’ex Scuola Agraria, alla sinistra di chi percorre la SS.271 verso Cassano, nel quale si raccoglievano, un tempo, stagnandovi per tutto il periodo estivo, le acque piovane: focolaio di zanzare e di putredine, invero, ma anche luogo di incontro e di svago della gioventù più scanzonata ed inquieta del passato che amava lì darsi convegno, alla “controra” d’estate, o per farvi lì il bagno, o per divertirsi a dare la caccia a rane e rospi e bisce che numerosi saltavano e strisciavano nel fondo basso e melmoso dello stagno.
L’ecologia ci guadagnò indubbiamente, l’estetica pure, ma il paesaggio? Il passato? La tradizione? Il senso della Storia? La memoria storica? Il valore culturale? Il Colore?
Cari e dolci ricordi del tempo che fu, annegati per sempre in quel tratto di terra che, ora, coperto di pini e di acacie, costeggia la moderna circonvallazione, nel punto in cui questa interseca la strada provinciale per Acquaviva e le diramazioni per Bitetto – Sannicandro: fra “Passato e Presente”, appunto.





IL “GIALLO” DELLA MADONNA

Indenne o malconcia? Illesa o sfregiata? Integra o mùtila? Quale verità sull’immagine della Madonna? Proviamo a dare una ragionevole risposta a questi interrogativi.

Abbiamo per certo che, quella notte, in Piazza Larghetto Carmine caddero, insieme con alcuni spezzoni incendiari, almeno due bombe di medio calibro (del peso, cioè, di 250 Kg. cadauna, circa), con una carica di 65 chili di esplosivo, capace di proiettare i suoi spezzoni di metallo nel raggio di un chilometro: di esse, una centrò la Chiesa del Carmine mandandola in frantumi, l’altra, invece, finì poco discosto, nel tratto stradale laterale ad essa, sforando, slabbrando la parte superiore del muro sud-occidentale del castello medioevale adiacente.
Colpita in pieno, la Chiesa rovinò su sé stessa, trascinando inevitabilmente nella rovina anche il sito sottostante, cioè l’edicola (da “aedes” = stanzetta) funeraria, alla quale, chi la conosceva attribuiva non piccolo valore archeologico. Ma, pur con tutta la sua violenza, l’esplosione non ebbe effetti devastanti per l’intero immobile, poiché ne lasciò in piedi l’altare, la nicchia sovrastante con l’immagine e la sottostante Figurazione pittorica delle Anime del Purgatorio62.
Vista da lontano, la statua appariva miracolosamente intatta, illesa. Guardata, invece, da vicino, mostrava chiaramente i segni del violento scossone subito, che se non l’aveva sconnessa del tutto, ne aveva sicuramente alterati quasi tutti i tratti principali. Infatti, la testa, le braccia, la veste parevano seriamente danneggiati, talmente gravi le mutilazioni e le deturpazioni causate che non sfuggirono a quanti accorsero per primi sul posto per avere un’idea della gravità del disastro, ma, soprattutto, per commiserare l’atto sacrilego consumato.



Uno dei primi ad occuparsene fu il concittadino ispettore scolastico prof. Michele Di Turi, che, forte della sua probità ed onestà intellettuale, così si espresse su “Sannicandro Fascista”, nel numero di giugno-luglio ’43:
“…quando abbiamo visto – dice proprio così il nostro cronista – la Sacra effige della Madonna mutilata di un occhio, di un piede, di una mano, cosparsa di colpi di schegge e con le vesti a brandelli, abbiamo pensato che la Vergine abbia voluto attirare sulla sua Effige gli effetti dell’ira nemica, per risparmiare, per quanto possibile, i suoi fedeli…”  Dunque, il prof. Di Turi non parla per sentito dire, è andato sul posto, ha guardato, ha notato, e, quel che ha visto, riferisce, senza nulla nascondere o minimizzare.
Ed, alla stessa maniera di lui, si comporta un altro giornalista, un altro informatore, l’inviato speciale de “La Gazzetta del Mezzogiorno” di Bari, un certo O.V. (Oronzo Valentini?), il quale, nel numero di lunedì 28 giugno 1943, parlando delle solenni onoranze rese ai Caduti del bombardamento, così scrisse, tra l’altro:…
“…nella nicchia il Simulacro della Vergine è rimasto in piedi, con le mani mozzate e le vesti bruciate… e ancora… L’immagine è stata portata in processione fino alla cattedrale (Chiesa Madre). Il popolo l’ha seguita muto, senza un lamento…”
Da questi particolari si evince che il cronista barese parla per conoscenza diretta e che nulla egli affida alla sua immaginazione.
Nel ricordare, oggi, a tanti anni di distanza, l’episodio della processione, alcuni testimoni oculari, oggi ancora viventi, riferiscono che il trasferimento della Madonna incontrò non poche difficoltà, dato che le strade di accesso alla Chiesa Matrice erano un po’ tutte intasate di macerie, che venne, per questo trasferimento, avventurosamente usata una comune barella da soccorso e che, particolare questo significativamente importante, la madonna giaceva distesa, non in piedi, mostrando segni evidenti della botta ricevuta in seguito all’esplosione.
A riceverla, in Chiesa, ci fu – mi dicono – tra gli altri, l’allora ventenne “Cenzin’ d’ la Chies” (per chi non lo sapesse attuale sacrista della Chiesa Madre), il quale la sollevò delicatamente, tanto la sacra Immagine era instabile (non si reggeva in piedi) e mal ridotta, la strinse amorevolmente a sé, e, composta che l’ebbe, la sistemò all’interno della Chiesa madre, in un angolo, alle spalle dell’Altare Calvario. Sinché, di lì, non ne partì un giorno. Per i necessari restauri? O per altro?. Chissà.
Che la Sacra Immagine della Madonna non fosse uscita indenne dall’inferno che le era scoppiato d’intorno non furono solo i giornalisti anzidetti a scriverlo. Ce ne furono – e ce ne sono ancora – tanti altri, che, o sono passati a miglior vita, o non ricordano più bene quei particolari, forse per un senso di pudore o di ritegno, preferiscono non parlarne affatto o, come la signorina Nina Novielli-Losurdo, la signora Stellina Guglielmi (sorella di Don Nicolino), la signora Filomena Novielli ved. Adamo, la signora Domenica Ferrante ved. Farella (alias “Chell P’lacch”), solo per citarne qualcuna, le quali, nulla smentendo e molto confermando, parlano, concordi, almeno di un braccio rotto, tant’è che loro, e non soltanto loro, chiamavano allora la Madonna del Carmine: “La Madonn’ a ‘nu  vrazz”.
Dunque…
Viste e considerate nel loro insieme, tutte queste testimonianze, scritte e orali, hanno un alto valore, secondo me, e rendono un grande servigio alla verità dei fatti. Valore e servigio che sarebbero stati maggiori, ove ad esse si fosse accompagnato il sostegno del grande occhio della macchina fotografica, che quelle immagini sconvolgenti sicuramente ritrasse, che sicuramente immortalò, che sicuramente esistono ancora:
confuse, forse, nascoste, dimenticate, ingiallite dal tempo e dall’insipienza umana.
Foto, immagini, verità, anche sconvolgenti, che io ho cercato, ma che non ho trovato, non ho avuto la fortuna di guardare e di far guardare.
Peccato.


FRA  UNA  BOMBA  E  L’ALTRA


Nera è la notte. Fosco l’aere. Scuro il cielo, trapassato da una luce livida e minacciosa, solcato ad intermittenza da sagome veloci e fragorose. Sibilano cadendo le bombe, si susseguono violente le esplosioni.
Piogge di detriti di vario genere scendono fitte dall’alto. Un gran puzzo di bruciato e di polvere da sparo ammorba il naso e mozza il fiato.
* * *

Scosse violentemente dagli ordigni piovuti dal cielo anche le tubature della rete idrica vanno presto in tilt e l’acqua uscendone a fiotti tutto allaga, qua e là.
Incubo s’aggiunge a incubo, paura si mescola a paura, inquietudine s’unisce ad inquietudine, in un momento terribile.
Volano agghiaccianti nell’aria, grida di dolore, urli disperati di aiuto.
Che fare?

* * *

Porte e finestre tutte socchiuse e spalancate. Ma chi osa uscire dal proprio guscio o nascondiglio?, sfidare l’uragano?, affrontare a viso aperto la tempesta che impazza sempre più paurosa e devastante?
* * *

Ecco, un tale, un coraggioso di certo, si fa cauto sull’uscio, poi n’esce deciso, reggendo con la destra una bici. Solo un passo, quindi, montato in sella e pigiando con forza sui pedali, s’incammina per via Altamura. Dov’è diretto? Nessuno lo sa. Svicola. Scompare. Riappare. Facendo fatica ad evitare sassi, massi, fili, travi che impediscono il passaggio, specie nella zona da lui attraversata.
Qualcuno, seminascosto, ne intravede solo la figura, qualche altro riesce a riconoscerlo. Chi è? E’ lui!
E’ il “fontaniere” cittadino: il bravo e buono “Mest Luigg’ ‘d l’acquedott” come tutti lo chiamavano. Luigi De Nicolò, all’anagrafe.
* * *

Appena la strada diviene più scorrevole e nulla più lo frena, egli pigia con più forza sui pedali e in men che non si dica la mèta della sua corsa, il “serbatoio” comunale, è già raggiunta.

* * *

Un rapido giro di “chiave d’arresto” e l’acqua frena la sua corsa. Non esce più. Non allaga più. Non costituisce più problema di sorta. Per nessuno. In tanto frangente, per di più.  Era suo dovere intervenire prontamente. E lui non ha voluto sottrarsi a questo suo obbligo. Come tutti i buoni padri d’una volta, del resto, sempre ligi al proprio dovere. In umiltà e silenzio. Come sempre.
Onore a te, caro ed indimenticabile amico! Onestissimo cittadino, “Mest Luigg”!



SINTESI CRITICA DE “LA VERITA’ NASCOSTA”


“LE RAGIONI DI FONDO DEL BOMBARDAMENTO AEREO 
E
LO SCOTTO DELL’APPARTENENZA”


“Hai sentito?, hai saputo?”, - prendeva a dire, in evidente stato di “choc”, confuso e stupito quel mattino di giugno, a misfatto appena compiuto, l’uomo della strada al primo amico che incontrava – della bravata di stanotte? Hanno bombardato Sannicandro! Un paese inerme! Pacifico! Uccise tante persone, tanti civili. 
Senza un motivo!...”
“No!” – saltava su, pronto e deciso, l’altro – “Non è possibile! Non ci credo. Non è un obiettivo militare Sannicandro! Non ne vedo la ragione plausibile! Ci dev’essere sotto un errore!... – a s’allontanava scuotendo la testa.
* * *

Già: obiettivo civile, obiettivo militare, soldati da una parte, civili dall’altra, abbaglio, incidente di percorso, errore umano, ecc…ecc…
Così ragionava l’uomo della strada. Così ragionavan tutti. Anche gli uomini di cultura!
* * *

Nasceva così, inseminata ad arte dalla propaganda nemica, la favola bella dell’errore. Del bombardamento anomalo, involontario, irrazionale, illogico, immotivato, inspiegabile…
Assurdo!
Nulla di più falso. Infatti le motivazioni e le finalità di quell’azione di guerra c’erano e parlavano da sole, ma non si capivano; solo pochi riuscivano a coglierle.
O erano esse espresse a chiare lettere. O solo adombrate nelle righe del discorso oppure artatamente mimetizzate, astutamente nascoste nelle minacce.

* * *

Le trovavi dappertutto: nei manifestini (o volantini, o fogli volanti, come si chiamavano allora) che gli aerei lanciavano a migliaia insieme con le bombe - (a Sannicandro ne piovvero tanti, ma nessuno si prese la briga di leggerli!); nei “servizi” radiofonici quotidiani sulle operazioni belliche in corso; nei discorsi e negli scritti di uomini politici e di Capi militari; ma, soprattutto, nella conduzione stessa della guerra in atto.

* * *

La quale, si badi bene, non è, non era più la guerra di una volta, la vecchia guerra “tradizionale”, tutta lealtà, cavalleria, “fair play”, accordo fra le parti (belligeranti), convenzioni, rispetto reciproco. Era, è una guerra nuova: nei modi e nei metodi.
Detta “guerra totale o integrale”, perché coinvolgeva nella lotta tutto e tutti: militari e civili; senza discriminazioni di sorta; senza esclusioni di colpi; senza distinzione di mezzi: leciti o illeciti, morali o immorali. O “guerra psicologica”, perché rivolta contro la “psiche” umana, con quel suo martellamento continuo della coscienza, del sentimento e della volontà. O “guerra del moral bobbing” o del bombardamento del “morale” per indebolirlo, fiaccarlo, abbatterlo.
Con due precisi obiettivi:
1. spianare la strada alle forze da sbarco alleate pronte ad invadere l’Italia nell’imminenza del giorno “X” (9-10 luglio ’43);
2. costringere - con il terrore dei feroci bombardamenti a tappeto propinati di notte dagli inglesi, di giorno dagli americani – l’Italia alla resa, al mutamento del regime al potere, all’abbandono della lotta.

* * *

In questo contesto non ci si dovrebbe meravigliare affatto se anche la nostra comunità cittadina, al pari di tante altre comunità nazionali, cada, un giorno, nel mirino della britannica R.A.F. e paghi, a caro prezzo, lo “scotto della sua appartenenza” all’italica famiglia.
Tutto qui.
* * *

“Sì, - incalza a questo punto la solita voce critica, evidentemente poco soddisfatta del nostro argomentare -, “ma perché proprio Sannicandro?”.
Già: perché proprio Sannicandro?
“Per un particolare importante” – risponde per me la lettura attenta (dei documenti “possibili” in nostro possesso e delle testimonianze “più attendibili” da noi raccolte) e, con essa, l’interpretazione logica dei fatti accaduti quella notte – “per un fatto nuovo”, per una impellente necessità, per una drammatica situazione, che concorse a determinare l’azione di bombardamento proprio del nostro paese e non di altri centri abitati della provincia barese.
* * *

In poche parole andò così:
Siccome gli aerei inglesi, - quelli della 2ª e 3ª ondata -, non potevano più proseguire il volo verso Bari, a causa del violento fuoco di sbarramento aperto contro di loro dall’antiaerea italiana, per non correre il rischio di essere abbattuti con tutto il pesante carico trasportato, senza spostarsi minimamente dalla posizione occupata in quel momento, virarono istintivamente tutto a destra, scesero, gradatamente e velocemente, di quota, quindi, volando basso, scaricarono, “proprio su Sannicandro”, tutto: rabbia, bombe e odio. E “proprio su Sannicandro”, perché Sannicandro era il primo paese che avevano a tiro.

* * *

Questa nostra “verità”, spoglia com’è dell’elemento fantastico, forse a qualcuno non piacerà, a qualche altro farà storcere il naso, a qualche altro ancora fornirà lo spunto per rinnovare disprezzo e insulto, “forse accarezzerà meno l’orecchio” – come scrisse il sommo Ticidide -, ma basterà che la giudichino utile quanti vorranno sapere ciò che del passato è certo.63

* * *

Per concludere, la “bravata” di quella terribile notte, non fu un errore, come qualcuno ha supposto, e suppone tuttora, né un capriccio della sorte, né un atto improvviso e leggero, ma la diretta conseguenza di una libera scelta di uomini liberi, dettata e imposta da una particolare congiuntura o “contingenza” momentanea, da uno stato di necessità, condotta con il calcolato freddo cinismo di ieri (- e di oggi -) e me ne dà conferma l’ambasciatore, e storico Sergio Romano64, probabilmente, non certamente eseguita in omaggio ad una “soffiata” ai Servizi Segreti britannici allora (cioè, in quel clima rovente, in quella estrema asprezza con cui le ideologie conducevano il confronto) ben presenti e ben funzionanti su tutto il territorio nazionale, fortemente “voluta” e, aggiungo, “sentita”, contro un paese pacifico e inerme, a torto creduto “covo e roccaforte” di fascismo e di nazismo, mentre era, invece, solo e soltanto, “simbolo e faro” di dignità e di libertà contadina, “che consacra con l’esempio e il sacrificio di tutta la sua gente”.

* * *
“52 aerei – 450 - 500  tonn. di bombe – 94 vittime civili”.

PER RENDERCI PIU’ LIBERI?

Sannicandro, 60- 61° del bombardamento.
TRA SPIONAGGIO E CONTROSPIONAGGIO
ovvero
Tra voci e… soffiate… sulle tracce della “verità”

* * *

Non soltanto agli uomini di una certa età, che di guerra o ne hanno vista e fatta tanta, che una grossa fetta della loro vita l’hanno trascorsa in grigioverde, più spesso in terra straniera, lontano dal proprio paese, tra esperienze durissime, disagi e pericoli di ogni genere, ma anche ai giovani di oggi, che di guerra, di guerra vera, apocalittica, spaventevole, e di vita militare sono piuttosto digiuni o, al più, ne sentono velocemente parlare in TV, “queste due parole” non giungono né suonano affatto nuove, strane, prive di rilevanza ai fini della conoscenza di quella tale “verità” che sta a cuore a tutti noi.

* * *

Entravano, essi – (lo spionaggio e il controspionaggio) – a far parte, a pieno titolo e con tutti i crismi della sacralità, dei piani e delle linee programmatiche che gli Stati maggiori delle più grandi potenze – ieri come oggi – tracciavano (e tracciano) in vista di una probabile partecipazione ad un conflitto armato e, considerati i fini, che, con il loro concorso, s’intendevano perseguire, riservavano loro il più ampio spazio e la più grande attenzione, perché riuscissero veramente utili e funzionali e proficui.

* * *

Non semplici parole, dunque, ma “strutture” vere, bene organizzate e ben funzionanti d’un moderno “apparato militare”, ma efficienti “servizi d’informazione”, che, qualche volta, - bisogna riconoscerlo – hanno prodotto guasti paurosi e piccole grandi tragedie, ma che, più spesso, hanno molto utilmente lavorato per il trionfo della loro causa, lasciando traccia non piccola anche nei ricordi di noi sannicandresi.
Più chiaramente, erano, esse, “attività segrete o clandestine” dirette, con il primo, “a procurarsi notizie d’ordine politico, militare ed economico” sul conto di uno Stato nemico, con il secondo, “a scoprire e neutralizzare l’azione spionistica avversaria”.

* * *

Che entrambi funzionassero a dovere contro l’Italia, in generale, e contro di noi sannicandresi, in particolare, ce lo dimostra e lo testimonia il seguente telegramma 65, datato 22 luglio 1943: h. 18.50. Suona così:
“INVIATE URGENZA SOCCORSI. NEMICO HA LANCIATO PARACADUTISTI IN AGRO DI Sannicandro”.
COMMISSARIO PREFETTIZIO SCALERA.

* * *

Leggendolo, ora, noi non pensiamo che “quei paracadutisti” fossero “PARA’ o COMMANDOS” del genere di quelli di cui ci parlano le cronache dei tempi recenti, ma crediamo piuttosto che essi fossero “agenti segreti” del Servizio d’informazione britannico, inviati, meglio “paracadutati”, sul nostro territorio, e con una certa urgenza, per assumere notizie sulla “situazione socio-politico-militare” nella nostra provincia, in vista di un probabile sbarco di truppe dell’8ª Armata, in lenta avanzata sulla direttrice ionico-adriatica, sulle coste “baresi”, “se non proprio” nel porto di Bari.
“Agenti segreti”, abbiamo detto e ripetiamo, armati certamente di tutto punto, pronti, se scoperti, ad affrontare un eventuale scontro col nemico, a travestirsi, a camuffarsi, ad unirsi agli eventuali compiacenti informatori locali (che, da che mondo è mondo, ci sono sempre, e c’erano allora, eccome! e tutti disponibili), con l’aiuto di questi, a far perdere le tracce della loro presenza.

* * *

“In agro di Sannicandro” ha scritto il telegramma. E, sapete perché?
Perché la nostra Sannicandro, se ben ci riflettete, veniva, e viene in qualche modo ancor oggi ad occupare una posizione “strategica” di primaria importanza nello scacchiere del fronte da poco apertosi nell’Italia peninsulare, facendo, essa (la nostra città), “da Antemurale della Porta Barese meridionale”, “da centro di raccordo essenziale sulla rete viaria che andava e va a collegare, abbreviandolo, il sud ionico con l’Adriatico” (ce ne dette conferma qualche tempo dopo la lunga autocolonna dell’8ª Armata, quando, dovendo portarsi in posizione più avanzata, attraversò Sannicandro, venendo da Adelfia, e per Bitetto-Palo, raggiunse la cosiddetta “Strada della Rivoluzione”).

* * *

Potevano essere queste le ragioni per le quali la nostra città veniva sottoposta a frequenti controlli dall’alto e dal basso, a strette sorveglianze, a “sorvolate” propagandistiche, a suon di bombe e di manifesti.
Come poteva essere quella indicata da una certa “soffiata”66, di cui presto ci occuperemo, la ragione – o la “concausa”67 – di quella sorta di “trattamento speciale” o, (per dirla con termini medici, di “terapia d’urto”) riservato alla nostra comunità cittadina il 26 giugno.

* * *

Sta di fatto che ben s’innesta su queste specifiche “attività segrete” – alla maniera di “giusta cornice” a mirabile raffigurazione pittorica -, una “VOCE popolare” che io ho udita, con queste mie orecchie, all’indomani del fattaccio, che avevo momentaneamente perduta di vista ed anche dimenticata, ma che oggi mi è precipitosamente tornata alla mente, più provocatoria che mai e più intrigante di allora.

* * *

Canta, con passo felpato, quella “voce” circolava ancora, in quei giorni tristi e malinconici del dopo bombardamento, con una certa insistenza, lieve come un sussurro, intrigante e molesta come una pulce in un orecchio.
E, correndo di bocca in bocca, “raccontava”, non creduta, “di tedeschi”, di odiati tedeschi – come volete che, al solo nominarli, non sobbalzassero di paura e di spavento le anime buone dei figli di Albione?! – di stanza nella inerme!! e pacifica!!! Sannicandro, che “progettavano”, in gran segreto, nel più profondo dei silenzi, e con la complicità dei fascisti Sannicandresi, per giunta, di fare del “Castello medioevale” che vi si ergeva maestoso, uno “speciale fortilizio”, una “possente roccaforte” pronta, già, “a sbarrare la strada agli invasori, con tutti i mezzi a loro disposizione, sicuramente – aggiungeva – anche con le terribili armi segrete” di cui si vantava tanto il loro capo, le temute V1 e V268.

* * *

Fin qui “la voce” o “informazione” ai Servizi Segreti o “soffiata” che dir si voglia.
Non era “tutto” vero, naturalmente, ma neppure “tutto” falso e la presenza dei Tedeschi in casa nostra o dalle parti, per quanto così prudente ed accorta da sembrare inesistente, non si poteva né negare né mettere in dubbio, anche perché tutti i testimoni oculari ci credevano e ci giuravano, (e ci giurano) sopra, ancor oggi.

* * *

Manipolata ad arte, forse mal condotta e mal verificata dagli informati, quella tal “diceria”, tutto veicolando, corporeizzando, gonfiando, ingigantendo – “idee, piani, progetti, sospetti e veleni” e fors’anche “verità nascoste” dagli stessi tedeschi – non tardò, secondo noi, a trovare facile ascolto presso gli Stati Maggiori Alleati e, da quel momento, per convenienza e per convinzione e per necessità strategiche, a noi ignote, l’inerme, pardon, l’“armatissima”  Sannicandro, con la complicità delle forze oscure del male nascosto nel suo stesso grembo, entrando, come si suol dire, nell’occhio del ciclone, divenne “sorvegliata speciale”, da tenere costantemente d’occhio e, se necessario, da sacrificare “al più presto” come “vittima colpevole d’un colpevole sacrificio” per la sua stessa libertà.

* * *

Fantastorie, - griderà anche questa volta la solita coscienza critica -, insinuazioni malevole, invenzioni cervellotiche, che non hanno mai fatto storia e che quindi storia, per me, non sono e non saranno mai, da rinviare subito al mittente (il popolo ignorante!), da gettare senza esitazione nei calderoni delle fantasie popolari.
Fette, rispondo io, tracce, “indizi” di verità, piccoli, ma significativi “particolari”, o “segni patognomonici”,69 come dice la scienza medica, che, come quelli aiutano a identificare una malattia, così questi servono a mettere l’indagatore sulle tracce della “VERITA’”, nascosta, nel nostro caso, dentro il “sotterraneo lavorìo” di agenti segreti stranieri ed il “compiacente zelo” di compiacenti informatori di parte nostra.

* * *

Con ciò non ho voluto, né voglio dire di aver scoperto finalmente la “verità” tutta intera o quella parte di essa che sta tanto a cuore a noi tutti, ma di aver trovato – questo sì – e messo al suo giusto posto, un altro importante tassello del grande mosaico di cui essa, la verità, si compone, il che con la reticenza (e l’indisponibilità!) che ci ritroviamo, non è certo, - mi creda il buon lettore -, poca cosa.
E giungerle vicino e sentirne già il fiato e l’odore, o soltanto sfiorarla è già un successo. Per me!  Almeno!!

* * *

E la “verità” per me, che “illiusquidem temporis acti laudator non sum”, era, ed è, una ed una sola:
“Sannicandro di quel feroce bombardamento non aveva colpa alcuna”.
Non era “fascista” e neppure “nazista”, ma solo una piccola silenziosa comunità “assetata di amore e di giustizia”!  Anelante, come tutte le altre alla “libertà” da qualsiasi oppressione!!

* * *

“Una città martire”, la nostra!

E non sono io a dirlo, ma la Storia.

Agosto 2003.








Cap. VIII :
L'AMARO BILANCIO DI UNA TRAGEDIA
I feriti, i morti, le distruzioni

Quando, intorno alle 03,30 del 26, il sole ricomparve all'orizzonte e ogni cosa sulla terra ne fu illuminata, il disastro di Sannicandro era sotto gli occhi di tutti. La vastità della sua dimensione traspariva tutta intera dallo scenario apocalittico che il paese offriva agli sguardi esterrefatti ed increduli dei primi soccorritori, dall'aria pesante e triste che si respirava nelle vie, da quella strana ed insolita montagna di sassi e di travi, che si ergeva nella strada principale, a due passi dal Monumento ai Caduti, ostruendo il passaggio ad ovest dell'abitato, dalla gran paura dei sopravvissuti, che cresceva a dismisura e tutti spingeva verso l'aperta campagna, verso un posto qualsiasi, purché fosse lontano dalla maledizione piovuta dal cielo, dal pianto sommesso e schivo di chi si aggirava tremante e smarrito in cerca di qualcuno o di qualcosa, dalle tante cose scomparse o rovinate su se stesse che lanciavano in faccia al mondo, tacito e inorridito, l'enormità di un'inutile catastrofe, infine dal gran puzzo di polvere pirica che avvolgeva uomini e cose.
Nel gran trambusto del momento e nella paralisi del dolore e dell'angoscia, non era possibile fissare, subito, a caldo, l'entità dei danni provocati dalle bombe, indicare con esattezza i termini delle perdite in vite umane. Le stime erano e restavano ovviamente provvisorie e tali si conservarono per lungo tempo.
Tuttavia, moralmente e psicologicamente, apparivano senz'altro enormi, avendo le bombe inciso profondamente nell'animo della gente e provocato un turbamento immenso, un'ansia interminabile, che si protrasse per tutta la vita.
Dal punto di vista materiale, poi, il quadro dei danni già considerevoli alle persone e alle cose si delineò meglio in seguito.
Quanti furono i feriti? Né dieci, né venti, né trenta, come si disse e si scrisse in un primo momento. Furono molti di più, forse un centinaio, forse anche di più, se dobbiamo credere alle indicazioni dei testimoni oculari. 
Era difficile accertarlo ieri, lo è maggiormente oggi 70, perchè ai feriti gravi, lacero contusi, come li chiama la scienza medica, giustamente ricoverati in strutture ospedaliere - quali l'Ospedale Militare e l'Ospedale Consorziale di Bari, l'Ospedale Civico di Modugno71 - per gli interventi chirurgici più urgenti, quindi facilmente controllabili, bisognava aggiungere quelli che avevano riportato semplici contusioni, escoriazioni o ammaccature di lieve entità, curabili sul posto o in casa o in un'infermeria medica cittadina, luoghi questi che, dagli ammalati di allora - parliamo di oltre cinquant'anni  fa -    erano preferiti, a differenza di oggi, ai pubblici ospedali,  specie da parte degli anziani, i quali soffrivano, più degli altri, di una malattia, assai diffusa a quei tempi: la Fobia o paura  dell'Ospedale (dal greco fòbos, paura). E, poichè la censura vietava rigorosamente la divulgazione di notizie che potessero turbare l'opinione pubblica, non se ne fece mai un attento controllo e non se ne seppe mai il numero preciso, tanto più che nessuno sentì mai il bisogno di occuparsi di queste cose, essendo un po' tutti "in tutt'altre faccende affaccendati", come scherzosamente diceva il Giusti (S. Ambrogio, v.15).
E i morti?  Anche il numero di questi è stato, ed è tuttora "tàbu"72, mistero, e la cosa non ci fa tanto onore. Doveva necessariamente variare col tempo, man mano che le macerie venivano aggredite dal piccone e completate le ricerche delle persone mancanti all'appello.
Passò, così, dai dieci indicati dal bollettino di guerra dello stesso giorno 26, ai trenta, quaranta, cinquanta, ottantasei dei giorni successivi, l'ultimo dei quali non possiamo darlo per definitivo. E vediamo perchè.
Di elenchi dei morti del bombardamento ce ne sono in circolazione almeno tre, e tutti discordi tra di loro:
1) Quello, per così dire, “ufficiale”, esistente in archivio, datato 13 luglio 1943, a firma del Commissario prefettizio avv. Dionigi Scalera, probabilmente copia dell'elenco inviato al Prefetto di Bari, indica in 86 i morti ufficialmente accertati a tutto giugno, ma non comprende quelli di luglio e successivi esistenti agli atti. 
2) Quello "cimiteriale", messo a disposizione del custode del cimitero, datato novembre 1948, a firma dell'ex impiegato comunale sig. Michele Labate, che porta a 88 il numero dei morti;
3) Quello, infine, "monumentale" che si ricava sommando i nomi dei caduti incisi sulle due lapidi dello stesso Monumento eretto dall'Amministrazione Comunale nel 1956 e che indica anch'esso in 88 ( 46 + 42) il numero di coloro che rimasero vittime del bombardamento.
Il "cimiteriale" e il "monumentale" concordano, è vero, sul numero, ma discordano sul nome dei Caduti. La discordanza sta nel fatto che il “monumentale" riporta ripetuto il nome Racanelli Giuseppe fu Francesco, mentre non comprende quello di Marziliano Maria di Francesco, che ne ha pienamente diritto;  decedette in ospedale l’8.7.1943, Atto di morte n.6 P.II S.C.
Con questa correzione il numero dei morti tornerebbe certo a 88, ma, fermandoci a questo, lasceremmo ingiustamente fuori una fra le giovani sventurate più segnate dalla sofferenza, la Michelina Chimienti, di cui abbiamo parlato a lungo in un altro capitolo, spentasi, anni dopo, al termine di un interminabile calvario da imputare alle numerose ferite riportate. E, poichè non è giusto, secondo noi, defraudare costei di un premio che la Patria stessa le riconosce, ai sensi della Circolare Regia Prefettura di Bari del 14.6.1943, n°19866, non vedo perchè si debba esitare tanto a concederle questo riconoscimento, e, di conseguenza, a portare a 89 il numero delle vittime del bombardamento.
Di queste abbiamo redatto un elenco alfabetico che inseriamo in questo studio a puro titolo conoscitivo.73 
Per quanto poi attiene ai danni materiali, non esageriamo affatto dicendo che furono enormi.
Fra le opere pubbliche andò totalmente distrutta la Chiesa del Carmine. Di quella bella chiesetta non è rimasto nulla, c'è solo un vuoto incolmabile. Ne è sorta un'altra, bella, moderna, ma è un'altra cosa. Gravemente danneggiati rimasero pure il Monumento ai Caduti, la Chiesa Madre e la Chiesa dello Spirito Santo, per i quali successivamente si resero necessari opportuni restauri; lievi danni riportò infine l'Acquedotto Pugliese, nel tronco secondario che da Sannicandro porta a Bitritto.
A proposito delle civili abitazioni, invece, il commissario prefettizio avv. Scalera, in una sua nota al Prefetto di Bari, datata 8 settembre 1943, nel lamentare come poco avesse fatto sino allora il Genio Civile del Capoluogo di provincia per alleviare i disagi di quanti avevano perduto la casa o l'avevano pericolante o bisognosa di improrogabili restauri alle finestre e alle tettoie, indicava in oltre duecento - e non esagerava - le casa distrutte e rese inabitabili, per un importo complessivo di svariate decine di miliardi in valuta attuale. In campo agricolo, infine, i danni più gravi li ricevette la cerealicoltura con la perdita di una parte cospicua del raccolto annuale nell'incendio dei covoni ammucchiati attorno all'aia di Vito Scuccimarri, sulla quale restò orrendamente maciullato il settantatreenne Vincenzo Chimienti.74. Ora, quantificare questi ultimi danni non è difficile. E' difficile, invece, stabilire quali e quante sofferenze ne ricevettero quei nostri concittadini che da tempo lottavano contro la fame o quegli altri che erano rimasti senza un tetto o quegli altri ancora che un tetto l'avevano, ma non erano affatto riparati dalle intemperie.
Il rito sacrificale esigeva anche queste tribolazioni dalla povera gente di Sannicandro!



Cap. IX :
I  DIAVOLI  DELL’ARIA 
VISTI DA  VICINO


GLI  A E R E I


1. All’ incursione del 26 giugno  la R.A.F. partecipo', secondo fonti accreditate, con bombardieri e cacciabombardieri a largo raggio, prevalentemente, se non unicamente del tipo “Wellington XIII”. Eccone, in sintesi, la storia, che desumiamo, per gentile concessione dell’Editore, da “Bombardieri 1939-1945”.



Quando l’aviazione britannica non disponeva ancora di bombardieri quadrimotori, il “Wellington”, conosciuto anche con il nome di “Wimpey”, svolse un ruolo importantissimo. 
Prodotto in ben 11.461 esemplari, questo bombardiere rimase uno degli aerei preferiti dai piloti per la sua maneggevolezza e soprattutto per la capacità di assorbimento dei colpi.  Il “Wellington”  fu costruito a struttura cosiddetta “geodedica”, cioè anziché con l’impiego di ordinate e correntini, usando profilati intrecciati a rombo, tecnica che permise una semplificazione della produzione.  Il prototipo volò il 15 giugno 1936 con due motori “Pegasus” da 850 HP ciascuno e nel corso della esposizione di Hendon riscosse critiche favorevoli.  



L’armamento difensivo comprendeva due mitragliatrici da 7,7 mm, una nel muso e una in coda, manovrate a mano e contenute in apposite cupole di plexigas.  Nel vano bombe potevano essere sistemate 9 bombe da 227 Kg. o 9 da 113 Kg.  Il “Wellington I” volò nel dicembre 1937, con parecchie modifiche, rispetto al prototipo nei piani di coda e nel posizionamento e nel numero delle mitragliatrici e nella forza motori. Furono realizzate parecchie versioni, sino a quattordici (XIV). Il “Wellington XIII”, con motori Hercules XVII da 1770 HP (cavalli), fu equipaggiato con Radar A.S.V.-Mk II. L’ultima versione, Wellington XIV, fu armata da quattro razzi sotto ogni ala ed ebbe la parte bassa del muso modificata. Ciascun esemplare disponeva di un vano bombe modificabile per il trasporto di un’unica bomba da 4.000 lb.  Equipaggio 6 uomini.



LE  BOMBE

All’inizio della guerra la R.A.F. disponeva solo di bombe da 113 Kg.  (250 lb.), da 227 Kg. (500 lb.) e da 454 Kg. (1000 lb.), classificate G.P.(General Purpose).
Le bombe della nuova serie furono così classificate:
Bombe A.P.(Armour Piercing) da Kg. 908 (2000 lb.), lunghe m.2,85 e del diametro di cm.34; bombe HC (High Capacity) da Kg.9080 (4000 lb.), queste ultime di cm.76 di diametro.
Un’altra bomba HC fu la (“Blok Buster”) che veniva realizzata  unendo due bombe da 1816 Kg. per formarne una unica da 3600 Kg. circa (8000 lb). Vi era inoltre la possibilità  di aggiungerne una terza per un peso complessivo di 5450 Kg.
La “Grand Slam” fu la più grande mai apparsa: il suo peso era, infatti, di Kg.9990 (22000 lb), lunga m.7,74; diametro 1,17 m..  Ai predetti tipi vanno aggiunte le bombe incendiarie, in diversi modelli, al fosforo, da 13,6 Kg., 14,5 Kg., 113 Kg., 230 Kg., 1816 Kg. (Pink Pausy) o Spiming Bomb.

2. All’incursione del 16 luglio sull’aeroporto di Palese (Bari), invece parteciparono sicuramente, per gli alleati americani - U.S.A.F. -, bombardieri e caccia-bombardieri B 24 LIBERATOR (Flying Fortres), per i tedeschi, caccia non ben identificati, probabilmente Stukas.
Il quadrimotore americano B24 LIBERATOR fu l’aereo d’oltreoceano costruito in maggior numero: ne furono infatti ultimati, in parecchie versioni, ben 18.188 esemplari.
La progettazione ebbe inizio nel gennaio 1939 prima per conto dell’U.S.A.F., poi per conto della Francia e della R.A.F.
Le caratteristiche principali erano:
apertura alare: m.30,73; lunghezza m.20,47; superficie alare: mq.97,5; Peso: a vuoto: Kg.17.200; a pieno carico: Kg.25.500; motori: 4 Pratt e Whitney R.1830-65 TWIN WASP  da 1.200 HP ciascuno; 14 cilindri raffreddati ad aria; velocità massima: Km/h 482 a m.9.100; autonomia: con Kg.2.300 di bombe, Km.2.750 circa; armamento: 10 mitragliatrici Browning da 12,7 mm.; carico offensivo: Kg.5.800 di bombe (trasportabili solo per brevi percorsi); carico normalmente trasportato Kg.2.300. Equipaggio: 10 uomini.




INSEGNE E COLORAZIONI

L’insegna nazionale base inglese era costituita da una coccarda tricolore blu-bianco-rosso e una bandierina sulla deriva verticale (“fin-flash”). Per la colorazione, nell’impiego notturno, le superfici degli aerei potevano essere parzialmente o totalmente ricoperte di nero. La colorazione più diffusa fu quella a chiazze verde e marrone con superfici nere.
Il contrassegno americano era una stella (o Star) a cinque punte  bianca in disco azzurro, applicata sui  due lati della fusoliera o sulle superfici alari sinistre.
La colorazione standard degli aerei dell’ U.S. ARMY fu il verde oliva per le superfici inferiori. 









D O C U M E N T I    E     T A B E L L E





T A B E L L A n°1
LE “CAUSE VERE” E LE “RAGIONI DI FONDO” CHE DETERMINARONO IL BOMBARDAMENTO AEREO DI Sannicandro DI BARI
(25-26 GIUGNO 1943)


Le “cause” contingenti e scatenenti:

1. La materiale “impossibilità”, per i bombardieri di S.M.B. di “bucare” il “muro di ferro e di fuoco” che la contraerea italiana aveva ormai eretto a difesa della città di Bari.

L’inderogabile “necessità” di “dirottare subito” il pesante carico di mombe trasportato per sganciarlo sull’obiettivo sostitutivo “strategicamente” più vicino, pena l’abbattimento.


Le “ragioni di fondo” o “concause strategiche”:

L’essere Sannicandro, con la sua “posizione naturale”:
1. “Antemurale” della Porta meridionale barese.
2. “Avamposto” di prima grandezza nel dispositivo strategico dell’Asse.
3. “Centro di raccordo” viario (essenziale e preferenziale), tra la S.Statale 100 (o Taranto-Bari) e la superstarda (o ex strada della rivoluzione) 16 bis, che, passando per Gioia del Colle, Adelfia (capostrada), Sannicandro, Bitetto, palo, Bitonto, collegava (e collega) il Sud-Jonico con l’Adriatico meridionale.
4. “Posto di osservazione” ideale per le artiglierie antiaeree posizionate sul castello Svevo.
5. “Deposito logistico” “roccaforte”, “cavallo di Troia”, “covo e nascondiglio”di armi e di armati nazifascisti, e, a detta degli 007 britannici, probabile “pista di lancio delle …armi segrete tedesche”…



T A B E L L A     n° 2
I CADUTI SECONDO GLI ELENCHI RIPORTATI DAL MONUMENTO NEL CIMITERO
N°di ord
COGNOME  E  NOME
PATERNITA’
1
Cappelli
Rosa
Domenico
2
De Vivo
Mariacarmina
Raffaele
3
Mossa
Nicola
Francesco
4
Mariani
Giuseppe
Domenico
5
Mariani
Saverio
Domenico
6
Picicci
Domenico
Giuseppe
7
Ferrante
Domenica
Giuseppe
8
Picicci
Caterina
Domenico
9
Chimienti
Domenica M.
Francesco
10
Farella
Leonarda
Vito Marino
11
Rinaldi
Carlo

12
Racanelli
Giuseppe
Francesco
13
Racanelli
Giuseppe
Francesco
14
Scalera
Leone Gaetano
Pasquale
15
Iacobazzi
Maria
Giovanni
16
Scalera
Giovanni
Leone Gaetano
17
Mossa
Teresa
Michele
18
Giammarella
Maria
Francesco
19
Giammarella
Lorenzo
Francesco
20
Saliani
Carolina
Nicola
21
Sacchetti
Teresa
Francesco
22
Sacchetti
Maria
Francesco
23
Giampetruzzi
Beatrice
Giuseppe
24
Racanelli
Angela Cost.
Giuseppe
25
Lotito
Giovanni
Vito Matteo
26
Lotito
Giulia
Vito Matteo
27
Giannone
Vito
Domenico
28
Mondelli
Maria Conc.
Leonardo
29
Verni’
Rocco
Nicola
30
Salatino
Angela
Gennaro
31
Scuccimarri
Rosa
Giuseppe
32
Carbonara
Michele
Francesc
33
Mondelli
Rita
Scelzo
34
Carbonara
Pietro
Michele
36
Chiechi
Carmela
Francesco
37
Chimienti
Vincenzo
Francesco
38
De Pinto
Innocenza
Domenico
39
Pavia
Nicola
Francesco
40
Pavia
Domenico
Francesco
41
Verni’
Grazia
Raffaele
42
Marziliano
Francesco
Vito Palmo
43
Racanelli
Giuseppe
Domenico
44
Liddi
Grazia
Giovanni
45
Proscia
Carmela
Filippo
46
Santamaria
Gaetano
Pietro
47
Santamaria
Filippo
Pietro
48
Dinapoli
Maria
Nicola
49
Albanese
Anna
Francesco
50
Andriola
Pasquale
Michele
51
Rizzi
Pasqua
Vitantonio
52
Priore
Grazia
Giuseppe
53
Novielli
Giovannina
Vitofranc
54
Clarizio
Vito
Michele
55
Clarizio
Domenico
Michele
56
Clarizio
Giuseppe
Michele
57
Clarizio
Nicola
Michele
58
Giannone
Maria
Giacomo
59
Racanelli
Giuseppe
Vito
60
De Santis
Laura
Michele
61
Racanelli
Maria
Giuseppe
62
Michielli
Giovanni
Francesco
63
Racanelli
Chiara
Vitoleonar
64
Marziliano
Filomena
Francesco
65
Giammarella
Anna
Francesco
66
Di Giglio
Michele
Francesco
67
Di Giglio
Costanza
Francesco
68
Di Giglio
Lorenzo
Francesco
69
Chiechi
Sabatina
Angelaanton
70
Chiechi
Serafina
Angelaanton
71
Rizzi
Nicola
Michele
72
Trotti
Anna
Michele
73
Maffei
Emilia
Paolo
74
Poli
Adelaide

75
Scuralli
Caterina
Francesco
76
Racanelli
Luigi
Francesco
77
Racanelli
Tommaso
Francesco
78
Novielli
Filippo
Francesco
79
Novielli
Annamaria
Nicola
80
Novielli
Francesco
Filippo
81
Novielli
Nicola
Filippo
82
Novielli
Vitantonio
Filippo
83
Novielli
Carmela
Filippo
84
Diletta
Maria

85
Mariani
Maria
Domenico
86
Andriola
Maria
Rocco
87
Dellino
Isabella
Trifone
88
Errico
Rocco
Giuseppe



TABELLA n°3  DEI CADUTI SECONDO LA RICERCA, AGGIORNATA AL 2006


N° di ord
.


COGNOME,  NOME  e PATERNITA’



DATA DI NASCITA
1
Albanese Anna di Francesco
06.08.28
2
Andriola Maria di Rocco
11.01.34
3
Andriola Pasquale di Michele
25.10.31
4
Cappelli Rosa di Domenico
12.12.28
5
Carbonara Michele Fu Francesco
30.12.875
6
Carbonara Pietro di Michele
25.06.15
7
Chiechi Carmela di Francesco
04.03.38
8
Chiechi Sabatina di Angelantonio
02.02.41
9
Chiechi Serafina di Angelantonio
29.05.42
10
Chimienti Domenica Maria Fu Francesco
29.09.882
11
Chimienti Vincenzo Fu Francesco
07.09.869
12
Clarizio Domenico di Michele
09.07.936
13
Clarizio Giuseppe di Michele
18.01.39
14
Clarizio Nicola Di Michele
13.01.42
15
Clarizio Vito Di Michele
26.11.33
16
Dellino  Isabella Di Trifone
19.02.38
17
De Pinto Innocenza Di Domenico
25.08.20
18
De Santis Laura Fu Michele
25.11.887
19
Devivo Mariacarmina Di Raffaele
16.07.17
20
Di Giglio Costanza Di Francesco
17.08.39
21
Di Giglio Lorenzo Di Francesco
03.01.43
22
Di Giglio Michele Di Francesco
13.12.35
23
Diletta Maria
16.08.898
24
Dinapoli Maria Di Nicola
03.04.23
25
Errico Rosa Di Giuseppe
27.08.898
26
Farella Leonarda Fu Vitomarino
26.06.25
27
Ferrante Domenica Fu Giuseppe
04.03.882
28
Giammarella Anna Fu Francesco
19.11.08
29
Giammarella Lorenzo Fu Francesco
17.11.25
30
Giammarella Maria Fu Francesco
18.03.20
31
Giampetruzzi Beatrice Di Giuseppe
30.01.43
32
Giannone Maria Fu Giacomo
17.09.862
33
Giannone Vito Fu Domenico
28.04.868
34
Iacobazzi Maria Fu Giovanni
12.11.07
35
Lotito Giovanni Di Domenico
15.12.40
36
Lotito  Giulia Di Vitomatteo
24.01.43
37
Liddi Grazia Fu Giovanni
07.01.23
38
Maffei Emilia Di Paolo
11.04.39
39
Marziliano Filomena Di Francesco
27.01.27
40
Marziliano Francesco Di Vitopalmo
17.06.01
41
Marziliano Maria Di Francesco
11.08.39
42
Mariani  Giuseppe Di Domenico
21.04.35
43
Mariani Maria Di Domenico
21.07.28
44
Mariani Saverio Di Domenico
28.01.38
45
Michielli Giovanni Di Francesco
08.12.39
46
Mondelli M.Concetta  Fu Leonardo
11.02.874
47
Mondelli Rita Fu Scelzo
29.04.881
48
Mossa Nicola Di Francesco
12.09.37
49
Mossa Teresa Fu Michele
29.03.881
50
Novielli Anna Maria Di Nicola
06.05.08
51
Novielli Carmela Di Filippo
16.04.43
52
Novielli Filippo Di Francesco
26.04.06
53
Novielli Francesco Di Filippo
26.09.31
54
Novielli Giovannina Di V.Francesco
01.10.10
55
Novielli Nicola Di Filippo
28.11.33
56
Novielli Vitantonio Di Filippo
27.09.39
57
Pavia Domenico Di Francesco
17.08.41
58
Pavia Nicola Di Francesco
06.07.37
59
Picicci Caterina Di Domenico
05.06.21
60
Picicci Domenico Fu Giuseppe
02.11.873
61
Poli Adelaide
01.03.884
62
Priore Grazia Fu Giuseppe
08.09.887
63
Proscia Carmela Fu Filippo
15.07.896
64
Racanelli Angela Costanza di Giuseppe
07.09.11
65
Racanelli Chiara Fu Vitoleonardo
23.01.892
66
Racanelli Giuseppe Fu Francesco
30.01.872
67
Racanelli Giuseppe Fu Vito
06.02.889
68
Racanelli Giuseppe Di Domenico
22.08.30
69
Racanelli Luigi di Francesco
10.05.33
70
Racanelli Maria di Giuseppe
06.10.21
71
Racanelli Tommaso di Francesco
03.04.38
72
Rinaldi Carlo
05.02.883
73
Rizzi Nicola Fu Michele
04.01.864
74
Rizzi  Pasqua  di Vitantonio
13.05.892
75
Sacchetti Maria di Francesco
11.12.13
76
Sacchetti  Teresa di Francesco
02.10.15
77
Salatino Angela Fu  Gennaro
10.10.879
78
Saliani Carolina Fu Nicola
18.06.888
79
Santamaria Filippo Di Pietro
18.09.34
80
Santamaria Gaetano Di Pietro
06.02.33
81
Scalera Giovanni Di Leone Gaetano
22.04.43
82
Scalera Leonegaetano Fu Pasquale
13.09.06
83
Scuccimarri Rosa Fu Giuseppe 
11.09.881
84
Scuralli Caterina Fu Francesco
01.09.24
85
Trotti Anna Fu Michele
09.06.866
86
Vernì Francesco Fu Michele
04.10.887
87
Vernì Grazia Fu Raffaele
26.10.865
88
Vernì Rocco Fu Nicola
21.11.876

+





89
Chimienti
Michelina
10.04.1922




90
Chiechi
Anna di Giovanni
25.12.1922




91
Chiechi
Rosa di Giovanni
29.01.1926




92
Stea
Rosa di Battista
20/08/1911




93
STANGARONE   Olga   di Nicola
26/05/1928

…ma il nome di tutti questi morti è stato effettivamente riportato sul marmo della pubblica piazza? “No” – tuonò forte una voce – “e sapete perché”?
- “Un profeta sorse in mezzo a loro, ma i suoi non gli credettero e… dei caduti incisero sulla pietra…solo una mezza verità…”
giugno 2006.

T A B E L L A     N° 4
I   M O R T I   del bombardamento:
n°  88 + 1      =     89



CATEGORIA

LUOGO DEL DECESSO


Annotazioni

Sotto le macerie

In   Ospedale

TOTALE

In seguito
a ferite
Bambini e adolescenti
34
1
35
-
Uomini
13
2
15
-
Donne
37
1
38
1 ( * )
TOTALE………..
84
4
88
1

Totale complessivo


88   +  1 =  89



( * )  -  Ci si riferisce a Michelina Chimienti, deceduta il 19.9.1948, secondo me, per i postumi delle ferite riportate.
I referti medici, che noi qui alleghiamo per dovere di informazione, dicono così a riguardo di lei :

1. UFFICIO SANITARIO DI Sannicandro : Chimienti Michelina : ustioni multiple - contusione occhio sinistro.

1. CROCE ROSSA ITALIANA MODUGNO : Piccole ferite contuse da schegge, abrasioni ed ecchimosi diffuse alla spalla, braccio sinistro, parte occhi e arti.

1. OSPEDALE CIVILE - MODUGNO : ferite da incursione.-



T A B E L L A     n° 5

I      F A B B R I C A T I   CROLLATI   E   DANNEGGIATI

UBICAZIONE

DISTRUTTI
INABITABILI
INABITABILI                    E      RIPARABILI
Via Perosi
3


Via Piave

1

Via Massaua
2


Arco Chiaromonte
2


Via Thaon De Revel o Cassano

1

4

3
Via Nicola Bavaro

4
1
Via Duca’Aosta
3
1

Via Altamura
3
4

Vico 2° Muro
3

3
Largo Spirito Santo
24
3

Via Franz Bolognesi
10
2
1
Piazza Carmine o Chiesa

1

3

Piazza Dante
(Castello)




Ponticello o
Scesciola

63

4

Piazza Roma
3

5
Via Modugno


1
Via Diaz  o Bitetto
1

1
















TABELLA  n° 6
ORGANICO    DELLA    2ª LUFTFLOTTE    AL    10.07.1943

TIPO


REPARTI

AEREI

DISPONIBILI

EFFICIENTI
RICOGNITORI TATTICI
4 (H) 12
BF 109
9
7

2 (H) 14
BF 109
12
5
TOTALE
21
12
RICOGNITORI STRATEGICI
3 (F) 33
JU 88
9
5

GTR.STAB.122
JU 88
1
-

2 (F) 122
JU88 / ME410
15
8

1 (F) 123
JU 88
4
3
TOTALE
29
16
CACCIA
IV / JG3
BF 109
36
28

II / JG 27
BF 109
22
14

STAB/ JG 53
BF 109
6
2

I / JG 53
BF 109
36
15

II / JG 53
BF 109
22
18

III / JG 53
BF 109
30
12

STAB/JG 77
BF  109
3
2

I / JG. 77
BF 109
39
18

II / JG 77
BF 109
35
3

III / JG 77
BF 109
36
30
TOTALE
265
142
CACCIA NOTTURNA
II / NJG 2
JU 88
14
11
ASSALTATORI
STAB / SKG 10
FW 190
4
2

II / SKG 10
FW 190
20
12

III / SKG 10
FW 190
25
18

IV / SKG
FW 190
25
11

STAB. / SG.2
FW 190
1
-

I / SG 2
FW 190
32
20

II / SG 2
FW 190
27
16
TOTALE
134
79
DISTRUTTORI
II / ZG 1
BF 110
33
17

STAB / ZG 26
BF 110
2
2

III / ZG 26
BF 110
29
25

10 / ZG 26
JU 88
17
7
TOTALE
81
51
BOMBARDIERI
STAB/KG.1
JU 88
3
3

I/KG.1
JU 88
37
18

II/KG.1
JU 88
29
17

STAB/KG.6
JU 88
4
4

I/KG.6
JU 88
28
25

III/KG.6
JU 88
31
27

III/KG.30
JU 88
24
19

III/KG.54
JU 88
29
10

STAB/KG76
JU 88
2
1

I/KG.76
JU 88
21
8

II/KG.76
JU 88
32
20

II/KG.77
JU 88
25
17

STAB/KG10
DO 217
12
10

II/KG.100
DO 217
42
33

III/KG.100
DO 217
37
19
TOTALE
356
231
AEROSILURANTI
STAB/KG26
HE 111
1
1

I/KG.26
HE 111
23
15

III/KG.26
JU 88
8
5
TOTALE
32
21
TOTALE GENERALE
932
563


T A B E L L A     n° 7

ORGANICO    DELLA    REGIA AERONAUTICA   AL 10.07.1943


TIPO
IN ITALIA
IN EGEO E BALCANI

TOTALE
DISPONI
BILI
EFFI
CIEN
TI
DISPONIBILI
EFFI
CIENTI
DISPONIBILI
EFFI-
CIENTI
BOMBARDIERI
P 108
8
4
-
-
8
4
CANT Z 1007 BIS
66
26
19
6
85
32
S. 84
33
8
-
-
33
8
BR 20
6
1
49
26
55
27
JU 88
11
-
-
-
11
-
TOTALE
124
39
68
32
192
71
AEROSILURANTI
S. 79
66
22
11
5
77
27
COMBATTIMENTO
CA 314
34
6
19
14
53
20
TUFFATORI
JU 88
28
26
-
-
28
26
ASSALTATORI
RE 2002
44
19
-
-
44
19
G 50
67
28
-
-
67
28
CR 42
50
34
16
12
66
46
TOTALE
161
81
16
12
177
93
CACCIA
DO 217
7
3
-
-
7
3
BF 110
2
2
-
-
2
2
MC 205
30
19
-
-
30
19
MC 202
177
94
9
6
186
100
MC 200
61
33
29
15
90
48
RE 2005
5
4
-
-
5
4
RE 2001
72
51
-
-
72
51
SAI 207
3
2
-
-
3
2
F. 5
10
5
-
-
10
5
RO. 57
15
10
-
-
15
10
G. 50
-
-
33
26
33
26
CR. 42
47
23
25
17
72
40
BF 109
53
17
-
-
53
17

TOTALE

514

275

96

64

610

339
RICOGNITORI STR.GICI

3

-

-

-

3

-

TOTALE GENERALE

930

449

210

127

1140

576

N.B.:   Le tabelle n.6 e 7 riportano dati desunti da: “Santoni Marchesini:
LA PARTECIPAZIONE TEDESCA ALLA GUERRA AERONAVALE NEL MEDITERRANEO”.-











B I B L I O G R A F I A


  • P.MONELLI: ROMA 1943 - Migliaresi Editore in Roma - 1946;
  • Rizzoli-Larousse: Enciclopedia Universale - Rizzoli Editore  Milano;
  • B.Greenhons, S.J.Harris, W.Johnston and W.Rawling: The Crucible of  war, 1939 - 1945 - University of Toronto Press in cooperation with the Department of National defence - Canada;
  • Storia d'Italia: vol.XII - Fratelli Fabbri Editore Milano;
  • S.F.Romano: L'Italia del Novecento. Vol.II. Biblioteca di Storia Patria - Roma; 
  • THE WELLINGTON BOMBER - London - England;
  • Tutta la II Guerra Mondiale: Voll.I, II, III - Selezione del Readers Digest. Milano;
  • Barbieri: Bombardieri 1939-45. Ermanno Albertelli Editore  Parma;
  • GAFFIOT: Latino-Italiano - Piccin - Padova;
  • Combat Chronology of the Army Air Forces in World War II. London England;
  • “Sannicandro Fascista”. Bollettino mensile. Giugno-Luglio 1943;
  • “Sannicandro Fascista”. Bollettino mensile. aprile-maggio 1943;
  • "La Gazzetta del Mezzogiorno” - Bari; n°178 e 179. Anno 1943.
  • "Il Giornale": Milano - Domenica 5 febbraio 1995 - E Churchill disse...;
  • Saitta: La civiltà contemporanea: Editori Laterza - Bari;
  • A.OMODEO: L’Età del Risorgimento Italiano - ESI - NAPOLI 1948;
  • W.CHURCHILL: La Seconda Guerra Mondiale - Vol.IV - Mondadori - Milano;
  • V.USSANI: Guida allo studio della Civiltà Romana - Fasc. I - Edizioni della Bussola - Roma;
  • A.BORGIOTTI: Gori: La Guerra in Africa Settentrionale 1942-43 - STEM MUCCHI - Modena;
  • DEPARTEMENT OF DEFENSE - United States of America - Departement of the Air Force - Air Force Historical Research Agency - Maxwell Air Force Base - ALABAMA;
  • PIZZAGALLI: La Storia, come e perché - MARIETTI - Torino;
  • 1076 WELLINGTON IN ACTION - Aircraft Number 76 Squadrons/Signal Pubblications, Inc;
  • G.ANDREOTTI: Concerto a sei voci - LA BUSSOLA - Roma - 1945;
  • F.RITTER: Fascismo e Antifascismo - MILANO;
  • M.CERVI: I Golpisti: recensione e critica  a “COLPO DI STATO” di S.Bertoldi: Il Giornale: 4 novembre 1996;
  • SANTONI-MARCHESINI: La partecipazione Tedesca alla Guerra aeronavale sul Maditerraneo - Edizioni Ateneo & Bizzarri - ROMA.-




INDICE  GENERALE

TITOLO DEDICA

Pag.

SOMMARIO

11

PREMESSA


13
Sannicandro: Il suo territorio, la sua gente, il suo lavoro e...la voce della “Augustea”
16
INTRODUZIONE
21
CAP. I
La conferenza di Casablanca (genn.’43) e Washington (maggio ’43) e la svolta della Guerra. L’Operazione Husky: La prima fase.
23
CAP.II
L’Italia alla vigilia di drammatici eventi: l’anno nuovo e all’apparizione della cometa.  Lo stato sociale e gli umori del Paese.L’andamento e gli sviluppi della guerra.
29
CAP.III
“STANNO SUONANDO ALLA PORTA”: La fine della resistenza armata in Tunisia e l’apertura del nuovo fronte di guerra nel canale di Sicilia.
35
CAP.IV
Il sud nella bufera: La II fase dell’operazione “Husky” - L’armata di Tedder spiana la strada all’invasione – La violenta pressione aerea e il comportamento dei civili - La quiete... prima della tempesta a Sannicandro - Nota glottologica.
39
CAP.V
Quella terribile notte!
47
CAP.VI
Fatti e misfatti del bombardamento tra cronaca, storia e testimonianze.
55
CAP.VII
Errore o calcolo?: Le cause e le ragioni dell’incursione. Le caratteristiche. Gli obiettivi. La nazionalità, il numero e il tipo degli aerei. La  rotta. Le circostanze. La paura e... la sua coda. Conclusione. Fra realtà e fantasia. Tra mito e leggenda. Fra passato e presente. Il giallo della Madonna. Fra una bomba e l’altra.
95
CAP.VIII
L’amaro bilancio della tragedia: I feriti, i morti, le distruzioni.
149
CAP. IX
I diavoli dell’aria visti da vicino: I Wellington - I Liberator B-24.
153
CAP.X
Documenti e fonti – Tabelle, carte  e mappe.
159





C h i     è    Gi o v a n n i     V e r n ì


BIOGRAFIA:

Da Pasquale (Pasqualino), agricoltore, e da Lucia GUGLIELMI, casalinga, è nato a Sannicandro di Bari il 16 gennaio 1916.
“Orfano” sin dalla prima infanzia del padre, andato disperso nello Jonio in seguito al siluramento del piroscafo “Città di Bari”, ha compiuto gli studi ginnasiali e liceali presso la Scuola privata di don Ciccio Saliani (a Sannicandro), il “Cirillo” e il “Flacco” a Bari e il “Rinascimento” ad Asti.
Iscritto alla facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università Statale “Federico II” di Napoli, vi si è laureato in Lettere il 9 giugno del 1941, discutendo con l’esimio prof. Giuseppe Toffanin la seguente tesi: “La Letteratura Italiana a Napoli nel decennio 1820-1830 attraverso il Giornale delle Due Sicilie”.
Chiamato alle armi, quale “volontario universitario”, ha prestato servizio militare militando, dopo la frequenza del corso allievi ufficiali per la nomina a sergente, dal luglio 1941 al gennaio 1944, data del suo collocamento in congedo per particolari ragioni di famiglia, nella 3ª Compagnia telegrafisti in approntamento per il fronte russo al seguito della Divisione Alpina “JULIA”, nel Comando della IIª Armata – Intendenza – P.M. 10 (Croazia), nella 91ª Compagnia Telegrafisti da inviare al Fronte di Cassino al seguito della V Armata americana.
Per la sua partecipazione alla Guerra ’40-’45 è stato insignito di “doppia croce al Merito di Guerra”.
Con i professori Squicciarini e Losurdo (Jun.) ha partecipato alla istituzione in Sannicandro di Bari di una Sezione staccata di Scuola Media Statale, divenendone al momento della sua erezione in Scuola Autonoma suo primo preside effettivo (a.s. 1953 – 1954), titolare di lettere del corso A, per tutta la durata del servizio prestatovi, ininterrottamente dal 1944 al 1976, anno del suo volontario collocamento in pensione.
Di idee politiche moderate, ma non di appartenenze partitiche, ha preso una sol volta parte alle competizioni elettorali nelle Amministrative del 1956 con la lista de “IL CASTELLO”, uscendone eletto consigliere di minoranza.
Sposato dal 1947 con Rachele Stangarone, è padre di quattro figli: Lucianna, Pasquale, Nico e Angela; nonno di sette nipoti: Rachele, Giovanni e Matteo (di Pasquale), Giovanni  e Francesco (di Nico), e Giovanni  e Federica Carmen (di Angela).

BIBLIOGRAFIA: Ha scritto:

1. “La notte del bombardamento ” - Discorso commemorativo - opuscoletto – 1993 – p.;
2. “25-26 giugno ’43 : ERRORE O CALCOLO? ” - studio e ricerca storica – Solazzo ed. Cassano M. – 1999 – p.;
3. “MEDAGLIONI ”: Uomini e fatti di casa nostra. Scritti di varia umanità – 2001;
4. “Una tragedia sconosciuta : 6 ottobre 1917 ” - Racconto storico – 2001;
5. “FRATEL OLIVO “ : Nel cammino dell’uomo – Dalla Crazione ad oggi – Istantanee - 2006;
6. “LA PAURA” – CHE RIMASE PER SEMPRE NELL’ANIMO DI UN POPOLO – SAGGIO INTROSPETTIVO  (in preparazione).











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