E’ da tanti anni che se ne parla, ma solo ora si comincia a vedere la luce (nucleare pulita) in fondo al tunnel.
La fusione nucleare è il processo di reazione nucleare attraverso il quale i nuclei di due o più atomi vengono avvicinati o compressi a tal punto da superare la repulsione elettromagnetica e unirsi tra loro generando il nucleo di un elemento di massa minore, o maggiore, della somma delle masse dei nuclei reagenti, nonché, talvolta, uno o più neutroni liberi.
Per anni, finché era solo un’ipotesi teorica, la fusione nucleare è stata una chimera ambientalista: l’utopia di una fonte di energia pulita e sicura, senza scorie e disponibile in quantità illimitata.
Cosa di meglio da opporre, declamavano gli ecologisti ufficiali, al mostro della fissione nucleare, la tecnologia delle centrali nucleari esistenti?
Oggi la vecchia utopia è diventata realtà sperimentale!
Nel sud della Francia, il consorzio internazionale Iter tra tutti i maggiori paesi industrializzati (Europa, Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone, India e Corea del sud) ha iniziato la fase avanzata di costruzione dell’impianto sperimentale di fusione. A una potenza di 500 mw, esso dovrà provare (2025) la fattibilità della fusione e procedere al successivo impianto, il dimostratore Demo che genererà la prima energia elettrica da fusione. In tutto il mondo sono attive macchine di sperimentazione di test e prove di fusione che serviranno a Iter per affinare la struttura fisica del futuro reattore pulito, per raccogliere dati e decidere le scelte finali, costruttive e ingegneristiche, dell’impianto semi definitivo. Nell’arco di una generazione la prospettiva di una nuova fonte di energia nucleare basso costo intrinsecamente sicura e a rilascio ambientale zero, diventerà realtà.
Una fortunata congiuntura, tramite l’Enea, il Cnr, le università e l’industria impiantistica ed energetica nazionale, ha consentito all’Italia di ottenere la localizzazione del più importante e significativo dei laboratori di test e centri di ricerca che dovranno sostenere Iter nella fattibilità della fusione: si chiama Dtt (Divertor Tokamak Test): 500 milioni di euro di investimento, 7 anni di costruzione, lavoro per 1.600 persone e ricadute sull’economia del territorio che lo ospiterà di 2.000 milioni di euro.
Dtt posizionerà l’Italia ai vertici della realizzazione della fusione e dello sfruttamento futuro di questa fonte di energia. Tutto accattivante e pagante per il paese. Troppo, forse, per non suscitare il ripensamento dei Verdi sulla fusione nucleare. Stavolta contro l’investimento nella tecnologia più promettente del secolo sia schierata la rivista ufficiale dell’ambientalismo militante “Nuova Ecologia” che ha manifestato apertamente un vero voltafaccia sulla fusione nucleare, definita ora inutile, tardiva e, ovviamente, “niente affatto pulita”.
L’argomentazione “verde” fa leva su un dichiarato pessimismo: “la fusione nucleare, sostengono, è in ritardo sui tempi previsti. E’ sopravanzata da nuove tecnologie (quali?). Il primo Kw arriverà solo nel 2050. Troppo tardi per sostituire, secondo gli accordi sul clima, i combustibili fossili. L’investimento nella fusione, continua la rivista, “drenerà risorse alle urgenze vere, incentivare le tecnologie rinnovabili”.
Troppe bugie in poche frasi.
Intanto: i tempi previsti del primo Kw da fusione non sono mai, sostanzialmente, cambiati. Il 2050 per la prospettiva di una sorgente di energia illimitata è in termini di pianificazione energetica perfettamente in linea con le esigenze.
Nel 2050, le previsioni ufficiali indicano il marcato declino delle fonti fossili, il netto aumento della domanda di energia e l’insufficiente copertura dei consumi attraverso le rinnovabili. La decarbonizzazione come totale sostituzione delle fonti fossili comincia ad apparire non solo terribilmente costosa ma, soprattutto, non fattibile.
Purtroppo si arriva senza la prospettiva, per la seconda parte del secolo, di una nuova fonte di energia, veramente sostitutiva di quelle convenzionali. Un mondo lento e al buio.
Per fortuna c’è la fusione nucleare.
A che punto è? Nel 2025 l’impianto Iter di Cadarache avvierà l’ignizione del primo plasma, il fluido di atomi di idrogeno ionizzato che è il motore della fusione. L’obiettivo è raggiungere una reazione di fusione stabile, a una potenza di 500 mw, che duri più di 60 minuti e che sia esotermica: rilasci, cioè, più energia di quanta ne occorre per produrre il plasma e farlo autoalimentare. Le prove a Cadarache dureranno 10 anni. Nel 2035 si passerà al prototipo Demo che testerà la generazione di energia elettrica in rete. Energia pulita per definizione. Cos’è, in buona sostanza, la fusione nucleare? Niente di più, come in ogni centrale di generazione, che produzione di calore (da un fluido caldo) che, trasformato in vapore, alimenta una turbina e converte energia cinetica in elettricità. Banale. Solo che, nella fusione, il meccanismo di produzione del calore cambia. E riproduce quello, efficiente e copioso, del motore delle stelle: la fusione di due nuclei leggeri di idrogeno (il primo elemento della tavola atomica) che produce elio (il secondo elemento della tavola atomica, un gas inerte e innocuo) e rilascia un quantitativo libero di energia (sotto forma di neutroni veloci ed energia termica). Cosa ha in più un reattore di fusione rispetto a ogni altro reattore termico, a combustibili fossili o nucleare di fissione?
L’enorme efficienza!
La reazione di fusione di due nuclei leggeri di idrogeno, sotto forma dei due isotopi di esso, deuterio e trizio, libera circa l’80 per cento dell’energia contenuta nei due nuclei originari (energia di legame). Si tratta di una quantità di energia enorme se paragonata a quella rilasciata dalle reazioni atomiche (ogni energia è atomica) nei processi chimici di combustione (gas, carbone, olio) o dalla fissione dell’uranio (centrali nucleari tradizionali). In queste ultime, ad esempio, che pure rilasciano energia in quantità imparagonabile ai processi combustivi convenzionali (centrali fossili) la reazione di fissione rilascia appena l’1 per cento dell’energia di legame degli atomi di uranio. Nulla paragonato all’80 per cento della reazione di fusione degli isotopi di idrogeno.
Di qui il miraggio della fusione nucleare: ancor più che nella fissione nucleare, una minuscola quantità di materia libera un immenso contenuto di energia. Basterà un solo chilogrammo di gas di isotopi di idrogeno per produrre l’equivalente di migliaia e migliaia di tonnellate di carbone, di gas naturale, di petrolio.
Efficienza immensa in termini energetici.
E combustibile disponibile in quantità illimitate: il deuterio è nell’acqua degli oceani, il trizio si ricava dal litio, elemento diffusissimo nella crosta terrestre. E senza prodotti di scarto. A differenza delle centrali termiche convenzionali una centrale a fusione non ha emissioni inquinanti. Nel reattore a fusione non reagisce altro che idrogeno, l’elemento più semplice in natura. E le cui reazioni energetiche, non essendoci in gioco composti chimici, come idrocarburi, carbone, o elementi pesanti come l’uranio, non producono scarti, prodotti tossici, scorie radioattive o altri composti. L’elio, il solo prodotto della fusione, è un gas leggero, inerte e innocuo. La radioattività, in una centrale a fusione, è limitata al trattamento, già in operazione, dei materiali del reattore attivati dal flusso neutronico e allo stoccaggio del trizio (che decade con un tempo di 12 anni): un’operazione, questa riguardante gli isotopi radioattivi leggeri, che è oggi comune a ogni ospedale o servizio che utilizza isotopi per diagnosi e cura.
Infine, le reazioni nucleari di fusione non funzionano a catena come quelle di fissione: se non è alimentato il flusso del plasma, si blocca. Basta staccare la corrente. Si realizza il principio della sicurezza intrinseca e passiva.
I problemi che la fusione deve risolvere non riguardano, dunque, pulizia e sicurezza. Ma residui dilemmi fisici, meccanici e di ingegneria. E, fondamentalmente, uno: la gestione delle enormi temperature che si raggiungeranno nel plasma. Su questo si concentrerà l’attività dell’impianto italiano. Il problema principale è l’impatto del calore sui materiali del reattore. Nel reattore solare la fusione nucleare è il concorso di quattro fattori: l’immensa gravità, la temperatura e il tempo (probabilità) a disposizione per le reazioni. Il motore stellare impiega, infatti, un tempo enorme per ogni singola fusione. Il Sole vivrà 10 miliardi di anni, prima di esaurirsi, proprio per la lentezza con cui brucia i nuclei atomici di cui dispone. Potendo contare sul tempo, sulla gravità che schiaccia e avvicina i nuclei, sulla energia cinetica che porta i nuclei a toccarsi vincendo la repulsione elettrostatica, il Sole ha bisogno di una temperatura di “soli” 15 milioni di gradi per la fusione. Ma sulla Terra? Il reattore terrestre non avrà’ a disposizione la stessa gravità, pressione e tempo di una stella. Dovrà contare, per avere reazioni di fusione, su un solo fattore producibile artificialmente: la temperatura. I calcoli dicono che occorrerà, nel reattore terrestre, raggiungere i 100 milioni di gradi, una temperatura sei volte superiore a quella del centro del sole. Nessuno spavento. Si intende la temperatura locale del plasma e quella delle particelle puntuali che devono reagire tra loro. La fisica insegna sul come ingabbiare, isolare e contenere, in modo inesorabile, il plasma caldo, la ciambella di fluido di idrogeno ionizzato (atomi dissociati in nuclei ed elettroni) in cui avverranno le fusioni.
La fusione di elementi fino ai numeri atomici 26 e 28 (ferro e nichel) è una reazione esotermica, cioè emette energia essendovi una perdita di massa; per numeri atomici superiori la reazione è endotermica, assorbendo energia per la costituzione di nuclei atomici di massa maggiore.
Il processo di fusione è il meccanismo che alimenta le stelle, dove si generano tutti gli elementi che costituiscono l'universo, dall'elio fino all'uranio.
La fusione è stata riprodotta dall'uomo con la realizzazione della bomba H.
Studi sono in corso per riprodurre a fini energetici fenomeni di fusione nucleare controllata in reattori nucleari a fusione.
Partendo dagli esperimenti sulla trasmutazione nucleare di Ernest Rutherford, condotti parecchi anni prima, la fusione in laboratori di isotopi pesanti dell'idrogeno fu realizzata per la prima volta da Mark Oliphant nel 1932. Durante il resto di quel decennio gli stadi del ciclo principale della fusione nucleare nelle stelle furono ricavati da Hans Bethe.
Le ricerche sulla fusione per scopi militari cominciarono all'inizio degli anni quaranta come parte del Progetto Manhattan, ma questo fu realizzato solo nel 1951 e la fusione nucleare su vasta scala in un'esplosione fu eseguita per la prima volta il 1º novembre 1952, nel test sulla bomba a idrogeno denominato Ivy Mike.
Le ricerche sullo sviluppo della fusione termonucleare controllata per scopi civili cominciarono anch'essi seriamente negli anni cinquanta, e continuano ancora oggi.
Due progetti: il National Ignition Facility e l'ITER sono in corso per raggiungere l'obiettivo dopo 60 anni di miglioramenti dei modelli sviluppati dai precedenti esperimenti.
Anche l'Italia sta studiando la possibilità di realizzare un reattore sperimentale a fusione nucleare con confinamento magnetico. Il progetto in questione si chiama IGNITOR ed è stato realizzato dall'ENEA; pur essendo ormai il progetto in fase avanzata, la sua costruzione non è ancora cominciata.
Nel reattore a fusione EAST il plasma ha raggiunto i 100 milioni di gradi: potrebbe essere il risultato più interessante mai ottenuto finora con tecnologie di confinamento magnetico, ma i cinesi non hanno reso noti tutti i dettagli del test.
Per un breve momento, all'inizio del 2018, a Hefei (Cina), all'interno del gigantesco reattore a fusione nucleare (sperimentale) EAST (Experimental Advanced Superconducting Tokamak) si è raggiunta una temperatura talmente elevata da fare impallidire il Sole: oltre 100 milioni di °C - contro i circa 15 milioni di cui è "capace" la nostra stella. È il nuovo record per le tecnologie di fusione nucleare: un nuovo, importante passo in avanti per la svolta energetica da tanto attesa per l'umanità.
Il lavoro dei cinesi con EAST promette un importante passo in avanti sul fronte delle tecnologie basate sul confinamento magnetico del plasma (del tipo tokamak, per intenderci), ma non tutto è chiaro (o reso disponibile), perché al momento gli scienziati (o i "gestori" politici della sperimentazione) non hanno fatto sapere nulla sulla densità del plasma nel reattore, un'informazione che nell'ambiente della fusione nucleare è giusta mentre considerata cruciale. Pochi atomi (perciò bassa densità, qualunque essa sia) possono infatti essere più facilmente controllati, a quelle temperature, che non un plasma ad alta densità - che però è ciò a cui occorre puntare.
L'esperimento EAST sembra però al momento il più evoluto e importante - tra l'altro, nel 2017 lo stesso reattore permise di mantenere il plasma in attività per ben 101,2 secondi, un vero record!
Il nostro Paese dà un contributo rilevante ai principali programmi di ricerca internazionale sulla fusione (come ITER, per esempio) ed è tra i partner principali delle agenzie europee EUROfusion e Fusion for Energy.
L'ENEA partecipa a queste iniziative con il Dipartimento fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare (FSN). L'Agenzia italiana ha recentemente condotto, in Giappone, l'assemblaggio del sistema magnetico del reattore sperimentale a fusione JT-60SA (Japan Torus-60), con la fornitura di 20 grandi bobine toroidali, 10 delle quali realizzate in Italia.
Presso il Centro Ricerche ENEA di Frascati (Roma) è in fase di realizzazione il polo scientifico-tecnologico Divertor Tokamak Test (DTT), uno tra i progetti più avanzati al mondo nel campo della ricerca sulla fusione nucleare, che prevede l'impiego di 1.500 persone altamente specializzate e un ritorno stimato di 2 miliardi di euro a fronte di investimenti stimati in circa 500 milioni. Questo sarà probabilmente il punto di svolta verso tecnologie meno sperimentali: questo divertore "permetterà di effettuare di esperimenti in scala in grado di cercare alternative per il divertore in grado di integrarsi con le specifiche condizioni fisiche e le soluzioni tecnologiche previste in DEMO", l'evoluzione di ITER.
Negli ultimi sessant'anni è stato profuso un notevole sforzo teorico e sperimentale per mettere a punto la fusione nucleare per generare elettricità e anche come sistema di propulsione per razzi, ben più efficiente dei sistemi basati su reazioni chimiche o sulla reazione di fissione.
Nel 2004 scienziati russi sono riusciti a produrre una reazione di fusione nucleare controllata innescata dal confinamento laser, tra protoni (atomi d'idrogeno privi dell'elettrone) e atomi di boro, alla temperatura di 1 miliardo di kelvin, senza emissione di neutroni e particelle radioattive, a esclusione di particelle alfa. Ma l'energia richiesta dal laser supera di molto quella prodotta dalla reazione.
Nel gennaio 2013, un gruppo di ricercatori italiani e cechi diretti dal Dr. Antonino Picciotto e dal Dr. Daniele Margarone hanno ottenuto il record di produzione di particelle alfa senza emissione di neutroni, utilizzando per la prima volta un target di silicio-boro-idrogenato ed un laser con intensità 1000 volte inferiore rispetto agli esperimenti precedenti.
Un plasma è costituito da particelle cariche che possono quindi essere confinate da un appropriato campo magnetico. Sono noti molti modi di generare un campo magnetico in grado di isolare un plasma in fusione; tuttavia, in tutte queste configurazioni, le particelle cariche che compongono il plasma interagiscono inevitabilmente con il campo, influenzando l'efficienza del confinamento e riscaldando il sistema. Due sono le geometrie che si sono rivelate interessanti per confinare plasmi per fusione: lo specchio magnetico e il toro magnetico. Lo specchio magnetico è una configurazione "aperta", cioè non è chiusa su sé stessa, mentre il toro (una figura geometrica a forma di "ciambella") è una configurazione chiusa su sé stessa intorno a un buco centrale. Varianti del toro sono le configurazioni sferiche, in cui il buco al centro del toro è di dimensioni molto ridotte ma pur sempre presente.
Ognuno di questi sistemi di confinamento ha diverse realizzazioni, che differiscono tra loro nell'enfatizzare l'efficienza del confinamento o nel semplificare i requisiti tecnici necessari per la realizzazione del campo magnetico.
La ricerca sugli specchi magnetici e su altre configurazioni aperte ha avuto un grande sviluppo negli anni 1960-1970, poi è stata abbandonata per le inevitabili perdite di particelle agli estremi della configurazione. Invece, una variante dei sistemi toroidali, il tokamak, è risultato essere una soluzione inizialmente più semplice di altre per un'implementazione da laboratorio. Ciò, assieme a una prospettiva remunerativa futura, l'ha reso il sistema su cui la ricerca scientifica in questo settore ha mosso i suoi passi più significativi.
Attualmente il più promettente esperimento in questo campo è il progetto ITER.
Esistono comunque delle varianti di configurazioni toroidali, come lo stellarator (che è caratterizzato dall'assenza di un circuito per generare una corrente nel plasma) e il Reversed-field pinch (RFP).
Nel 2009 usando la macchina RFX a Padova è stato dimostrato sperimentalmente che, in accordo con quanto previsto da un modello matematico, si può migliorare il confinamento dando al plasma presente nel Reversed Field Pinch una forma a elica: FORZA AZZURRI!!!
(Web, Google, Wikipedia, Il Foglio, Focus)
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