martedì 27 novembre 2018

IL SOLDATO PROTEGGE SEMPRE I PIU' DEBOLI, SOPRATTUTTO DONNE E BAMBINI




I peacekeeper italiani, pur riconoscendo l’egida internazionale delle varie missioni umanitarie e pur trovandosi a proprio agio in questo nuovo variegato contesto, conservano ed affermano sempre la propria identità nazionale.


I soldati italiani si trovano a proprio agio nel contesto operativo multinazionale che caratterizza la gran parte di queste missioni. 

Essi lavorano disinvoltamente insieme a commilitoni di altri contingenti. 

Alcune volte scorgere la diversità nazionale fra i vari soggetti che compongono la scena è più difficile. 
Si vedono dei soldati che lavorano insieme, e solo ad un’osservazione più attenta, che si soffermi su alcuni particolari come i dettagli della divisa o i cognomi che i soldati hanno appuntati sul petto, queste diversità diventano più lampanti. 

Esiste dunque un’identità militare che fa riferimento ad un patrimonio culturale che si basa su codici comunicativi afferenti alla «comunità» dei militari che travalica i confini nazionali e che consente lo svolgersi regolare di missioni multinazionali. 

Il soldato italiano è cordiale, comunicativo, collaborativo e non ha problemi ad interagire con persone di razza o sesso diverso dal proprio. 


Nonostante questa apertura però, l’identità nazionale è ben presente nel contingente italiano ed è continuamente ribadita dal simbolo che più di ogni altro connota l’appartenenza ad una nazione: la bandiera, inossidabile indicatore di uno «stile» italiano di militarità. 

Sia che sventoli accanto ad altre insegne, sia che si erga solitaria a testimoniare una presenza italiana, anche nell’ambito del peacekeeping, il binomio Esercito-bandiera appare irrinunciabile.

Nico Vernì





Massimiliano Latorre, marò del San Marco, durante una missione internazionale per la salvaguardia della pace.



























































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