Il Fiat G.95 fu un progetto per una famiglia di aerei da ricognizione e bombardamento a getto sperimentali con caratteristiche VTOL, realizzato dall'azienda italiana Fiat Aviazione.
Il progetto nacque nell'ambito del programma NATO del 1962 volto alla sostituzione del Fiat G.91 con un aereo più capace e in grado di operare senza bisogno di lunghe piste di decollo, che si pensava sarebbero state uno dei primissimi obiettivi dell'ipotizzata aggressione sovietica all'europa nell'ambito della Guerra fredda.
Nel 1961 l'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord, più nota con la sua sigla NATO, emise una specifica identificata come Basic Military Requirement 3 (NBMR-3) al fine di valutare la possibilità di sostituire i Fiat G.91allora in servizio come aereo da attacco al suolo leggero in alcune aeronautiche militari europee con un nuovo modello avente capacità VTOL, ovvero un velivolo in grado di decollare e atterrare verticalmente, in grado di essere impiegato come aereo da caccia e da ricognizione per controllare lo spazio aereo ai confini con le nazioni legate dal Patto di Varsavia.
In quell'occasione vennero presentati quattro progetti, di cui uno inglese (Hawker P.1127, da cui deriverà in seguito l'Harrier), due tedeschi (EWR VJ 101 e Focke-Wulf 1262) e l'italiano FIAT G.95.
Progettato da Giuseppe Gabrielli, l'aereo nacque come sviluppo in direzione VTOL del precedente G.91 dello stesso progettista. Dopo essere passato per la tappa intermedia del prototipo a decollo corto (STOL) dello stesso G.91 già alla fine degli anni cinquanta, Gabrielli, per ottenere la spinta necessaria su entrambi i piani di interesse, pensò di affiancare al motore (o ai due motori) principale in posizione convenzionale un gruppo di più piccoli motori di gettosostentazione. Lo sviluppo fu affinato fino a portare ad un aereo molto diverso dal G.91 di origine che fu definito in due diverse macro-versioni, il cacciabombardiere/ricognitore G.95/4 e il bombardiere G.95/6.
Dopo essere stato presentato alle massime autorità dello Stato e anche al salone di Le Bourget del 1963[3]), l'intero progetto finì per confluire insieme al succitato Focke-Wulf 1262 nel progetto congiunto italo-tedesco VFW VAK 191B nel 1964 (sebbene un certo grado di sviluppo autonomo sul G.95/4 fosse mantenuto da Fiat fino almeno al 1965), che tuttavia non vide mai la produzione in serie, anche in seguito al venire meno di buona parte dell'interesse verso il VTOL da parte dei vertici delle aeronautiche NATO.
La propulsione del Fiat G.95/4 doveva essere affidata a due Rolls-Royce/MAN R.B.153 con prese d'aria separate ai due lati della fusoliera. In corrispondenza della radice alare, tra i due condotti dei motori principali sarebbero stati posti 4 piccoli turbogetti R.B.162, cui sarebbe stata affidata la gettosostentazione per il decollo e l'atterraggio verticale. Questi quattro motori erano dotati di prese d'aria dorsali coperte da due portelli separati che si aprivano controvento e ugelli ventrali coperti da un portello a doppia valva.
L'ala doveva essere a freccia positiva, di piccole dimensioni e dotata di un dente di squalo sul bordo d'entrata, mentre i piani di coda sarebbero stati in configurazione classica con monoderiva.
Il carrello d'atterraggio era un classico carrello triciclo con carrello anteriore a ruota singola e carrelli principali in corrispondenza di ogni ala a ruote singole.
Giovanni Agnelli senior, negli anni Trenta, ci aveva visto bene: quel siciliano dai modi garbati aveva la fibra dei numeri uno e, con i suoi brevetti, avrebbe magnificato la Fiat e rivoluzionato l'aviazione internazionale.
Nel 1961 l'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord, più nota con la sua sigla NATO, emise una specifica identificata come Basic Military Requirement 3 (NBMR-3) al fine di valutare la possibilità di sostituire i Fiat G.91allora in servizio come aereo da attacco al suolo leggero in alcune aeronautiche militari europee con un nuovo modello avente capacità VTOL, ovvero un velivolo in grado di decollare e atterrare verticalmente, in grado di essere impiegato come aereo da caccia e da ricognizione per controllare lo spazio aereo ai confini con le nazioni legate dal Patto di Varsavia.
In quell'occasione vennero presentati quattro progetti, di cui uno inglese (Hawker P.1127, da cui deriverà in seguito l'Harrier), due tedeschi (EWR VJ 101 e Focke-Wulf 1262) e l'italiano FIAT G.95.
Progettato da Giuseppe Gabrielli, l'aereo nacque come sviluppo in direzione VTOL del precedente G.91 dello stesso progettista. Dopo essere passato per la tappa intermedia del prototipo a decollo corto (STOL) dello stesso G.91 già alla fine degli anni cinquanta, Gabrielli, per ottenere la spinta necessaria su entrambi i piani di interesse, pensò di affiancare al motore (o ai due motori) principale in posizione convenzionale un gruppo di più piccoli motori di gettosostentazione. Lo sviluppo fu affinato fino a portare ad un aereo molto diverso dal G.91 di origine che fu definito in due diverse macro-versioni, il cacciabombardiere/ricognitore G.95/4 e il bombardiere G.95/6.
Dopo essere stato presentato alle massime autorità dello Stato e anche al salone di Le Bourget del 1963[3]), l'intero progetto finì per confluire insieme al succitato Focke-Wulf 1262 nel progetto congiunto italo-tedesco VFW VAK 191B nel 1964 (sebbene un certo grado di sviluppo autonomo sul G.95/4 fosse mantenuto da Fiat fino almeno al 1965), che tuttavia non vide mai la produzione in serie, anche in seguito al venire meno di buona parte dell'interesse verso il VTOL da parte dei vertici delle aeronautiche NATO.
La propulsione del Fiat G.95/4 doveva essere affidata a due Rolls-Royce/MAN R.B.153 con prese d'aria separate ai due lati della fusoliera. In corrispondenza della radice alare, tra i due condotti dei motori principali sarebbero stati posti 4 piccoli turbogetti R.B.162, cui sarebbe stata affidata la gettosostentazione per il decollo e l'atterraggio verticale. Questi quattro motori erano dotati di prese d'aria dorsali coperte da due portelli separati che si aprivano controvento e ugelli ventrali coperti da un portello a doppia valva.
L'ala doveva essere a freccia positiva, di piccole dimensioni e dotata di un dente di squalo sul bordo d'entrata, mentre i piani di coda sarebbero stati in configurazione classica con monoderiva.
Il carrello d'atterraggio era un classico carrello triciclo con carrello anteriore a ruota singola e carrelli principali in corrispondenza di ogni ala a ruote singole.
Giovanni Agnelli senior, negli anni Trenta, ci aveva visto bene: quel siciliano dai modi garbati aveva la fibra dei numeri uno e, con i suoi brevetti, avrebbe magnificato la Fiat e rivoluzionato l'aviazione internazionale.
Un vero scienziato e un ingegnoso progettista.
Un geniale costruttore, abilissimo manager, formidabile docente universitario: si chiamava Giuseppe Gabrielli, classe 1903, nato nel profondo Sud, a Caltanissetta; una delle sue numerose creature: il G91T del 1955, considerato il più grande successo economico dell'industria aeronautica italiana.
Gabrielli ultimati gli studi nel 1925, si laureò in ingegneria industriale meccanica al Politecnico di Torino, dopo aver frequentato il laboratorio di aeronautica presso il castello del Valentino, vinse una borsa di ricerca in Germania e conseguì il dottorato ad Aquisgrana studiando in particolare la rigidezza torsionale delle ali a sbalzo e più in generale l'applicazione dei metalli nelle costruzioni aeronautiche: a quei tempi i velivoli erano in abete rosso e tela. Infine tornò in Italia e cominciò a lavorare come designer per la Piaggio di Finale Ligure.
Aveva ventiquattro anni e un seducente futuro davanti a sé nell'aviazione: travolgente passione di vita, la stessa che lo portò a frequentare gli ambienti dei pionieri del volo. Fu così che il giovane ingegnere conobbe la futura moglie, Lidya Crocco, figlia di un altro grande della scienza aeronautica, il generale napoletano Gaetano Arturo Crocco, progettista di dirigibili, uno dei primi studiosi di astronautica, anticipatore della propulsione a razzo e inventore delle alette idroplane, le progenitrici del moderno aliscafo.
Siamo alla fine degli anni Venti quando l'aeronautica indice un concorso per "trasformare" il mitico idrovolante Savoia Marchetti S55 che ha trasvolato gli oceani (uno dei simboli dell'italico progresso tecnologico nei primi anni del fascismo). I luminari del settore, però, non hanno dubbi: impossibile fabbricare un aereo in metallo e riuscire a farlo volare. L'invito viene infatti respinto da tutte le ditte consultate, Fiat compresa. Ma Gabrielli ha la testa dura e, convinto com'è che il futuro dell'aviazione sia proprio il metallo, decide di raccogliere la sfida per conto della Piaggio. Il suo nuovo S55 pesa 530 chili in meno dell'originale e le sue ali possono flettersi sotto un peso nove volte superiore a quello dell'intero aereo: brillano le lamiere e le piastre di lega di alluminio.
È questo il primo successo dell'audace nisseno, assunto dal senatore Agnelli e nominato responsabile del nuovo ufficio aviazione dell'azienda di famiglia.
"Signor G.". Così lo chiamano fin da subito gli amici e gli addetti ai lavori (l'iniziale del suo cognome identificherà la felice produzione Fiat di aeroplani lungo il corso del Novecento). Con la sigla G2 nasce negli anni Trenta un ardito trimotore monoplano a elica con struttura a guscio e ala a sbalzo. Nello stesso periodo, mentre in Europa trionfa ancora il trimotore, Gabrielli progetta un bimotore fornito (novità assoluta) di sistemi di insonorizzazione e carrello retrattile. Sforna poi il G5 e il G8 1933-1934, il più veloce velivolo bimotore da trasporto passeggeri dell'epoca, il G18V (1937) e il G12 (1940) impiegato come trasporto militare. Seguirà una lunga serie di velivoli tra cui i caccia G50 (costruito in 740 esemplari e impiegato in Spagna, Belgio, Finlandia, Grecia, Africa), G55 (da 1050 cavalli) e G56 (che raggiunge i 685 chilometri orari) utilizzati nel corso della seconda guerra mondiale, tutti superiori ai più quotati e famosi caccia alleati del periodo.
Sensibile anche all'aviazione commerciale, Gabrielli disegnerà tra gli altri il G12: si tratta dell'aereo civile da venti posti con cui Alitalia inizia la sua attività il 5 maggio 1947 volando da Torino a Roma e da Roma a Catania.
Entrato a far parte del comitato direttivo Fiat, il signor G. diventa uno degli attori principali della ripresa del dopoguerra.
"G" dopo "G", progetti su progetti: si alzano da terra i velivoli di addestramento G46, G49, G59 (un esemplare restaurato è esposto da qualche anno nella facoltà di Ingegneria dell'Università di Palermo) e il primo aeroplano Fiat dotato di propulsione a reazione: il G80 del 1951 il cui battesimo dell'aria avviene sul campo militare di Amendola (Foggia) dove gli americani hanno realizzato una pista lunga più di due chilometri per i loro bombardieri
Liberator.
E quando, qualche anno più tardi, la Nato bandirà un concorso per un aereo leggero di appoggio tattico, sarà la volta del G91: il vero capolavoro di Gabrielli divenuto il caccia standard dell'istituzione transnazionale (ne vengono prodotti circa 800 esemplari).
Agli inizi degli anniSessanta l'ingegnere indirizza le proprie ricerche verso la realizzazione dei velivoli a decollo e atterraggio verticale: elabora brevetti originali come il G91S, il G95/4 e il G95/6 che tuttavia non prendono forma.
Prossimo alla pensione, a metà degli anni Sessanta Gabrielli si getta anima e corpo nella laboriosa progettazione di un bimotore da trasporto in uso alle forze armate, il G222, che inizialmente doveva essere un aereo a decollo verticale e che poi viene trasformato in aereo a decollo corto.
È il 1967 quando il professore, ambasciatore della tecnologia italiana nel mondo, lascia la Fiat Aviazione per raggiunti limiti d’età, ma il siciliano non smette di volare. Con i suoi disegni illumina per sempre i cieli azzurri: è il 29 novembre 1987!
Decolla per l’ultimo volo per non più atterrare.
(Web, Google, Wikipedia, La repubblica etc…)
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